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giovedì 13 novembre 2014

I'm a Cyborg but that's ok

Titolo: I'm a Cyborg but that's ok
Regia: Park Chan-Wook
Anno: 2006
Paese: Corea del Sud
Giudizio: 3/5

Young Goon è un cyborg, Il-Soon un ladruncolo che fa proprie le caratteristiche dei volti altrui. O almeno, così credono. Entrambi vivono in un ospedale psichiatrico dalle pareti verdi (e imbottite), trascorrendo le giornate insieme ad altri particolarissimi pazienti: una donna decisamente sovrappeso che divora tutto il cibo che le capiti a tiro, un ragazzo che ritrova la sua dimensione camminando all'indietro, "malati" che - ciascuno a suo modo - creano a loro immagine e somiglianza, qualcosa di congeniale per passare il tempo.

"La simpatia è quella sensazione che mi impedisce di uccidere tutti quelli che dovrei fare fuori"
Senza stare a tessere lodi su uno dei registi più famosi e importanti della cinematografia contemporanea della Corea del Sud, Park arriva così alla sua prima commedia misurandosi con dei temi niente affatto banali, ma anzi confermando una sua visione a 360° nel panorama cinematografico mondiale.
In questo caso poi la malattia, il manicomio, diventano solamente una parte della grande metafora della vita, dove contestualizza il plot narrativo e una toccante storia d'amore.
Certo non è sempre facile ridere sull'impianto umoristico orientale (in particolare quello coreano) ma nella pellicola dell'outsider, tutto sembra un perfetto puzzle dove l'elemento stilistico predomina e gli elementi surreali non mancano, tuttavia senza imporsi sul soggetto mantenendo così sempre un perfetto equilibrio tra dramma e ironia.
Purtroppo forse una delle poche note dolenti del film è che sembra esaurire a metà la sua carica poetica, pur rimanendo sempre una sorta di viaggio romantico di autistica dolcezza.
In più il punto di vista, totale assenza di pregiudizio sulla follia, rende ancora più surreale in alcuni momenti, l'autentica poesia del maestro, alternata a scene di una violenza esplosiva in cui Young Goon, "cyborg" che si ciba di batterie, dimostra tutta la sua carica anarchica metaforicamente distruggendo l'istituzione sanitaria che spesso e volentieri sembra pensare solo a imprigionare il malato senza pensare che spesso la cura è proprio nei gesti e nella terapia, come l'ascolto.
Quello di un cleptomane che prende in prestito il volto degli altri, diventa così l'arma di salvezza della giovane e straordinaria protagonista.