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mercoledì 27 marzo 2024

60 minuti


Titolo: 60 minuti
Regia: Olivier Kienle
Anno: 2024
Paese: Germania
Giudizio: 3/5

Il lottatore di MMA Octavio ha solo un'ora per raggiungere il compleanno della figlia, altrimenti rischia di perderne la custodia per sempre. Per arrivare in tempo, dunque, deve far terminare il prima possibile l'importante incontro che ha in programma per quella sera, cosa che non piace ad alcuni dei malavitosi che hanno scommesso grandi somme sul combattimento.
 
E' un film adrenalinico 60 minuti, un concentrato d'azione che corre, mena, salta, investe, minaccia qualsiasi cosa che tocca prendendo un fisic du role e facendolo correre per un'ora per tutta Berlino alla ricerca di una torta per poter tornare dalla figlia prima che le venga definitivamente tolta da avvocato e assistenti sociali. In questa rincorsa Octavio salta un incontro falsato di MMA dove un gruppo di mafiosi hanno investito una grossa cifra finendo indebitati con dei russi che seppur si vedono solo in una scena, quella nei sotterranei, basta per far capire la pericolosità delle parti in gioco. E' una storia che va drittissima, il nostro protagonista è in un luogo e deve raggiungerne un altro, stop. Berlino appare come un posto dove valgono una serie di regole non scritte utili solo a rendere ogni cosa il più cool possibile. 60 minuti vale soprattutto e quasi solo per le scene di combattimenti realizzate quasi tutte da stunt professionisti dove una menzione particolare c'è l'hanno quelli della scena nella palestra e quella nella discoteca (giusto per strizzare l'occhio a John Wick 4). Alla fine è ignorante quanto divertente, semplice quanto mai troppo stupido.

lunedì 2 gennaio 2023

Luz


Titolo: Luz
Regia: Tilman Singer
Anno: 2018
Paese: Germania
Giudizio: 4/5
Un incubo a occhi aperti governato da un'entità sovrannaturale. Un viaggio a ritroso costellato da personaggi dall'identità fluida e imprevedibile in continuo divenire, volto a farci scoprire chi sia e cosa abbia fatto la tassista Luz prima di essere esaminata da uno psicologo alla presenza della polizia nel corso di una notte di tragedia.
 
Luz è un film sperimentale d'autore. Qualcosa di particolarmente originale non esente da difetti e problemucci ma che riesce ad imporsi attraverso una messa in scena memorabile con 16mm, quasi un'unica location, la centrale di polizia come l'interno del bar e l'interno della macchina, una fotografia molto sgranata e dei colori accesi che offrono quel tocco di vintage coadiuvato da una recitazione teatrale e l’elettronica carpenteriana di Simon Waskow.
Tilman Singer al suo esordio semplicemente fa ciò che gli pare disattendendo ogni minima domanda e aspettativa del pubblico, giocando di suggestioni, intersecando piani temporali e disattendendo ogni ricostruzione cronologica. Un limbo magico dove ognuno sembra impossessato da qualcosa nella ricerca attraverso una terapia regressiva di una ricostruzione impossibile tentando con manovre e scelte più che mai discutibili qualcosa che non sembra alla portata di nessuno di loro. L'autore sembra sviluppare una domanda a cui non concede tutte le risposte inserendole in un quadro e in un contesto ancora più complesso e minimale come frutto di commistione tra sostanze psicotrope, inconscio e dinamica del contagio

martedì 1 novembre 2022

Womb


Titolo: Womb
Regia: Benedek Fliegauf
Anno: 2010
Paese: Germania
Giudizio: 3/5

Rebecca e Tommy si conoscono da preadolescenti e tra loro nasce un sentimento che verrà bruscamente interrotto dalla partenza di Rebecca. Quando, divenuti ormai un uomo e una donna, si incontrano di nuovo, l'amore ha modo di manifestarsi in tutta la sua intensità. Per breve tempo però, perché Tommy muore investito da un'auto e Rebecca si sente in qualche modo corresponsabile dell'incidente. Essendo ormai possibile la clonazione di esseri umani decide di farsi impiantare nell'utero un Tommy che crescerà come un figlio amatissimo. Senza rivelargli nulla della sua origine ma anche con la prospettiva di ritrovarsi davanti, una volta cresciuto, la copia dell'uomo che continua ad amare.
La mancata elaborazione della perdita della persona amata può finire per riversarsi morbosamente su un figlio sotto una strana forma d'incesto?

Questa è molte altre sembrano le domande che Fliegauf sembra porsi con una storia scifi distopica dove affronta la clonazione, l'eugenetica, i rapporti umani, la pratica psicoanalitica, il senso di colpa, le discriminazioni sociali a danno in questo caso delle "copie". Il film poi ha un ritmo molto lento, estremamente patinato, pochissimi dialoghi, senza offrire coordinate spazio-temporali in cui la vicenda prende piede ma lasciando in quelle lande tedesche una sorta di limbo dove crescere, perdersi e ricongiungersi, un luogo nordico freddo e sconfinato come i piani lunghi che spesso l'autore predilige per le inquadrature. Un film complesso e assorto dove tante tematiche si affrontano e quasi tutte riescono nel difficile compito di dare spiegazioni anche dove non necessitano, in questo caso ragionando sul tema della clonazione che nasce dall'incapacità di elaborare il lutto e di accettare il corso naturale di vita e morte. La possessività di Rebecca andrà contro la volontà di Tommy che si batteva proprio contro quel centro dove possono dar vita alle clonazioni. Ne diventerà un prodotto. Una copia, come tante altre, che la gente schiva impaurita da questa nuova generazione dell'onnipotenza scientifica e cosciente di come andrà a finire e del perfetto climax finale che non può per forza di cose prevedere un happy ending.

lunedì 16 agosto 2021

Blood Red Sky


Titolo: Blood Red Sky
Regia: Peter Thorwarth
Anno: 2021
Paese: Germania
Giudizio: 3/5

Una donna con una misteriosa malattia è costretta ad agire quando un gruppo di terroristi tenta di dirottare un volo transatlantico notturno. Per proteggere suo figlio, dovrà svelare il suo oscuro segreto e scatenare il vampiro che è in lei.
 
Negli anni abbiamo imparato a scoprire che anche l'aereo non è un posto sicuro.
Che sia preda da orrori cosmici come Altitude, da presenze occulte come 7500, da serpenti come SNAKE ON A PLANE oppure da psicopatici come in RED EYE, non ci siamo fatti mancare nulla ma i vampiri forse ancora non erano venuti in mente pur avendo ormai sdoganato ogni location possibile.
La premessa è buona così come il cast, i tempi soprattutto all'inizio sono dettati nella giusta maniera, i flash back li ho trovati posticci (l'incidente per cui Nadja diventa una vampira ad esempio) il flash forward invece è intrigante soprattutto come metafora socio-politica, una variante che avrà modo di crescere anche a bordo dell'aereo con il messaggio che i due arabi devono pronunciare per far pensare ad un atto terroristico. Personaggi come Farid riescono ad essere caratterizzati bene senza mai diventare della macchiette anche se rimane un mistero come pur senza un braccio riesca ad essere così brillante. Un elemento di minor risalto legato al pathos e all'atmosfera del film è quando Nadja per salvare il figlio scopre le carte rivelando di essere un vampiro e mettendosi a lottare con i criminali. In quel caso viene meno il suo personaggio, tormentato dal dover difendere gli innocenti e uccidere i cattivi e la sua lotta interiore per non nutrirsi e basta senza dover essere a tutti i costi un'eroina. Di certo il plot è interessante e abbastanza originale pur diventando un action thriller vero e proprio più che un horror. La variante europea riesce in questo a renderlo più serioso e meno scontato almeno per alcuni colpi di scena che potevano rivelarsi molto più telefonati e meno interessanti.

martedì 12 gennaio 2021

Undine


Titolo: Undine
Regia: Christian Petdzold
Anno: 2020
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

Undine lavora come storica presso il Märkisches Museum di Berlino: il suo compito è spiegare ai visitatori i plastici che raffigurano la città nei suoi progressivi stadi evolutivi. Undine è appena stata lasciata da Johannes, nonostante lui abbia giurato di amarla per sempre. All'improvviso, però, nel bar del museo compare il sommozzatore Christoph, ed è amore a prima vista. Undine ricostruisce la sua vita come Berlino ha ricostruito molteplici volte sé stessa, ma una sera Christoph la chiama infuriato perché si sente tradito da lei, dal momento che non gli mai rivelato l'esistenza di Johannes. Come farà Undine a ricucire con Cristoph? E riuscirà a vendicarsi di Johannes, come aveva promesso prima di essere abbandonata?

Undine è una progressione di eventi distorti e discordanti, eppure proprio nelle domande che verso il finale affiorano nella mente dello spettatore, riesce a raccontare una storia d'amore con un dramma e una sorta di montaggio e simbologie inaspettato e stranamente ipnotico. Se ci mettiamo pure che Petdzold è un regista atipico in grado come in questo caso di inserire addirittura elementi folkloristici come le ondine, o undine, creature leggendarie elencate fra gli elementali dell'acqua nelle opere sull'alchimia di Paracelso, il film è un continuum di trovate e soprese. Le ondine sono parte del folklore europeo, in cui appaiono descritte, in genere, come creature affini alle fate; il nome può essere usato anche per altri spiriti acquatici simili. Undine è un film stratificato e in parte complesso in grado di mischiare elementi ed etichette come quelle di una fiaba contemporanea che attinge a un mito antico riscritto in età romantica e darle quella spinta di post contemporaneità parlando di costruzione e distruzione di Berlino come nella vita della protagonista. Il film parla chiaro e inizia in modo inconsueto con quella frase "Dovrei ucciderti" che Undine sopraffatta dalla disperazione sciorina a Johannes prima di recarsi a lavoro e proclamare il monologo sulla distruzione che sembra più che mai affacciarsi come dalla finestra sulla sua vita personale e di chi le sta intorno. Verso un finale onirico dove tra immersioni e dispersioni, Cristoph e Undine nel suo rincorrersi da un treno all'altro, da un amore all'altro e la paura e il dramma della gelosia, si imbattono in uno scenario shakespiriano alla Romeo e Giulietta con quel pesce gatto immerso e con una immancabile citazione a Verne e il suo universo sottomarino.

sabato 8 agosto 2020

Der Nachtmahr


Titolo: Der Nachtmahr
Regia: Akiz
Anno: 2015
Paese: Germania
Giudizio: 3/5

In piena estate, Tina e le sue amiche prendono parte a una festa di giovani a Berlino. Dopo i bagordi della serata, Tina è ossessionata da una misteriosa creatura che la tormenta e l'unica persona con cui ne parla è il suo psicologo, che le consiglia di affrontare le sue paure. Quando sente che i genitori hanno intenzione di ricoverarla in un ospedale psichiatrico, Tina si rende conto che la creatura altri non è che l'incarnazione dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti. Decidendo di nascondere la creatura nella sua stanza, Tina sembra cambiare e avere il coraggio per la prima volta nella sua vita di essere veramente se stessa. I problemi aumenteranno però quando anche i genitori e i suoi amici avvisteranno la creatura.

Der Nachtmahr rientra in quel filone di horror atipici, prodotti autoriali di autori con un background particolare e a cui piace giocare molto con la psiche dello spettatore. Sicuramente un prodotto molto interessante e per alcuni versi originali, attraversando due piste da ballo, una quella del fenomeno dello sballo giovanile dei rave party, della Berlino bene e l'altra sulla scoperta dell'identità e della sessualità della protagonista. Dall'altro poi ancora il viaggio onirico a contatto con la nemesi, una creatura deforme e malsana, un feto che la insegue dappertutto e che sembra poter essere visto soltanto da Tina (fino ad un certo punto...)
Per certi versi questa scoperta, questo viaggio mistico, questa realtà che alterna mistificazione legata alle sostanze e visioni reali dell'incubo, alternando ritmi techno a visioni surreali, mi ha ricordato un film svizzero uscito due anni dopo davvero interessante Blue my mind.
Una pellicola decisamente minimale, conturbante, ambigua, non sempre perfetta nel dipanarsi della storia compiendo qualche ingenuità di chi cerca di puntare molto alto, ma prendendo più la strada del dramma contemporaneo, di famiglie troppo prese dal lavoro che non hanno tempo per i figli e dove appena sorge un problema si contatta subito la psichiatria.
Tina rappresenta ancora una volta nel cinema quella incomunicabilità tipica della adolescenza, quella voglia di scoprire, osare, sballarsi ma allo stesso tempo chiedendo solo di essere vista e accettata nella sua voglia di evadere e scappare per sentirsi uguale alle sue amiche condividendo tutto. In questa scelta riuscita, accurata e sensibile, il film riesce mischiando i piani e le piste, ad avere una buona tensione, unendo dramma e un tocco di fantasy e horror, alternando con un buon montaggio e fotografia e puntando sui piani temporali.




giovedì 24 ottobre 2019

Decoder

Titolo: Decoder
Regia: Muscha
Anno: 1984
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

FM (componente del gruppo Einsturzende Neubauten) scopre che all’interno della catena di fast-food “H-Burger”, viene diffusa della musica (Muzak) che condiziona fortemente i comportamenti e i gusti dei giovani avventori. Sconcertato, registra e studia le caratteristiche di questa musica ma è solo dopo gli incontri con William Burroughs e i pirati della comunicazione guidati da Genesis P.Orridge, che FM riesce a “decodificarla” e a produrre un “anti-muzak” che induca la gente a ribellarsi al potere. I servizi segreti e la stessa multinazionale degli hamburger iniziano a braccare minacciosamente il fastidioso pirata, il quale nel frattempo diffonde, aiutato dalla sua posse, la “musica della rivolta”, producendo ovunque effetti devastanti per l’ordine e la morale pubblica. E alla fine la rivoluzione…

Il sogno dell’underground è quello di fare la rivoluzione. Si tratti di rivoluzioni violente o pacifiche, concrete o simboliche, collettive o individuali, ogni controcultura nella sua evoluzione, prima o poi, manifesta il desiderio di una trasformazione radicale del vissuto.
Decoder è uno di quei film a cui sono arrivato tardi purtroppo. Un film manifesto molto importante per l'epoca, per la commistione di generi (cyber punk, dramma, un certo tipo di horror) per le tematiche, per lo stile, la forma, le voci, la musica, l'impiego praticamente di qualsiasi maestranza in maniera sperimentale e in alcuni casi precursore di un certo tipo di stile e contro cultura.
Basato approssimativamente sugli scritti di William S. Burroughs, che recita anche nel film, sembra avere diversi elementi in comune con il film di Gillian uscito l'anno successivo BRAZIL, un film anarchico con un'idea originale e una messa in scena molto atipica e interessante. La rivoluzione arriva nell'underground proprio scoprendo una musica che diffonde una strana sinfonia confondendo e condizionando i giovani. Una generazione di nuovo controllata da un governo che sembra dover monitorare usando tutti gli strumenti che possiede ma che solo una parte di noi è in grado di captare, vedere e sgominare.
Il resto come negli incubi cronemberghiani che siano occhiali o come per Palahniuk una nenia, l'obbiettivo è sempre quello di captare un intero progetto di controllo delle menti e dei corpi, un processo ben più ampio, che vuole coinvolgere tutti partendo dai livelli più bassi (l'idea del "H-Burger" è geniale).
Potrebbe essere il film manifesto di ogni complottista sul controllo mediatico e il potere delle multinazionali dove se non altro pone anche qualche base su come è nato il cyber punk, per questo precursore come film, con il sodalizio tra punk e una sottocultura industriale che mixa idee anarchiche e hackeraggio

mercoledì 2 ottobre 2019

Styx

Titolo: Styx
Regia: Wolfgang Fischer
Anno: 2018
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

Una dottoressa decide di prendersi una pausa dal lavoro e di salpare in solitaria sulla sua barca a vela da Gibilterra ad un’isola incontaminata nell’Oceano Pacifico. Il suo viaggio sembra scorrere serenamente finché, dopo una brutta tempesta, si imbatte in un peschereccio arenato pieno di profughi africani in grave difficoltà. Alcuni di loro provano a raggiungerla, ma solo un giovane ragazzo ce la fa. Insieme cercano di chiamare i soccorsi che tardano ad arrivare, mentre la situazione si fa sempre più drammatica. La donna si troverà quindi ad un bivio: provare ad aiutare gli uomini e le donne bloccati sull’imbarcazione oppure farsi da parte ed aspettare aiuti adeguati.

"Volevo fare un film che parlasse di noi stessi, di chi siamo, di come viviamo oggi e di chi vogliamo essere domani. Ma soprattutto desideravo aprire un dialogo con il pubblico e creare un impatto emotivo sullo spettatore, in modo che alla fine si chiedesse: 'Cosa avrei fatto al posto della protagonista?'"
Styx come lo erano alcuni film di Carpignano è un film con una forte impronta sul sociale.
Un'opera e un cinema di denuncia che parla di argomenti quanto mai attuali come in questo caso il dramma dei migranti. L'esordio di Fisher non è mai banale con alcune scene potentissime come i profughi che scappano dalla loro imbarcazione o la lotta tra Rike e il ragazzino con quella scena indimenticabile in cui lui per ribellarsi al fatto che la protagonista non possa e non riesca a salvare altre vite, butta tutte le bottiglie d'acqua in mare.
Fischer parte con un film che è un missile, con tanti silenzi che in realtà comunicano più di molti dialoghi, sguardi sofferti, scelte emblematiche e la realtà che sembra superare la fantasia come quando Rike chiede aiuto ma le viene imposto di farsi da parte e di lasciare che siano Altri a salvare la nave e recuperare i dispersi.
Un film commovente ma solido che non cerca sensazionalismi ma è impermeato nella più tragica realtà senza bisogno di edulcorare i fattori e la sostanza drammatica.
E'un film sulla volontà di prendere delle decisioni anche quando ci viene negato, una cartina sul presente, sul bisogno di far luce e raccontare quello che sta accadendo, l'epopea dei migranti, la solitudine,  il dilemma della responsabilità collettiva,  il dubbio morale, la gestione dell'accoglienza e del soccorso in mare, raccontati attraverso lo sguardo profondo della sua protagonista.
Styx è stato girato quasi interamente in mare aperto, eccetto qualche scena nel primo atto prima che Rike salga sulla nave. Il merito più grande del film a parte non avere forzature è proprio quello di non voler "approfittare" dell'epoca storica per catturare facili eroismi, ma invece una lotta contro se stessi e le istituzioni, seguendo e perseverando il proprio dovere morale, quello che molti di noi stanno perdendo.

lunedì 17 giugno 2019

Storia infinita


Titolo: Storia infinita
Regia: Wolfgan Petersen
Anno: 1984
Paese: Germania
Giudizio: 5/5

Tratto dal best-seller di Michael Ende, la storia del piccolo Bastian che, dopo la morte della mamma, non va a scuola e preferisce leggere libri fantastici. La "storia infinita" comincia quando, rifugiatosi in soffitta per un giorno e una notte, rivive la favola del libro identificandosi nel protagonista. Un piccolo arciere, in lotta affinché il "Nulla" non distrugga il "Tutto".

La Storia infinita oltre ad essere un cult per la mia generazione è diventato uno di quei film d'avventura/fantasy entrati nell'Olimpo in cui tutte le tematiche e gli archetipi sembrano essersi dati appuntamento. Pochi ci sono riusciti. E'in assoluto il più bel film di Petersen, insieme a quelli che sono stati i capolavori del periodo: RITORNO A OZ, FIRE AND ICE, STORIA FANTASTICA, LABYRINTH, NAVIGATOR, LEGEND.
Il merito più grande è stato senza dubbio, insieme al film di Heston, quello di spiegare ad un bambino con le immagini quanto sia sottile il filo tra realtà e immaginazione, probabilmente una lotta che continua a non avere muri che dividano le due sfere ma lasciandole convivere armoniosamente senza fare l'errore di credere nel soprannaturale ma immaginarlo possibile, questo sì.
Un film di formazione in grado di appassionare tutti i target, regalare momenti epici, personaggi indimenticabili, scene sinistre capaci di trasmettere paura al momento necessario e tanti altri motivi tra cui alcune creature in Animatronic che sono diventate storia, una colonna sonora da urlo, il fatto di non essere troppo sdolcinato e probabilmente per un bambino un'esperienza totale Inoltre tra i tanti messaggi lanciati da Ende quella premura di comunicare ai ragazzi come la lettura fosse necessaria e fondamentale per ampliare l'immaginazione e la fantasia.
Pochi altri film hanno saputo raggiungere livelli così alti dove niente e lasciato al caso, tutto funziona come per causa effetto senza momenti macchinosi e regalando le più belle ore d'intrattenimento di sempre.
Gli sceneggiatori furono abili nel trattare solo la prima parte del romanzo, facendo molta attenzione come capitava per i libri per ragazzi, di fiabe o di storie in generale a sottolinearne gli aspetti più ludici e divertenti mettendo da parte gli scenari più tetri e cupi. Petersen ha messo insieme ambo le parti finendo per fare un film molto più complesso nella sua apparente semplicità, mostrando il villain più potente della storia del cinema e lasciando il suo servo più inquietante di sempre, Gmork. Rimangono alcune scene e alcune scelte ancora con un certo alone di mistero come le leggende dietro il Fortunadrago Falcor, il rapporto di Bastian con l'imperatrice Bambina e un finale che colse tutti di sorpresa per il suo mischiare così bene regno umano e regno fantastico.

domenica 28 aprile 2019

Schramm


Titolo: Schramm
Regia: Jorg Buttgereit
Anno: 1993
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

Lothar Schramm sta imbiancando le mura del suo appartamento imbrattate di sangue per un omicidio appena compiuto, ma la scala sulla quale è salito cede e lo fa cadere. Prima di esalare l’ultimo respiro rivivremo con lui gli ultimi avvenimenti della sua vita malata e tormentata.

Schramm rappresenta per il gore un certo traguardo (detta così sembra un paradosso).
Nelle cerchie dei film malati o esageratamente estremi, che trasudano sofferenza e di una violenza inaudita, il film dell'artista tedesco tocca dei vertici a cui film di genere di questo tipo non sono mai arrivati. Slacciandosi dalla sola equazione per cui il gore significa solo torture, splatter e slasher, qui si compie a mio avviso in alcuni momenti un mezzo miracolo parlando anche di sentimenti e descrivendo una mente deviata un po come succedeva per Bad Boy Bubby e White Lightnin anche se in modi completamente diversi dove anche qui in comune c'è quel rinchiudersi nella follia pura.
Questo viaggio nella psiche criminale e deviata porta Buttgereit a esplorare ancor più le paure e le fobie di Lothar in un disagio angosciante e universale, inquadrato senza fronzoli e tecniche particolari ma rimanendo fissi con la camera e svuotando ogni forma di intrattenimento.
La scena in cui vede una vagina che lo tormenta e lo angoscia, nella sua malattia e nella sua messa in scena è profetica per mostrare quanto questo individuo voglia e tema allo stesso tempo l'amore e la donna potendo rifugiarsi solo in una masturbazione ossessiva e compulsiva.
Senza contare poi il suo complesso rapporto con una prostituta che vive vicino a lui che vorrebbe aiutare ma non sa in che modo, mostrando l'evidente limite e risultando patetico e allo steso tempo inquietante prima di arrivare al climax finale che non potrà che richiedere un tasso di violenza e sangue esagerato.


Der Todesking


Titolo: Der Todesking
Regia: Jorg Buttgereit
Anno: 1990
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

Sette splendidi episodi che come filo conduttore hanno la morte:
1)La rappresentazione della vita di un uomo che conduce la sua esistenza nella totale banalità (lavoro,casa,faccende casalinghe...) ma si rende conto di trovarsi in una bolla di vetro, intrappolato, proprio come il suo pesce rosso, così renderà tremendamente e fatalmente simile il suo tipo di vita con quello del suo animale domestico
2)La visione di un film nazista (con tanto di shockante amputazione di pene ebreo!) distorce la mente di un giovane ragazzo, così quando torna la sua donna lui la uccide a sangue freddo incorniciando di materia cerebrale il muro
3)Sotto una pioggia scrosciante un uomo depresso, si sfoga di fronte ad una donna. Ella ,per commiserazione, decide di sparagli ma siccome non aveva caricato il colpo in canna fa cilecca. Lui prende la pistola e fa partire il colpo
4)Varie inquadrature e carrellate ci mostrano la struttura di un ponte, dove in ogni sequenza compaiono i nomi delle persone tuffatesi nel baratro
5)Una donna e la sua solitudine: dalla finestra riesce a vedere una felice giovane coppia che si scambia sorrisi e carezze,nella donna cresce una forte forma d'invidia e cosi' decide di tramortirli placando la visione di felicità che la tormentava nelle sue insulse giornate
6)Un ragazzo escogita una attrezzatura da ripresa per registrare in pellicola un concerto rock, quando entra nel locale(guardando sotto l'ottica soggettiva del protagonista) inizia a sparare all'impazzata sulla band e sul pubblico,poi , terminata la soggettiva, scopriamo che era il ragazzo del secondo episodio, quello influenzato dal film nazi;
7)Un forte mal di testa che stringe la sua terribile morsa sulle tempie indifese di un ragazzo. Il dolore ondeggia spinoso dentro la sua calotta cranica,lui deve placare tale martirio dando violente testate sul muro...forte...sempre più forte....

Esiste l'avanguardia nell'horror o meglio nella sub cultura del gore? Buttgereit a differenza di altri autori che in quegli anni sperimentavano questa forma di cinema, si è ritagliato una politica completamente diversa, dove l'horror rappresenta la punta più in alto dove al suo interno c'è così tanto materiale che il regista tedesco omaggia e mostra con incredibile destrezza, una visione nichilista dove la morte è liberazione da una vita insulsa e banale che non ha scopi e obbiettivi.
I personaggi dei suoi film riflettono molto questa condizione senza provare nemmeno a fare quel salto se non come nel capitolo 4 mostrandoci proprio il suicidio come scelta razionale e liberazione totale. Il fil rouge di tutto il film a episodi è proprio il corpo femminile che si sacrifica e si decompone. Un Cristo femminile inerte che si decompone agganciandosi così a tutto il sotto genere del body horror che negli anni 2000 ha avuto di nuovo un discreto successo con film ambiziosi e complessi e anch'essi d'avanguardia come Thanatomorphose

Nel suo essere brutale e a tratti eccessivo, Der Todesking alla fine si scopre agli occhi di una bambina (inquadratura conclusiva del film) strappando un candido sorriso, perchè nell'ottica fanciullesca tutto può sembrare magico e divertente come uno scheletro decomposto.




giovedì 18 ottobre 2018

Gutland


Titolo: Gutland
Regia: Govinda Van Maele
Anno: 2017
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

Un vagabondo di nome Jens arriva nei pressi di un villaggio lussemburghese. È di origine tedesca e non parla la lingua del posto, pertanto viene trattato con freddezza, finché non incontra la figlia del sindaco, Lucy, che se lo porta a letto. Il mattino dopo il padre della giovane accompagna Jens in giro per il villaggio, gli trova lavoro presso un fattore e presto lo invita anche a cena. La comunità sembra accoglierlo senza fare domande e fin troppo calorosamente, anche perché Jens trova nel camper dove alloggia oggetti lasciati da qualcuno prima di lui. Si tratta dello scomparso Georges, che viveva in una casa vicina e forse aveva fotografato nude le donne sposate del paese.

Gutland è l'interessante opera prima che come ormai sappiamo circola solo nei festival cinematografici. Un esordio che parla di confini, identità, integrazione, adattamento, comunità rurali, omologazione, manipolazione, regole, segreti e tante altre squisite componenti che danno un'aria da favola nera, un thriller misterioso dove il film si prende una prima parte per raccontare la location in cui Jens viene catapultato e i suoi strani personaggi.
Il film è sostenuto praticamente tutto sulle spalle da una buona prova del suo protagonista, Frederick Lau, uno degli attori più in forma della sua generazione e qui coadiuvato da un buon cast.
Cosa nasconde Schandelsmillen? Da subito sembrerebbe un luogo perfettamente naturale, ma potrebbe benissimo essere tutta una finzione.
Lo spazio occupato da questa "buona terra" è vasto, ma è difficile o impossibile per chiunque fuggire. Il villaggio sembra una prigione molto grande, seppur chiusa. E perchè Jens è l'unico che riesce a svelare il lato d'ombra della cittadina? E naturalmente gli abitanti cominceranno a scoprire qualcosa legato al suo oscuro passato.
Gutland è un film da vedere più che da scriverci, perchè in quanto thriller è studiato attentamente con gli indizi che vengono svelati piano piano e in cui lo spettatore deve fare molta attenzione. Come noir funziona per la sua atmosfera che non dice nulla, ma mostra più di quanto dovrebbe.
La scelta finale che dovrà fare il protagonista, sembra una delle scelte più attuali dei tempi i cui ci troviamo a vivere.

venerdì 12 ottobre 2018

Cord


Titolo: Cord
Regia: Pablo Gonzales
Anno: 2015
Paese: Germania
Giudizio: 3/5

In un mondo post -apocalittico, dove l'inverno non ha mai fine, alcuni superstiti della razza umana vivono sottoterra. A causa delle insalubri condizioni dell'ambiente in cui vivono, il contatto sessuale è diventato pericoloso. La masturbazione è quindi divenuta l'unica esperienza sessuale possibile grazie al perfezionamento di una serie di dispositivi low-tech creati appositamente a questo scopo. In questa desolante realtà, Czuperski (uno dei commercianti di questi dispositivi) e Tania (una sesso dipendente) fanno un patto: lei gli permetterà di sperimentare nuovi dispositivi sul suo corpo in cambio del piacere. Ben presto però, il loro rapporto finirà fuori dal loro controllo.

Sci-fi. Un'unica location. Tre attori. Idee. Stop
L'esordio di Gonzalez è un fantahorror post-apocalittico (sotto genere predominante negli ultimi anni nel cinema di genere anche solo per aver lanciato la possibilità di rinchiudere persone in location isolate dove al di fuori c'è qualcosa che uccide e questa semplice idea ha prodotto migliaia di pellicole spesso e volentieri grazie a budget miseri)
Dovendo dare a Gibson ciò che è di Gibson, qui ritroviamo molti elementi già scandagliati e usati a dovere che rientrano in quella fornace dove sono i dispositivi low-tech a fare da padroni e gli umani sono schiavi della realtà virtuale (scenario che in parte stiamo andando a concretizzare)
L'alienazione, vivere in spazi claustrofobici, il sesso come esperienza virtuale, l'accoppiamento come baratto, il sacrificio, la trasformazione, ci sono ovviamente tutta una serie di elementi squisitamente utilizzati e scandagliati da registi più famosi come Cronmberg e Tsukamoto ma qui il regista utilizza proprio e insisite su questo elemento quello della cavia e le apparecchiature utilizzate con cavi e liquidi che fuoriescono dalla pelle e dalla materia e dove soprattutto si sviluppa un'inquietante rapporto ossessivo tra vittima e carnefice.
Con l'accomunante che come per STRANGE DAYS dava prova che ormai l'umanità per provare esperienze che l'appaghino cerca sempre di più qualcosa di estremo dove diventiamo proprio cavie di qualcosa a cui ci sottoponiamo e che prende il sopravvento su e dentro di noi.
Qui è di nuovo il sesso alla base dove non resta che farsi aiutare da cavi elettrici tatuati nel corpo, strumenti freddi e impersonali (ma efficaci) con cui titillare le zone del cervello responsabili del piacere orgasmico. Mi ha ricordato anche se con intenti del tutto diversi I.K.U e tante altre cose. Drammatico, violento, la ricerca di toccare confini estremamente pericolosi porterà vittima e carnefice ad un epilogo che andrà e sarà del tutto fuori controllo.



sabato 1 settembre 2018

Hagazussa


Titolo: Hagazussa
Regia: Lukas Feigelfeld
Anno: 2017
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

Nel XV secolo, Albrun vive nelle Alpi prendendosi cura di una mandria di capre da quando sua madre è morta, vent'anni prima. Un giorno, però, Albrun si rende conto di come nelle profondità del bosco si nasconda una presenza sinuosa che trasformerà la sua realtà in un incubo.

Torniamo al folklore, all'Europa e alle sue leggende.
Hagazussa è la risposta europea al VVitch americano decisamente più minimale e con meno azione. Un film magnetico che fin dalla prima scena ti catapulta in questa dimensione geografica quasi abbandonata dal mondo e dai suoi abitanti. Due donne, madre e figlia, che in quanto eremite vengono confinate e giudicate streghe.
Espressionismo tedesco che torna in maniera volutamente funzionale scardinando la quotidianità di Albrun e trasmettendo quel senso di impotenza e solitudine di chi cerca conforto quando può proprio dagli animali che alleva.
Strega si traduce in tedesco con hexe e in svedese con häxan, termini che derivano dall’arcaico hagazussa, in uso durante il tardo medioevo.
Hagazussa, da quell'abbraccio iniziale della madre alla figlia prima di scoprire l'incidente scatenante, una scena molto forte e disturbante, ribattezza un periodo felice del cinema di genere che sembra riscoprire la sua vera forza attraverso paesaggi e recitazione con una buona storia dietro dimenticandosi effetti speciali e jump scared in favore di tutto ciò che sa creare stupore come le suggestive atmosfere pagane e le superstizioni di un'epoca mai così buia e pericolosa in particolare per la donna.
Ancora una volta è lei, Albrun, la figura femminile, lo snodo centrale per lo sviluppo della storia.
Il film del giovane Feigelfeld pur essendo particolarmente lento e senza quasi dialoghi crea fin da subito una grossa dose di empatia e inquietudine nell'ottica esoterica ponendosi come uno dei più importanti film sulla stregoneria.
Resta difficile credere che Hagazussa: A Heathen’s Curse sia il lavoro di uno studente.

Eppure si tratta davvero della prova finale del cineasta emergente Lukas Feigelfeld, austriaco di nascita, ma residente a Berlino. Hagazussa, che è stato in parte finanziato con il crowd funding, non è solo un azzeccato debutto, ma un film d'autore con una chiara visione che potrebbe rivelarsi una pietra miliare dell'horror folk d'essai.  

lunedì 7 maggio 2018

MMF


Titolo: MMF
Regia: Leonard Garner
Anno: 2017
Paese: Germania
Festival: Torino Underground Cinefest 5°edizione
Giudizio: 4/5

Una coppia di trentenni rimorchia un giovane e attraente ragazzo di colore per un menage a trois.
Mentre esaminano l'esperienza, si esplorano a vicenda mascherando le proprie insicurezze con ironia hipster e provocazioni, includendo battute omofobiche e razziste. In breve la situazione diventa per loro molto imbarazzante.

Davvero una figata questo corto sconosciutissimo per cui ancora una volta bisogna ringraziare questo piccolo ma succulento festival.
MMF in dieci minuti sembra dire proprio tutto e rispondere a tante domande sul sesso, sui pregiudizi sugli uomini di colore e le loro dimensioni, su cosa piaccia ad una donna dell'uomo di colore e soprattutto di cosa possa piacere anche all'uomo che gli venga fatto dal tipo di colore.
Insomma non si vede nessuna scena di sesso ma è come se dai dialoghi intelligenti e taglienti fossimo lì a seguirli nella loro maratona sotto le coperte.
Vengono davvero sfatati diversi miti e le risate sono d'obbligo così come qualche momento davvero imbarazzante sulla scelta dei ruoli e le prestazioni.
Questo corto fa capire ancora una volta come l'universo femminile sia qualcosa di dinamico, sempre in movimento e troppo avanti rispetto a quello maschile.



domenica 25 marzo 2018

Masks


Titolo: Masks
Regia: Andreas Marschall
Anno: 2011
Paese: Germania
Giudizio: 3/5

Dopo essere stata respinta da numerose accademie d"arte drammatica Stella, aspirante giovane attrice di Berlino, viene accettata alla scuola Matteusz Gdula fondata negli anni 70 da una insegnante dai metodi poco ortodossi. L"ambiente è piuttosto ostile e l"unica amica di Stella sembra essere Cecile un"allieva che non abbandona mai l"edificio in cui si trova la scuola. Stella assiste inoltre a strani avvenimenti come sparizioni, rumori inquietanti e un"ala della scuola che rimane chiusa sempre a chiave.

Masks deve molto al nostro cinema neogotico nonchè ad alcuni maestri come Fulci e Argento.
Il perchè è chiaro e il regista non lo nasconde neppure. Diventa tutto il marchingegno che porta avanti i tasselli del film, gli omicidi in particolare, abbastanza sanguinolenti e una soundtrack dalle sonorità elettroniche sempre presente e potente che conferisce maggior atmosfera e ritmo nelle scene d'azione.
Un'opera giocata in poche location e con una fotografia cupa che cerca di conferire maggior risalto all'atmosfera generale tutta giocata come dicevo su degli omicidi comunque abbastanza feroci.
Il solo limite del film tedesco è quello di richiamare troppo appunto i gialli anni '70, diventando presto un esercizio di stile che cita il nostro cinema di genere senza però riuscire a dare una sua anima e originalità al film, un pericolo sempre più presente nel cinema di genere.




mercoledì 20 dicembre 2017

Casting

Titolo: Casting
Regia: Nicolas Wackerbarth
Anno: 2017
Paese: Germania
Festival: 35°Torino film Festival
Giudizio: 4/5

Nell'anniversario della nascita di Fassbinder, la televisione tedesca decide di realizzare il remake di Le lacrime amare di Petra von Kant e le candidate al ruolo della protagonista si succedono davanti a una regista inflessibile, che continua a scartarle tutte nonostante manchino pochi giorni all'inizio delle riprese. Speranze e inadeguatezze, isterismi e illusioni del dietro le quinte, con al centro la frustrazione dell'attore di secondo piano che ha accettato di far da spalla alle candidate per i provini.

Ci sono film che riescono ad essere sorretti da alcune grandi prove attoriali.
In questo caso recitazione e improvvisazione per dirla con le parole del regista presente in sala.
Un regista/attore che ha scritto e diretto questo ammirevole film che cerca di raccontare il dietro le quinte muovendosi su piani emotivi e fragilità da entrambe le parti (regista, attrici, maestranze, produzione). Attori ma soprattutto attrici, donne che riempiono la scena mettendo a volte il povero Gerwin in difficoltà tra la vergogna e la sua totale esposizione e flessibilità alle richieste di Vera.
Un film che mano a mano che prosegue diventa sempre più stimolante nel mostrare la tensione e i gradi di potere (la scena con l'attrice famosissima che minaccia la regista è pura estasi chissà se sarebbe piaciuta a Fassbinder), la rabbia e poi il perdono, la voglia di credere in un progetto al di là delle incomprensioni e del proprio orgoglio che sembra essere alla base di quasi tutte le scelte delle protagoniste. Tutti temi, plot e dialoghi che Wackerbarth riesce a mescolare al meglio rimanendo tra l'altro per quasi tutto il film in un unico interno sfruttando lo stesso spazio che di solito viene adottato per i provini anche quelli "improvvisati".
Andreas Lust, dopo il bellissimo e intenso Robber torna a dare un interpretazione forte e celebrale, una caratterizzazione e un personaggio complesso e importante, che pur sembrando marginale diventa testata d'angolo per far intuire tutte quelle problematiche che stanno alla base di un attore e una natura quanto meno incline a cercare di fare sempre la differenza come in questo caso.



mercoledì 15 novembre 2017

Fuck you prof 2

Titolo: Fuck you prof 2
Regia: Bora Dagtekin
Anno: 2015
Paese: Germania
Giudizio: 2/5

Zeki Müller, rude ed eccentrico insegnate presso il liceo Goethe, si offre di portare i suoi studenti in viaggio d'istruzione in Thailandia quando scopre che la compagna e collega Lisi Schnabelstedt vi ha spedito in beneficenza un orsacchiotto di peluche al cui interno egli ha occultato una partita di diamanti, eredità del suo passato criminale. Partecipano alla spedizione anche i pupilli dell'istituto rivale Schiller capitanati dallo sprezzante professor Hauke, vecchia fiamma di Lisi.

Diciamo che l'ironia, le battute ad effetto, il gioco forza tra gli attori, un trama che seppur parlando di scuola e istituzioni riusciva ad essere divertente erano il corollario di fattori che hanno fatto sì che il primo capitolo diventasse un successone al botteghino.
Un film comico ed esilarante sul tema della commedia adolescenziale con qualche lezione di vita.
Tutto questo era il primo capitolo di FUCK YOU PROF!
Era purtroppo intuibile già dai limiti del primo film, aspettarsi un secondo capitolo più scialbo e meno d'impatto.
Se nel primo capitolo tutte le carte dovevano scoprirsi, qui sappiamo già tutto e il film sin dall'inizio non ha quel ritmo e quella carica che consente un'altra visione di più di due ore.
Purtroppo anche quella piccolissima premessa sul sociale che il primo capitolo aveva, qui diventa quasi una trashata (ma senza stile) per provare una comparazione.

Il primo capitolo con 60 milioni di euro al box-office aveva sbancato il botteghino tedesco puntando senza mezzi termini al formato politicamente scorretto e al linguaggio esplicito di tanta commedia americana che va dai fratelli Farrelli a Paul Feig e all'ambientazione scolastica con strizzatine d'occhio a diversi film. Purtroppo non si può dire lo stesso del secondo e una trasferta estiva non basta a far decollare una scrittura che sembra fatta appunto da dementi.

domenica 15 ottobre 2017

Wetlands

Titolo: Wetlands
Regia: David Wnendt
Anno: 2013
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

In Wetlands Helen, 18 anni, soffre di emorroidi e ha una vita sessuale intensa. Un padre distratto e una madre ossessionata dall’igiene le hanno imposto di eliminare ogni sgradevole secrezione. Lei si ribella, rifiuta di nascondere il suo odore, e tra sperma, sangue, diarrea, mestruo e liquido vaginale, cerca di colmare un vuoto educativo ed emotivo, imparando sul proprio corpo ad accettare e gestire pulsioni e sentimenti.

“Fin da quando io ricordo ho avuto le emorroidi”
Così Helen fa il suo esordio sullo schermo. Con queste parole. Il resto è una sorta di coming of age sulla formazione sfinterica di una ragazza alla scoperta della sessualità, del proprio corpo e di tutta un'altra serie di ingredienti soprendenti, bizzarri, spiazzanti, politicamente scorretti, eccessivi e a tratti disgustosi.
Un film divertente e pruriginoso intrinsecamente che sa unire insieme dramma e ironia sviluppando alcuni temi che sembrano ancora dei tabù e su cui il regista e come spesso accade nel cinema tedesco non ci si fa troppi problemi a dire le cose come stanno e soprattutto a mostrarle senza remore. Si parla tanto di sessualità ma come qualcosa di normale senza bisogno di nasconderne i suoi infiniti aspetti, qui il desiderio e l'obbiettivo di Helen è un’opera di distruzione di ogni forma di tabù sociale. Il fatto più sconvolgente è che oltre ad ignorare il comune senso della decenza e del pudore, si crei da sè delle norme igieniche, come la fantastica idea di rendere la sua vagina una fogna, non lavandola, per fare in modo che paradossalmente resista maggiormente alle malattie. Così arriviamo a tante scene e scelte che giocano tra lo scandalo e il disgustoso, parlo ovviamente della scena del bagno e della caramella allo sperma...e di tutto questo fluire, secernere, evacuare che ad un tratto prima di finire ricoverata, sembra un rubinetto difettoso.
La commedia nera diventa dramma che diventa grottesco che diventa surreale e così via mischiando svariati aspetti e cercando sempre più di impressionare con scene di forte impatto immaginifico.
Mi ha scioccato anche il fatto che la sceneggiatura non sia originale e che esista un libro così perverso ad aver ispirato la sua creazione.
Un film davvero soprendente, furbo, forse troppo, giocando e insistendo ripetutamente sull'esagerazione, elemento che ad un certo punto finisce proprio per creare l'inverso e da quel momento il film prende un'altra direzione non meno interessante ma sicuramente meno eccessiva che sembra far riflettere Helen sul suo obbiettivo.


venerdì 18 novembre 2016

Der Bunker

Titolo: Der Bunker
Regia: Nikias Chryssos
Anno: 2015
Paese: Germania
Giudizio: 3/5

Un giovane studente alla ricerca di quiete e solitudine si concentra su un lavoro importante ma finisce per imbattersi in una strana famiglia e per far da insegnante al piccolo Klaus, educato in casa dai genitori che vivono in una villa bunker isolata.

Ci sono alcune premesse e situazioni perlopiù bizzarre e degne di nota all'interno dell'opera prima del regista tedesco. Ad esempio come mai uno studente dovrebbe scegliere un bunker in mezzo alla neve in un posto desolato per trovare concentrazione. Tutto il film è pervaso da una connotazione grottesca, uno humor nero efficace in una famiglia disfunzionale.
Un film che procede lentamente, conosciamo dallo sguardo del protagonista le varie situazioni e le regole rigide che intercorrono in questa forzata convivenza. Non ci vuole molto a far scattare la scintilla e minare così la psiche e violentare il suo equilibrio psicologico.
Diventa un viaggio all'inferno dove a parte un luciferino Klaus che nella sua apparente fanciullezza e un lieve ritardo mentale gode nel provare piacere delle situazioni più depravate, per arrivare poi a lei, alla madre, assoluta protagonista, la quale tiene in scacco la famiglia obbedendo lei come gli altri a questa grossa ferita parlante sulla gamba di nome Heinrich.
E'un film fuori dall'ordinario, folle, malato, a tratti geniale e con alcune buone trovate che non cade mai nell'essere un horror vero e proprio ma confermando di essere un tesissimo film di genere riuscendo a rendere ogni scena oppressiva e claustrofobica. Purtroppo l'unico problema è legato ad uno script che dalla seconda metà in avanti sembra abbastanza chiaro dove voglia andare a parare senza guizzi narrativi o colpi di scena.