Titolo: Partisan
Regia: Ariel Kleiman
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
L’undicenne Alexander vive in una
sorta di comune alla periferia degradata di una città senza nome.
Capo della piccola comunità composta da donne e bambini è un solo
uomo adulto, Gregori, figura carismatica che governa incontrastata
elargendo affetto e regole ferree, insegnando ai bambini a coltivare
la terra ma anche a uccidere, sia per procurarsi il sostentamento
vitale che per difendersi da un mondo esterno che Gregori descrive
loro come ostile, ingiusto e crudele. Alexander però è sveglio e
curioso, durante le sue missioni omicide al di fuori dalla comune
raccoglie piccoli oggetti e viene in contatto con gli abitanti di
quel mondo esterno, cominciando a porsi qualche domanda sulle regole
imposte da Gregori e su quel padre padrone di cui ha sempre accettato
la weltanschauung.
Il punto di domanda è questo: c'era
davvero bisogno di inserire la parabola dei bambini killer?
Partisan è un bel film con tanti
elementi che non funzionano o meglio che non ho gradito anche se
rimane affascinante e in alcuni momenti magnetico per la potenza e la
poesia delle immagini.
Fino ad un certo punto anche la
sceneggiatura sembra funzionare con il mistero più grosso che rimane
celato fino al secondo atto.
Senza contare i dialoghi e la messa in
scena che nel primo atto raggiunge la perfezione grazie a dei tempi
abbastanza dilatati e un incidente scatenante che apre il sipario a
chissà quale alternativo scenario distopico e grazie ad una possente
interpretazione di Cassel nel ruolo del leader carismatico Gregorie
in un contesto tutto sommato alternativo e molto particolare, come la
location in cui vivono.
E'proprio il gioco, la struttura del
gruppo, che seppur portata
alle estreme conseguenze, il
fatto di stare relegati e nascosti dalla società in un limbo di
isolamento in cui si incatena dentro una propria quasi sottocultura,
e infine il ruolo della donna e il suo significato in questa sorta
di harem dove il protagonista accoglie madri e bambini vittime di
maltrattamenti.
Nonostante il bel finale aperto e un
climax che appare di fatto abbastanza scontato, il film di Kleiman ha
il difetto di voler esagerare in un contesto che non lo richiedeva
esplodendo lampi di violenza quasi per certi aspetti gratuita.
L'autocompiacimento della regista che dimostra comunque di avere
padronanza del mezzo cinematografico rischia di essere proprio uno
dei suoi limiti portando a livelli alti un certo tipo di simbologia,
trovando un neofita come Jeremy Chabriel, di impressionante intensità
espressiva e capace di comunicare ed esprimere stando fermo immobile.