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sabato 13 maggio 2023

Deadstream

Titolo: Deadstream
Regia: Winter Brothers
Anno: 2022
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Shawn Ruddy, influencer caduto in disgrazia e schiavo dei suoi follower, decide di riguadagnare la popolarità perduta con lo stunt più esagerato possibile. Promette di passare la notte nella casa infestata più celebre della zona senza mai scappare - pena l'annullamento del contratto con lo sponsor - e promette di registrarsi in diretta streaming mentre esplora la villa abbandonata. Il suo arrivo, però, risveglia uno spirito malvagio in cerca di vendetta.
 
Deadstream è un mockumentary di quelli che potevano se non altro avere ottimi spunti per rendersi simpatici. Il fenomeno degli youtuber (così come molte altre piattaforme e social più recenti) ormai pur di fare visual e cercare nuovi iscritti sono capaci di fare qualsiasi cosa arrivando a perdere la dignità come in tanti hanno già fatto o continuano a fare. Shawn Ruddy il protagonista, che poi è lo stesso Winter attore e regista, fa di tutto per stare antipatico e in questo il film ci aveva visto bene con delle belle premesse dando però troppo per scontato il fatto che andrà a bussare alla porta sbagliata.
Il personaggio di Chrissy non funziona in termini di fedeltà alla materia narrativa e poi i jumpin scare nel finale, per fortuna almeno old school, non riescono a infondere un'atmosfera di tensione al ritmo e alla trama. Bisogna anche riconoscere ai Winter Brothers dopo l'ottimo segmento To Hell And Back di V/H/S/99
di provare almeno ad essere dissacranti e politicamente scorretti mandando in vacca e all'inferno questi personaggi scriteriati che ora più che mai inquinano la rete in cerca di un ascolto per sedare le loro lacune mentali.

domenica 20 novembre 2022

V/h/s 94


Titolo: V/h/s 94
Regia: AA,VV
Anno: 2021
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Un misterioso nastro VHS conduce una squadra di polizia S.W.A.T. alla scoperta di un culto sinistro, che colleziona materiale preregistrato dall'aspetto inquietante. Ogni video nasconde una storia e ne vengono visionati quattro. In Storm drain la giornalista di Channel 6 - Holly Marciano - indaga, assieme al cameraman Jeff, sulla leggenda dell'Uomo Ratto, una strana creatura metà uomo e metà topo. The empty wake racconta di una giovane donna, Hayley, sola di notte in una sala di pompe funebri, decisa a condurre una veglia funebre. Il tempo passa, senza che nessun visitatore acceda al locale, sino a quando la sua attenzione viene attratta da rumori provenire dall'interno della bara. The subject, propone un'unità di polizia che irrompe nel laboratorio di uno scienziato folle, il Dr. James Suhendra, intenzionato a trasformare le persone in cyborg. Infine, in Terror assistiamo alle attività di un gruppo di estremisti armati, denominato "First Patriots Movement Militia", che sta pianificando di assaltare un edificio federale facendo ricorso a una mostruosa creatura.

V/h/s 94 come sempre è una piccola antologia sporca e cattiva, lurida e piena di cose che nessuno vorrebbe mai vedere per questo la trovo una delle antologie horror migliori degli ultimi anni. Semplicemente è libera da ogni freno inibitore che tante altre serie per problemi di distribuzione, target da rispettare, non hanno quella presunzione e quel wtf che in questa saga invece naviga libero da ogni regola e schema. C'è anche da dire che non sono proprio tutti riusciti, ci sono i soliti alti e bassi ma qui con Storm e Subject si naviga molto in alto mentre tutti gli altri rimangono comunque ben al di sopra della sufficienza. Insomma una bella sorpresa dopo l'ultimo VIRAL del 2014 una delusione totale. Sette, bifolchi estremisti alle prese con qualcosa più grande di loro, rituali per svegliare i morti, creature che vivono nelle fogne è vengono adorati come una divinità e infine esperimenti a danno di esseri umani per i piani folli di un medico sadico e pazzo. Tutto questo poi come sempre per i mockumentary sporcando ed elaborando le riprese in formato vhs deperito con sputinature e salti di immagine disturbandola e spesso falciandola di netto per poi riprenderla.

sabato 18 giugno 2022

ABCs of death 2


Titolo: ABCs of death 2
Regia: AA,VV
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Sequel della più ambiziosa antologia cinematografica mai realizzata. Ciascuno dei 26 registi coinvolti - tra i massimi talenti a livello mondiale del cinema contemporaneo - dirige uno dei 26 capitoli individuali, libero di scegliere una parola - che inizia con la lettera a lui assegnata - per creare una storia dedicata alla morte.

Anche qui troviamo alcuni dei master dell'horror contemporaneo: Robert Morgan , Aharon Keshales e Navot Papushado, Jim Hosking, Jen e Sylvia Soska, Vincenzo Natali, Steven Kostanski, Julien Maury e Alexandre Bustillo. Nonostante la critica abbia bocciato il primo capitolo per dare risalto a questo secondo penso invece che in un modo o nell'altro siano sullo stesso piano anche se in questa seconda tranche sicuramente si verte meno sul weird quindi sulle flautulenze e le merde assassine del primo capitolo.
A is for Amateur (di E. L. Katz) è assolutamente ironico e grottesco allo stesso tempo dove un killer rimane imprigionato nell'impianto di ventilazione ma riuscirà lo stesso, anche da morto, a svolgere la propria missione.
B is for Badger (J. Barratt) Barratt al suo esordio dirige un mockumentary sulle radiazioni e delle talpe cannibale in pochissimi minuti se non fosse che non le vediamo mai..ma di per sè la prova non è affatto male
C is for Capital Punishment (J. Gilbey) un uomo viene incolpato ingiustamente per la morte di una ragazzina di cui non è il responsabile. Finirà davvero molto male..
D is for Deloused (R. Morgan) R.Morgan non compare tra i registi eppure il suo corto in stop motion è forse uno dei risultati più originali, malati che meglio coglie lo spirito del progetto
I is for Invincible (E. Matti) sembra la parodia dei classici risultati in cui si cerca di uccidere i parenti per avere l'eredità..ma con gli ultracentenari sarà molto difficile.
J is for Jesus (D. Ramalho) un torture porn lgbt su un omosessuale che come Gesù torna in vita per vendicare il suo compagno..blasfemo ma originale
O is for Ochlocracy (H. Ohata) una corte di morti viventi giudica una donna per aver ucciso alcuni di loro..
W is for Wish (S. Kostanski) chi, da bambino, non ha mai desiderato di vivere le avventure del suo eroe preferito?
Ecco, gli (s)fortunati ragazzini protagonisti di questo corto scopriranno, a loro spese, che il loro sogno è diventato realtà. Crudelissimo, violentissimo, bellissimo dall'autore di Psycho Goreman e Manborg.


sabato 5 marzo 2022

Paranormal Activity-Next of Kin


Titolo: Paranormal Activity-Next of Kin
Regia: William Eubank
Anno: 2021
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

L'adottata Margot, giovane film-maker in erba, viene contattata da Samuel, suo consanguineo, e accetta il suo invito a visitare la comunità Amish nella quale è nata e ha vissuto la sua madre naturale, Sarah, decidendo altresì di girare un documentario in loco assieme all'aiuto del suo boyfriend Chris e di un tecnico del suono lungagnone e bizzarro.
 
E'la prima volta che mi capita di vedere un capitolo della serie PARANORMAL ACTIVITY.
Per qualche strana ragione amando l'horror non ho mai trovato interesse per questa serie fatta eccezione di questo Next of Kin girato come mockumentary parlando di una comunità di Amish e qualche rito strano che avevo premura di visionare. E per fortuna si è rivelata una bella visione sin dall'inizio quando grazie ad una certa atmosfera si avverte già un male sempre presente che sfocerà in un vero e proprio orrore a danno di una comunità per poi allargarsi. Uno spin-off che si discosta dalle due sorelle protagoniste della serie ma che mantiene sempre il filone e la tematica del concetto di maledizione come fatto ereditario. Nel finale quando il demone viene liberato e la macchina cerca di scappare filmando la strage che avviene nella comunità Amish sembra di vedere un episodio di V/H/S così come le parti in fondo al pozzo e lo strano rito ai danni di Margot.
Con un finale soprannaturale ed esagerato, questo capitolo ha avuto il coraggio e l'ambizione di esplorare un nuovo territorio, inserendo una location sempre provocante (la comunità con i loro segreti e misteri) e la dose gore e di panico a cui l'opera non si sottrae.

venerdì 9 luglio 2021

Fuck you immortality


Titolo: Fuck you immortality
Regia: Federico Scargiali
Anno: 2019
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Tony e Kacy sono due hippie con un chiodo fisso: ritrovare il loro vecchio amico Joe che, a quanto pare, è rimasto giovane come ai tempi delle comuni. Vegani, cultori delle droghe psichedeliche e con le radici saldamente piantate negli anni ’70, la coppia scoprirà ben presto che il loro amico è immortale, ma stufo marcio della sua vita eterna. In nome della loro vecchia amicizia, Tony e Kacy tenteranno di uccidere Joe in qualsiasi modo e di aiutarlo nel contrappasso, ma nulla sembra funzionare. Tra ninja assetati di sangue, furiosi metallari, wrestler, sciamani e antichi rituali, i due si imbarcheranno in un viaggio senza ritorno.
Scargiali ha sicuramente del coraggio per un mockumentary così ambizioso e particolare.

Fuck you immortality è un corollario weird di interviste, scene truculente e splatter nonchè torture (il tutto accettato dalla presunta "vittima"), un road movie dove non mancano momenti esilaranti, yoga, peace & love, yippie e fricchettoni, personaggi strambi, ninja e bifolchi.
Un puzzle sconnesso in senso positivo anche se altalenante nel ritmo, per un autore amante del cinema di genere che gira in inglese per creare quel respiro internazionale. Fuck you immortality (il titolo forse è la parte migliore) resta un'opera davvero strana e in parte insensata. Negli ultimi 40' quando i nostri protagonisti trovano Joe avviene l'impensabile in senso buono, eppure il film per tanto tempo latita con interviste non sempre così interessanti e accattivanti e monologhi che spezzano l'atmosfera che il fim seppur con un budget limitato riesce più volte a conservare.

mercoledì 1 luglio 2020

Antrum


Titolo: Antrum
Regia: David Amito, Michael Laicini
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un breve documentario ci introduce alle leggende che circolano su questo Antrum, fantomatico film del 1979 che solo poche persone hanno avuto il (dis)piacere di visionare. Ogni spettatore è incappato in un tragico destino fatto di morte. La storia è pressoché basilare. Due bambini decidono di rivedere il loro cane per un’ultima volta e, in mezzo ad una foresta, attuano un rito demoniaco che li possa portare all’inferno. Luogo dove, a detta di una madre insensibile, si trova il loro cane.

L'inferno sulla terra è ben più disturbante di quello nelle sacre scritture, una coppia di redneck che sodomizza animali e ne cuoce le carni in un grosso e blasfemo forno metallico a forma di capro satanico può far molta più paura di una maledizione o della visita fugace di un mostro.
Antrum è un film indipendente furbetto che inciampa in diversi errori o tentativi irritanti e pretenziosi ormai più che abusati per incuriosire gli spettatori, partendo come un mockumentary e mostrando la maledizione legata al film per poi concentrarsi sulla storia vera e propria.
Scavare una buca per andare all'inferno, seguire i passi di un libro maledetto, tutto porta i due piccoli Hansel & Gretel a confrontarsi con una natura oscura e confusa, un labirinto metafisico dal quale è impossibile scappare lasciando nascoste tracce di degenerazione e apparizioni surreali con sembianze umane (il giapponese che cerca di fare harakiri) o creature nascoste dal buio o dalla nebbia. Il tutto in un crescendo che parte dalle fake news, continua con le prove iniziatiche dei due fratelli e finisce in pasto ai redneck. Antrum è un film che cerca di disorientare e disturbare il pubblico centellinando l'azione e puntando molto sull'aspetto tecnico con un'estetica retrò in 35mm con con graffi e puntinature vari, con una patina assai lontana dall’immagine digitale e asetticamente perfetta a cui siamo ora abituati, che riporta caratteri marcatamente esoterici e frammenti di quello che ha tutta l’aria di essere uno snuff movie. Antrum non cerca la narrazione o un'idea specifica di cosa voler mettere in mostra auto definendosi ad un concetto di esperienza visiva.



martedì 7 gennaio 2020

Daim


Titolo: Daim
Regia: Quentin Dupieux
Anno: 2019
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Il protagonista è un uomo che si trova ossessionato da una giacca di cervo comprata mentre sta fuggendo, forse, dalla sua vita.
Si isola in un piccolo paesino montano in cui finge di essere regista, ma la giacca comincia a occupargli la mente con un proposito: diventare l’unica giacca esistente al mondo e fare di lui l’unico proprietario di una giacca.

Quentin Dupieux alias Mr Oizo è un dj ma anche un grande regista indipendente alternativo.
Come per la musica, segue un suo percorso personale che lo porta a scelte spesso bizzarre che sembrano sfiorare il trash per quanto assomiglino a dei veri e propri quadri grotteschi.
Una commedia nera dove si ride anche e molto ma per quella scelta singolare di combinare l'azione che ormai l'artista ha saputo fare sua, creandosi una sua politica d'intenti personale, un suo linguaggio tutt'altro che banale come spesso potrebbe essere frainteso.
Wrong CopsWrongRubber, tutti avevano a loro modo qualche scena madre da ricordare, e l'ultimo Daim oltre ad essere un rientro in patria per l'autore che si stacca dagli Usa, nemmeno a farlo apposta è il film più maturo, esilarante, politico, assurdo, drammatico e violento.
In un paesino di montagna dove sembrano vivere solo persone sole e disilluse dalla vita, Georges sembra filtrare attraverso il suo sguardo perso e la sua nuova telecamera digitale, il ritratto realistico di come la solitudine possa tessere la tela della follia.
Attraverso paradossi e dialoghi assurdi, obblighi e verità, giochi sull'identità e una giacca che prende sempre più forma, il film fa un ritratto con la commedia di costume fino a generare disagio. Dupieux traccia un quadro molto espressivo della noia che regna nelle province francesi più remote e lo fa senza prendersi mai troppo sul serio, arrivando a fare un'evoluzione molto netta in termini di intenti e messaggi e riflessioni presenti nel film, ma al contempo riuscendo con tutti gli enigmi iniziali del primo atto a tessere un film brillante e raffinato, sempre al confine tra commedia assurda e dramma realistico sulla follia, interpretato dagli eccellenti Jean Dujardin e Adèle Haenel.
Un film che mescola i generi passando dalla commedia nera, al dramma sociale, al grottesco, allo slasher, allo splatter fino al mockumentary. Tutti ingredienti deliziosi che trovano un'ottima collocazione in una storia che non smette di stupire e di apparire così maledettamente assurda e affascinante.


martedì 2 luglio 2019

Open Water


Titolo: Open Water
Regia: Chris Kentis
Anno: 2003
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Susan e Daniel stanno attraversando un periodo di stress e nervosismo a causa del lavoro che porta via loro troppo tempo e di una scarsa comunicazione. Per sopperire a queste lacune, i due decidono di partire per una vacanza da sogno ai Caraibi, luogo magico e adatto alla loro passione atavica preferita, la subacquea. Giunti in quello che alcuni definiscono il paradiso terrestre, Susan e Daniel si prenotano con una compagnia locale per l’immersione tanto agognata. Quando la barca parte per il mare aperto, i due non sospettano nemmeno il loro sfortunato destino. Quella che doveva essere una gita di riappacificazione tra pesciolini colorati e variegati si tramuta immediatamente in un incubo dal momento che il mezzo riparte per la terraferma senza accorgersi che la coppia non è rientrata. Quando riemergono in superficie si rendono conto della gravità della situazione, soli, dispersi in mezzo all’oceano e trascinati per di più dalla corrente. Non ci vorrà molto prima che la situazione peggiori, Susan e Daniel, difatti, prendono coscienza di ciò che accade sotto di loro: un branco di squali è pronto ad attaccare.

L'elemento di forza di Open Water non credo sia che è tratto da una storia vera (d'altronde la drammaticità della cronaca mondana ci porta a pensare che possano essere successe situazioni ben più terrificanti di questa) bensì l'atmosfera in cui Kentis relega letteralmente la coppia in questione.
L'abbandono fa paura più degli squali e la paura di non sapere cosa accadrà, dell'ossigeno che sta terminando, della mancanza di viveri per sopravvivere, sono elementi che a conti fatti creano il terrore quello vero e puro che in mezzo all'oceano diventa ancora più terribile.
L'intento fa da padrone a dispetto purtroppo di una regia tremolante, anch'essa figlia del Parkinson effect dei registi figli di Blair Witch Project e del mockumentary o found footage, con riprese così mosse che sembra davvero di essere lì soffrendo il mar di mare al posto dei due protagonisti




venerdì 14 giugno 2019

Blair Witch Project


Titolo: Blair Witch Project
Regia: Daniel Myrick, Eduardo Sanchez
Anno: 1999
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Ottobre 1994. Heather Donahue, Joshua Leonard e Michael Williams, tre studenti dell'Università di Cinema di Montgomery, si avventurano nei boschi attorno alla cittadina di Burkittsville (in passato chiamata Blair), nel Maryland, per girare un documentario sulla leggenda della strega di Blair. Armati di telecamera sedici millimetri in bianco e nero, destinata al racconto della storia, e di una piccola videocamera otto millimetri a colori, per le riprese di una sorta di backstage, i tre si mettono al lavoro, spinti dall'entusiasmo della ragazza, decisa a girare il suo primo film. Il soggetto è succulento: Elly Kedward, accusata di stregoneria, viene cacciata dalla città di Blair alla fine del 1700. Dopo la sua fuga nei boschi, molti ragazzini scompaiono in quelle stesse foreste e, negli anni '40, un serial killer uccide sette bambini e sostiene di averlo fatto su ordine del fantasma della strega. Dopo aver intervistato alcuni abitanti della cittadina, i tre aspiranti filmmakers si spingono nel bosco alla ricerca della chiave del mistero. Ma ben presto si perdono, pedinati da un'oscura e terrificante presenza.

Ricordo ancora la mia espressione basita di fronte al cinema in via po.
Avevo 17 anni amavo l'horror più di qualsiasi altra cosa e dentro di me si faceva sempre più spazio l'idea che il film in questione fosse una bufala commerciale.
Ricordo ancora i salti del pubblico e alcune ragazze che uscirono dalla sala terrorizzate mentre io vedevo solo immagini confuse senza capirci nulla e odiando profondamente i registi e il montatore.

Blair Witch Project è un film orrendo che ha sdoganato il mockumentary che tranne poche eccezioni, rimane uno strumento furbo e rozzo per cercare di fare soldi e procacciarsi un pubblico che ne rimanga colpito, magari sdoganando qualche teoria complottista, o dicendo che il film è tratto da una storia vera o bufalate simili.
L'idea venuta in mente ai due registi non era poi male, cercava di trovare soprattutto al di là dello schermo, degli elementi reali che potessero catturare l'attenzione e creare così mistero e suspance.
Il mockumentary a parte averci regalato dal punto di vista tecnico le peggiori inquadrature mai viste e un ritmo e un montaggio che rischiano di portare all'epilessia ha avuto nel suo nutrito numero di prodotti un successo che ancora stento a credere.
Il fulcro o l'espediente commerciale del sotto genere e di alcuni film che hanno incassato bene (questo più di tutti) stava proprio nel creare uno stato emotivo ansiogeno dei protagonisti persi nel bosco o come accadeva in OPEN WATER dentro un oceano.
Senza buttare tutto e dando i precisi meriti laddove esistano, questa peculiarità ha creato sicuramente un precedente che il cinema ancora non palesava così tanto, basti pensare a forse l'unico capolavoro, il film più importante, REC di Balaguero, dove un maestro delle atmosfere e della suspance ricorre in modo funzionale ad una tecnica come quella sopra citata.
Il risultato di questo film è aver creato una macchina che nel giro di pochi anni semplicemente ha esagerato creando film quasi tutti simili e dando la possibilità a milioni di improvvisati registi di farsi dei piccoli film artigianali inondando le sale con fenomeni appunto amatoriali di scarso interesse.


Cloverfield


Titolo: Cloverfield
Regia: Matt Reeves
Anno: 2008
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

New York, una sera come tante altre. Un gruppo di amici organizza una festa a sorpresa, tutto sembra tranquillo, finché un boato fa tremare le pareti della casa in cui si svolge il party ed il cielo si illumina a causa di forti esplosioni. Non è un terremoto, né un attentato ma qualcosa di molto meno prevedibile...

Tra i mockumentary o found footage menzionabili nel corso degli anni dopo quelli che al livello di pubblico e critica lanciarono il fenomeno CANNIBAL HOLOCAUST(1980) BLAIR WITCH PROJECT(1999), seppur ne siano usciti molti da varie parti del pianeta, i risultati sono spesso stati mediocri senza mai parlare di qualcosa di nuovo o originale. Il film di Matt Reeves deve tutto alla collaborazione con un asso nella manica di nome Drew Goddard in grado di dare enfasi e pathos ad una scatoletta di sardine e ad Abrahms dietro le fila che dopo il successo di LOST aveva porte spalancate ovunque e qualsiasi cosa dicesse o facesse aveva un seguito.
Come ha dimostrato in altre opere, unire la paura che all'epoca di internet era sempre più social diventando virale come virali erano le fake news, inglobava da solo questa temutissima paura per l'Altro culturale, le Torri Gemelle, attacchi che potevano arrivare da cielo e aria, da un momento all'altro in una New York mai così devastata dal cinema negli ultimi anni.
Unire queste paure condendole con qualcosa di assolutamente esagerato come un drago o un lucertolone, facendo slittare così il concetto di realisticità verso assurdi mai visti, ma soprattutto facendolo vedere il meno possibile il mostro, si rivelò un ottimo espediente non solo di marketing ma soprattutto per creare un'atmosfera nuova più post contemporanea che facesse meno ricorso al sangue e agli squartamenti.
L'idea di una creatura che possa devastare quanto ci è più vicino lasciandoci come formiche nude in degli spazi angusti come lo possono essere gli edifici metropolitani della grande mela, è stato indubbiamente un passo in avanti per cogliere a mio avviso alcuni sotto effetti di una devastante alienazione consumista in atto nel mondo e puntare su una scenografia e una location almeno non abusata che di questi tempi è già un grosso vantaggio.

lunedì 11 febbraio 2019

One cut of the dead


Titolo: One cut of the dead
Regia: Shinichiro Ueda
Anno: 2017
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Una troupe sta girando uno zombie film indipendente quando viene assalita da veri zombie, risvegliati dal regista invasato per avere un effetto cinematografico più "reale". E se fosse tutto un making of?

Sono rimasto colpito dall'entusiasmo con cui è stato premiato e ha avuto incassi da capogiro l'ennesimo film di zombie con una virata strategicamente furba ma in fondo nemmeno così interessante come ci si poteva aspettare.
In un'epoca bombardata dai social, dalle serie tv, da film commerciali creati con lo stampino per essere a tutti gli effetti gregari post contemporanei di un'altra fetta di cinema, faccio davvero difficoltà a capire perchè questo film sia diventato quasi un cult soprattutto in Oriente.
L'idea di scardinare un concetto fatto e finito nel cinema di genere non è poi un elemento così raro di questi tempi. Basta saper cercare nei punti giusti ma l'universo cinematografico è onnivoro è pieno di opere bizzarre, con delle sceneggiature semplicemente aperte a cercare di essere mischiate o variegate con ciò che già si aveva.
Nel film di Ueda la struttura e il ribaltamento degli atti, aiuta a sconvolgere la psiche dello spettatore, ma essendo una tecnica di montaggio, bisogna tener conto che più di ciò non è, lasciando lo stesso i dubbi e le perplessità e la noia, di vedere in fondo la stessa azione giocata su piani e ambienti diversi, ma esasperata come solo gli orientali (o meglio i giapponesi) sanno fare.
Ho trovato il film una mossa commerciale astuta come poteva esserlo ai tempi BLAIR WITCH PROJECT, ma non per questo bello, interessante o che mi abbia trasmesso qualcosa di "originale".
Siamo di nuovo in tempi dove il genere essendo inflazionato ha bisogno di migliorie che ne cambino di poco l'assetto o la forma ma lasciando medesimo il risultato.
Tantissimo fumo a questo giro per un indie costato 20.000 dollari di budget e che (finora) ne ha incassati 27 milioni solo in patria.

giovedì 18 ottobre 2018

Devil and father Amorth


Titolo: Devil and father Amorth
Regia: William Friedkin
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Il regista William Friedkin ha ripreso il celebre sacerdote Padre Amorth in occasione della pratica di uno dei suoi esorcismi, eseguito su una donna che aveva manifestato comportamenti terrficanti e inspiegabili a livello psichiatrico.

Dura poco più di un'ora il documentario di Friedkin su padre Amorth.
Nasce da un bisogno, quello del regista che aveva diretto il cult L'ESORCISTA, film che scosse profondamente Amorth che anni e anni dopo (circa 40) decide di permettere al regista americano di filmare un esorcismo. Solo per quello dunque documentare un esorcismo perchè in realtà altri motivi non sembrano esserci e appare piuttosto chiaro.
In realtà quello che filma, senza troupe, da solo e con una piccola telecamera, è il nono tentativo di esorcizzare Cristina, una ragazza che abita vicino Roma e che fino al momento, in cui non vediamo realmente che succede, non possiamo renderci conto di cosa abbiamo di fronte.
Partiamo da un piccolo presupposto per quello che è un lavoro senza dubbio interessante ma con molti limiti e un'estetica troppo sensazionalistica.
Friedkin filma un quarto d’ora di questa poveretta seduta su una sedia con il vecchio prete che mugugna preghiere e benedizioni e parla col presunto Diavolo in compagnia di altre persone tra cui tre uomini oltre Amorth che cercano di bloccare la ragazza (uno di questi è il suo ragazzo forse uno dei personaggi più inquietanti del documentario, su cui però non viene fatta luce).
Sospendendo il giudizio, in quanto ateo che non crede in queste cose, ma ne rimane profondamente affascinato, in quanto fatti sociali umani e creati dall'uomo, un paio di momenti in cui mi sono davvero chiesto, come il regista, se quello a cui stavo assistendo fosse del tutto reale sono capitati.
Il problema è che anche la scena di sofferenza in sè risulta per certi versi tragicomica.
In particolare per un effetto anche se poi ho scoperto che è stato modificato in post produzione, almeno lo spero, che riguarda lo sdoppiamento della voce di Cristina.
Friedkin subito dopo l'intervista, fece vedere le immagini a neuropsichiatri, compagnie di psichiatri e altri esperti del settore come anche un vescovo che vedendo le immagini, ci crede, ma dice di aver troppa paura per prendere atto ad un esorcismo o farne uno oppure un'intervista alla buon'anima di William Peter Blatty che non sembra avere molta attinenza.
La comunità scientifica, seppur basita, parla come del resto non poteva non fare, di come alcuni disturbi vengano citati nel Dsm e che hanno dei nomi ben precisi come la trance dissociativa, il delirio e altri stati alterati della percezione. Cristina poi è posseduta da 89 demoni.
Il finale è forse l'artificio che Friedkin per cercare di spiazzare e di lasciare con il fiato sospeso filma una brutta ricostruzione trash dove lui e un assistente di Amorth, che nel frattempo è morto, scappano dalla chiesa dove avrebbero incontrato Cristina con il uomo che per giunta minaccia i familiari del regista.

Terribile il finale ma mai come la figura che è stata di padre Amorth che ha sempre criticato quasi tutto uscendosene con delle frasi memorabili che resteranno come monito per fare chiarezza su un altro personaggio religioso misterioso senza dubbio e di cui a differenza di Friedkin mi è sempre sembrato un altro servo della Chiesa senza particolare verve.

lunedì 3 settembre 2018

Vampires(2010)


Titolo: Vampires
Regia: Vincent Lannoo
Anno: 2010
Paese: Belgio
Giudizio: 4/5

Le prime due troupe che hanno tentato di fare questo documentario sono scomparse, racconta il regista. Ma la terza ce la fa: entra nella casa dei Saint-Germain, la famiglia belga di vampiri che ha accettato di raccontarsi davanti alle telecamere, intervista i loro amici e i vicini, registra le crisi tra genitori e figli.

Vampires è quella chicca che non ti aspetti. Un'opera che non deve essere passata inosservata al mockumentary di Waititi What we do in the shadows.
Sono davvero tanti gli elementi in comune. Il mockumentary di Lannoo purtroppo senza aver ancora trovato una distribuzione, è qualcosa di innovativo, un documentario che non perde mai la sua forza riuscendo in maniera straordinaria a dire ancora tante cose originali sui signori della notte, fondendo l'orrore quotidiano e le risate con un'atmosfera che diventa sempre più inquietante.
Tra le comunità mondiali, quella belga si distingue per la grande nobiltà dei suoi elementi, famiglie di un certo prestigio, come i Saint-Germain; George, il capofamiglia, Bertha, la devota moglie, e i due figli, Samson e Grace, quest'ultima in piena crisi adolescenziale, visto che si veste ostinatamente di rosa, con la speranza un giorno di ridiventare umana. Di questo allegro gruppo familiare fanno parte anche "la carne", una giovane prostituta che ogni giorno rifornisce di sangue gli abitanti della villa, e due inquilini per nulla amati, relegati per questo in cantina, Elisabeth e Bienvenu, appartenente ad una nobile casata di succhia sangue la prima, ex aiutante di Louis Pasteur il secondo, i quali sembrano vivere ancora più all'estremo se pensiamo a Elizabeth che vorrebbe avere figli ma li divora appena nascono o alla passione di Bienvenu per i bambini.
La vita di tutti viene sconvolta quando Georges commissiona ad un canale televisivo nazionale un documentario che dovrebbe aiutare il pubblico a comprendere meglio chi siano in realtà quelle creature così strane. Dopo due tentativi falliti (i giornalisti sono stati tutti sbranati), il terzo sembra funzionare. La telecamera della troupe tv entra nei meandri di questa società basata su regole ferree, impartite da un leader supremo che è un bambino di otto anni, vampirizzato secoli prima, e svela particolari sconosciuti ai più, assistendo a crisi di nervi o a confessioni incredibili quando un amico della famiglia sostiene di essere uno dei membri del gruppo The Doors.
Chi alla fine, tra vampiri e uomini, abbia davvero compreso qualcosa dell'altro è tutto da vedere.
I Saint German amano il sangue umano, non si fanno problemi ad uccidere i bambini o gli handicappati, sono promiscui, incestuosi, il figlio va spesso con la madre mentre la figlia che vuole diventare umana si porta il ragazzo nella bara e perlopiù ninfomani fino a che non vengono violate delle leggi che i vampiri devono rispettare e allora succede l'irreparabile.
Sotto questa superficie di apparente leggerezza, che permette di sdrammatizzare anche i momenti più sanguinolenti (la cena in una casa di vampiri non è esattamente un galà), si allude, infatti, anche a tematiche profonde e profondamente disturbanti senza negare una certa preferenza in campo culinario (sono stufi di mangiare i tipi di colore che tanto non verrà mai a cercare nessuno).

Un film che solo verso la fine quando il nucleo viene mandato in Canada dove addirittura vampiri e umani sembrano collaborare per via di una certa politica democratica e infatti alcune azioni sembrano susseguirsi dando l'idea di aver perso con la loro casa anche una parte d'anima dell'opera.

domenica 19 febbraio 2017

Cueva aka In darkness we fall

Titolo: Cueva aka In darkness we fall
Regia: Alfredo Montero
Anno: 2014
Paese: Spagna
Giudizio: 3/5

Tre ragazzi e due ragazze di città vanno in vacanza su un'isola paradisiaca. Dopo aver affittato delle motociclette, vanno in giro per i posti più belli e nascosti fino a fermarsi tra i boschi nei pressi di una scogliera, dove si ubriacano e fanno il bagno in mare. Il giorno dopo, però, entrano all'interno di una profonda e labirintica grotta da cui non riescono più ad uscire. Senza acqua e cibo, per sopravvivere soffriranno l'esperienza più estrema e disumana che una persona possa mai affrontare.

La Cueva è un mockumentary ansiogeno tutto giocato sull'atmosfera e la caratterizzazione degli attori. Un film che parte in modo semplice e come tale rimane, giocando sul senso di dispersione, l'ansia, la paura e i sentimenti umani senza dover ricorrere ad elementi esterni quasi sempre surreali.
Una bravata come un'altra che nasce con un intento nobile e comune, la curiosità e la sete di conoscenza, ma anche tecnologicamente moderna come caricare tutto il materiale sul proprio blog come fa uno dei protagonisti per finire nel più ovvio e intricato labirinto.
A parte la certezza di sapere bene o male quale piega prenderà il film e quale dei protagonisti riuscirà a salvarsi, purtroppo la scelta almeno sul secondo fattore si palesa dopo pochi minuti. Montero parte subito ingranando la marcia e dopo nemmeno un terzo del film siamo all'interno delle grotte. Poche luci, poca acqua, le difficoltà che aumentano e alcuni personaggi che rispecchiano degli stereotipi soliti e niente affatto originali ma abbastanza funzionali per la trama.
Un film girato con un budget ridottissimo e una tecnica che negli ultimi vent'anni dopo BLAIR WITCH PROJECT ha fatto scuola diventando commercialmente low budget e funzionale per tanti sotto-generi dell'horror.

Un found footage che gioca con le poche armi che fa e sceglie una narrazione adeguata alle circostanze cercando di trovare quella forma commerciale che possa dare qualche elemento originale come i titoli di testa e l'incidente scatenante e un finale che almeno non mostra, come quasi tutti farebbero, l'aspetto del revenge-movie e della carneficina fine a se stessa.

martedì 13 dicembre 2016

Solengo

Titolo: Solengo
Regia: Alessio Rigo De Righi, Matteo Zoppis
Anno: 2015
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

In una località di campagna un gruppo di anziani evoca la vita di Mario de Marcella, un eremita che viveva nei boschi circostanti. Le vivaci discussioni che seguono sono spesso contrastanti. L’eremita, noto come “il solengo” il cinghiale solitario, ha deciso di vivere fuori dal branco.

Il solengo è da tutti paragonato al maschio del cinghiale che vive lontano dal gruppo in solitario.
Ed è proprio così. Mario è un uomo difficile, diffidente e scontroso che preferisce le bestie alle persone e non ama interagire con gli altri. Gli secca pure di salutare le persone e infatti non lo fa, attirando ire e sguardi diffidenti. E'interessante scoprire che esistono persone che decidono di vivere nella società e allo stesso tempo fuori dalla società. La coppia di registi italo-americana continua una ricerca grazie al documentario (tra l'altro vincitore come miglior documentario del TFF 32) in spazi e luoghi desolati come in questo caso la Tuscia, una zona un tempo popolata dagli Etruschi.
E proprio questa incantevole e ostica location, una terra senza tempo, arcaica e primitiva che sembra piano piano scomparire come coloro che la abitano, contadini e cacciatori sempre in gruppo e sempre a testimoniare la loro diffidenza con i forestieri pensando invece al Solengo come un tipo diverso e forse solo un po strambo.
Tutti dicono di aver visto e sentito storie come nella profetica battuta detta durante tutto il mockumentary da quasi tutte le comparse“così dicono, eh, io non lo so”
Figlio di fattucchiera che annunciava apocalissi, forse assassina forse no, la madre di Mario aveva ucciso il padre in un raptus perché questi era sempre ubriaco. Il bambino sembra forse nato in carcere dove la madre scontava la pena o comunque cresciuto in quell’ambiente nei suoi primi anni di vita, scorbutico e anche violento, asociale, ora folle ora incompreso, più a suo agio con la natura che con i suoi simili, sembra addirittura essere stato un figlio illegittimo.
La complessità dell'infanzia, dei traumi e dei ricordi, la gravidanza non voluta, la vita solitaria, l'amore per la natura e tanto altro ancora sono gli strumenti per cercare di comprendere la natura selvaggia e misteriosa di Mario de Marcella.



domenica 27 novembre 2016

#Screamers

Titolo: #Screamers
Regia: Dean Matthew Ronalds
Anno: 2016
Paese: Usa
Festival: TFF°34
Sezione: After Hours
Giudizio: 1/5

Tom Brennan e Chris Grabow sono i creatori di Gigaler, piattaforma di successo su cui vengono pubblicati gli Screamers, clip dall'alto contenuto di terrore. Un giorno ricevono un video con una ragazza in un cimitero e una presenza disturbante alle sue spalle, che diviene subito virale. Incuriositi dalla storia che si nasconde dietro il filmato, Tom e Chris scoprono che la protagonista potrebbe essere Tara Rogers, una giovane scomparsa da tempo.

#Screamers è l'esordio del giovane cineasta indipendente Dean Matthew Ronald.
Il regista sfrutta un sotto-genere dell'horror, il mockumentary, cercando di trovare un'idea funzionale come quella del sito Gigaler dove la gente può caricare ciò che vuole e tramite alcuni motori di ricerca il sito sceglie i video preferiti a seconda del gusto degli utenti.
L'idea del suicidio in diretta non è poi così originale ma poteva rivelarsi ottima come base di partenza per creare l'atmosfera giusta e immergere lo spettatore nella suspance. Invece il film parte in quarta mostrando i protagonisti, si perde in alcuni dialoghi troppo lunghi e fuori luogo e di fatto l'incidente scatenante arriva dopo troppo tempo (l'azione è condensata nei soli dieci minuti finali). Se poi contiamo che la sceneggiatura si perde diventando quasi un'improvvisazione di tutti con delle interpretazioni orrende e una maschera che ogni tanto fa capolino per cercare di spaventare gli spettatori, rimango davvero allibito di fronte ad uno horror privo di tutto in cui non c'è veramente nulla, confermando un brutto lavoro senza sangue, senza costruzione, un film senza senso e che ha un finale telefonato e pasticciato e poi, la cosa più importante, non fa mai paura ripetendo scene a caso e spaventi così allegri che perdono di consistenza e di efficacia già dall'inizio.
Qui si parla di video snuff ridicoli mischiati con una sorta di ghost story e un killer che appare e scompare e dalla storia su Wikipedia sembra addirittura uno dei serial killer ai tempi di Jack lo Squartatore.
Direi che non c'è bisogno di dire altro...il peggior film di questa edizione del TFF 34°




mercoledì 25 maggio 2016

Jeruzalem

Titolo: Jeruzalem
Regia: Doron Paz, Joav Paz
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Due ragazze americane in vacanza in Israele incontrano uno studente di antropologia e decidono di andare insieme a lui a Gerusalemme, durante lo Yom Kippur. La sera in cui arrivano nella città, si scatena l'apocalisse: alcune superstizioni e leggende ataviche si incrociano e innescano l'inferno.

Mancava come città tra il filone dei mockumentary Gerusalemme, una città di impressionante bellezza e costellata di minacce e tensioni. In questo caso anzichè telecamera a mano si passa ad occhiali del "futuro", Google glass, capaci di riprendere tutto al momento, scattare foto e chiamare paparino quando si vuole. Jeruzalem inizia copia e incolla come moltissimi suoi colleghi, infilando però una sorta di esorcismo che finisce male, per piombare in un apocalittico concentrato di atmosfere religiose e porte dell'inferno che si aprono facendo piombare mostri e creature nella città e dicendoci appunto che sotto la città santa come prevedeva il nostro caro Dante ci sia proprio l'inferno.
E'divertente, non cerca mai di prendersi sul serio ma alla fine mostra più di quanto deve...forse anche troppo, esagerando senza ritegno come nella scena del manicomio.
Eppure è uno dei pochi film che tratta un argomento davvero horror e seppur fagocitato di elementi ha un suo perchè.
Alla fine scorre veloce, non perde troppo tempo e arriva subito al dunque regalando qualche saltino dalla sedia.




martedì 28 luglio 2015

Digging up the Marrow

Titolo: Digging up the Marrow
Regia: Adam Green
Anno: 2014
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 2/5

Green interpreta se stesso mentre lavora a un documentario sull'arte dei mostri fino a quando viene contattato da un uomo misterioso di nome William Dekker. Dekker sostiene di poter dimostrare che i mostri sono reali e insiste che queste grottesche creature sono degli umanoidi dimenticati e orribilmente deformi che abitano una vasta metropoli sotterranea dei dannati.

Adam Green non è un regista horror americano di quelli da far perdere la testa.
Nella manciata di film che ha fatto, le idee originali sono tiratissime e a parte una buona tecnica, non ha grossi pregi che lo facciano salire in cima nella rosa dei the best (di cui la maggior parte, ricordo bene, sono europei).
Però almeno cerca, direi che questo film in parte ne è la prova, di cercare di redimersi, dandosi da fare e spremendo le meningi per non creare il solito mostro di turno HATCHET o situazioni carine e nulla più FROZEN.
Per alcuni aspetti mi ha i nuovo fatto venir voglia di vedere quel cult di CABAL per altri mi è sembrato un esperimento solo in parte riuscito soprattutto perchè rivelando già tutto in partenza non permette mai allo spettatore di immedesimarsi nel regista o in Dekker (tra l'altro Ray Wise cosa si è fumato...), giocando con il meta-cinema, andandoci sotto e commettendo un sacco di errori oltre che autocitarsi continuamente come se fosse il migliore tra i registi horror americani contemporanei.
E'un film che parla troppo, Green non sa recitare, ha una moglie figa a cui dovrebbe pensare di più, è se è vero che dice che lavora anche ventidue ore al giorno, beh allora e buono che si faccia due domande. Quello che mi sembra è uno molto fortunato e raccomandato.
Questo suo ultimo film ha l'encomiabile pregio di citare i mostri, di credere nei mostri ( e giustamente non negli alieni come dice in un dialogo), ma allo stesso tempo il film poteva forse solo funzionare una decina di anni fa, in cui sotto certi aspetti, poteva quasi sembrare una scelta originale.
Il mockumentary spesso e volentieri, se non dato in mano a professionisti, è noioso.
Green cerca di superare tutti gli ostacoli provando ad essere più furbo del previsto ma senza riuscirci. Quindi non mostra quasi mai, suggerisce o fa intuire un orrore che però non arriva (le ultime due scene sono davvero patetiche) e crea il suo film più indie e low-budget pensando di aver fatto una mezza genialata.

Forse per qualcuno lo sarà, per me è la riprova di un regista enormemente pompato.

lunedì 22 giugno 2015

Taking of Deborah Logan

Titolo: Taking of Deborah Logan
Regia: Adam Robitel
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Deborah Logan è malata di Alzheimer ed è al centro di alcune riprese per un documentario che testimoni le sue sofferenze e gli sforzi della figlia nell'accudirla. Ciò che inizia come un semplice resoconto medico ben presto scivola nel ritratto esasperante della più spaventosa delle forme di demenza, minacciando la sanità mentale di tutti quanti.

Ormai mi viene spesso l'orticaria quando mi appresto a vedere un mockumentaries/found footage. Spesso per l'inconsistenza dei mezzi e volentieri per come vengono trattati i temi.
In questi ultimi anni sono stati un vero virus capace di attraversare ogni archetipo del genere, purtroppo il più delle volte risultando inadeguati.
Nel vaso di Pandora forse tra gli ultimi farei uscire WHAT WE DO IN THE SHADOWS per ovvi motivi che non starò a citare perchè in passato li ho già trattati.
Taking non parte bene, una brutta locandina in cui emerge il produttore come esponente ancora più importante della stessa pellicola, partorendo l'ennesima cazzata di turno per cui è tratto da una storia vera e un qualcosa di strano che mi aveva fatto storcere il naso ma che poi si è rivelato funzionale al genere e soprattutto al fatto di essere a tratti inquietante.
A dire la verità il vero punto di forza del dramma e dell'atmosfera si ha proprio in quel punto di coincidenza tra malattia e soprannaturale, nella perdità di identità di Deborah, a dispetto di altri elementi che presi da soli sembrano limitare il ritmo del film o sottraendo enfasi da un lato oppure esagerando dall'altra parte.
Taking parte dalla crisi economica come leitmotiv della vicenda per poi spostarsi in un'intervista infinita che non si capisce bene dove voglia arrivare a parare e infine cambiando rotta facendo "resuscitare" stregoni, vomitando vermi e cercando infine di ingoiare bambini per soddisfare rituali ancestrali.
Un horror che crea una buona suspance e coadiuvato da una scelta eccellente della protagonista, Jill Larson, in grado di tenere sulle spalle tutti i momenti di inquietudine.

martedì 9 giugno 2015

What we do in the shadows

Titolo: What we do in the shadows
Regia: Taika Waititi
Anno: 2014
Paese: Nuova Zelanda
Festival: TFF
Giudizio: 4/5

Un gruppo di vampiri con sede in Nuova Zelanda lotta per capire la moderna società e per adattarsi al mutevole mondo che li circonda.

Negli ultimi anni sui vampiri si è mosso davvero poco di originale.
Possiamo annoverare STAKE LAND, WE ARE THE NIGHT e questa godibilissima, fresca, originale commedia e insieme mockumentary sui vampiri made in Nuova Zelanda.
Una maniera piuttosto ironica che riesce per quasi tutta la durata, tolta una mezz'ora un pò leziosa nella parte centrale, a uscirsene de-strutturando e facendo una sorta di parodia dei luoghi comuni dei vampiri.
Dai ghoul, alle banshee, ai lupi mannari, alla bestia, alla convivenza, tutto sembra possedere le carte per riuscire a trovare un buon intrattenimento low-budget.
Complice lo script, le interpretazioni intense, il film è stato diretto a quattro mani da Taika Waititi, qui alla sua opera terza, e Jemaine Clement, alla sua opera prima, anche protagonisti della pellicola.
Senza inventare nulla, ma lavorando sull'immagine del vampiro, i due autori prendendo spunti vari e citazioni a bizzeffe, sfruttano le difficoltà nell'era dei media, Skype e YouTube, sconsacrando con l'ennesimo giro di vite il terreno più sconsacrato di tutti, ma anche il più duro a morire e allo stesso tempo prendendo un ventaglio di situazioni su cui incentrare l'impianto ironico come l'omoerotismo, il non potersi specchiare, la maledizione di vivere in eterno e restare sempre della stessa età.

What we do in the shadows tenta di “dare risposte a quelle domande che nessuno ha il coraggio di porre” a volte in modo singolare, alle volte intrappolato in piccoli pantani da cui difficilmente riesce ad uscirne, sempre bilanciato, ma alla fine arrivando ad un traguardo, unendo due elementi molto abusati e confermando che le idee sono alla base di un buon risultato.