Titolo: Daphne
Regia: Peter Mackie Burns
Anno: 2017
Paese: Gran Bretagna
Festival: 35°Torino film Festival
Giudizio: 3/5
Daphne ha capelli rossi e anni ardenti
che spende facendo sesso con gli sconosciuti e bevendo troppo, di
tutto. Una notte, durante una rapina in un drugstore, assiste
all'aggressione di un uomo che soccorre e poi archivia come i
bicchieri e gli amanti occasionali. Fatta la deposizione in centrale,
una poliziotta la informa che ha diritto all'assistenza psicologica.
Daphne ci pensa su e poi decide di incontrare un terapista. Ma
rielaborare i traumi non fa per lei, il matto è lui e se ne va.
Fuori, in giro a tirare coca, a insultare i colleghi, a respingere la
madre, Joe che la ama e David che vorrebbe solo conoscerla.
Daphne è una lezione di cinema furbetta e che sembra non andare in nessun dove all'apparenza.
Un film che sottolinea la monotonia, la
quotidianità del voler rimanere come si è perchè tanto è così
che vanno le cose. Sotto un'apparente superficialità e mondanità,
la protagonista in realtà è più sensibile e profonda di quanto non
sembri e i suoi gesti e le sue espressioni danno conferma durante
l'arco della narrazione.
Rapporti superficiali, il sesso al
posto dell'amore, il sogno di non poter o non voler mai avere una
relazione stabile, una mamma che sembra lo specchio della figlia e
una fatica a prendersi le proprie responsabiluità scappando appena
di fronte si trova uno specchio come le sedute dallo psicologo.
Infine per equilibrare tutto e mettere
a tacere i demoni personali, l'alcool, vero farmaco capace di sedare
ogni male interiore all'apparenza, diventa la soluzione al problema.
Per 90' è tutto così passando dalla
tavola calda (il lavoro) al pub (incontri occasionali) lo studio
(psicologo) la casa (la mamma come amica/vicina) poi l'incidente
scatenante (l'accoltellamento) e infine il cambiamento (il
buttafuori).
Alcune scelte che potrebbero essere
intellettualmente stimolanti come la lettura di Slavoj Žižek
appaiono abbastanza slegate e lasciate al caso dal momento che
vediamo la protagonista leggere il libro dello psicoanalista sloveno
nel letto mentre ride e citarlo con un amico che non riesce a
pronunciarne bene il nome (mi aspettavo un'analisi maggiore).
In tutto questo come dicevo prima la
sbronza colossale in pieno giorno e l'espressione corrucciata come di
chi è cresciuta prima degli altri sono gli immacabili effetti che
non possono mancare a dare tono e risalto alla commedia.
Il regista quando ha presentato il film
in concorso al Torino Film Festival a parte essere molto giovane è
parso molto divertito. Quello che è riuscito a descrivere e
raccontare meglio è proprio la situazione di post-contemporaneità
in cui vive Daphne ovvero "tempi di crisi economica, dove le
personalità si sfrangiano, rasentano l’instabilità, vivendo così
intensamente e allo stesso frammentati da affezionarsi a un
modello-non modello di vita in cui tutto è fra parentesi,
rinviabile, rivalutabile, soggetto ad accettazione e successiva,
rapida fuga". In questo forse un regista appunto giovane ha
trovato il modo più alla mano per descrivere una tappa dell'età che
ci vede protagonisti e con il bisogno di comunicare a nostro modo le
mille difficoltà quotidiane.
Ecco Daphne in questo, anche se
frammentato, sembra esserci riuscito.