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domenica 24 giugno 2018

Ligne Noir


Titolo: Ligne Noir
Regia: Mark Olexa, Francesca Scalisi
Anno: 2017
Paese: Svizzera
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 4/5

Una donna pesca in acque torbide, una natura sofferente, il canto spezzato del muezzin. Tutto si collega attraverso una sottile linea nera.

Ligne Noir segue la monotona quotidianità di una donna indiana che per sopravvivere è costretta a cercare in un mezzo a un fiume dalle acque torbide, qualsiasi cosa che possa essere rivenduto affinchè non muoia di fame (non sappiamo se ha marito o figli ma come spesso capita è molto probabile di sì). Attraverso delle belle carrellate seguiamo il suo pellegrinaggio in mezzo alle acque senza minimamente pensare ai rischi e ai pericoli di cosa può trovarsi sott'acqua e del pericolo di inquinamento e tossicità soprattutto dal momento che l'acqua è nera e quindi l'elemento i suspance è già dato dal fatto che nessuno sa cosa c'è lì sotto.
Un altro dramma quotidiano che dovrebbe farci riflettere sempre sul nostro modello economico e ancora una volta sottolinea l'impressionante povertà che abbraccia questo straordinario paese.

Terraform


Titolo: Terraform
Regia: Sil Van Der Woerd e Jorik Dozy
Anno: 2017
Paese: Gran Bretagna
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 5/5

Le difficoltà e i sacrifici che i minatori di zolfo di KawahIjen in Indonesia devono affrontare quotidianamente per provvedere alle loro famiglie.

Pur essendo per lo più un lavoro di fotografia che sembra uscito dal Sale della terra fotografato da Malick, il lavoro della coppia di registi inglesi, grazie ad un budget stratosferico, hanno davvero fotografato qualcosa di unico.
Il sacrificio di un padre che pur di far sopravvivere la famiglia, rischia ogni giorno la sua vita in un ambiente che ha dell'incredibile.
Cosa davvero lascia basiti? Che nonostante si sappia, nonostante sia stata denunciata tale schiavitù (e parlo soprattutto per le condizioni di lavoro) questa realtà continui ad esistere.






Ultimo chilometro


Titolo: Ultimo chilometro
Regia: Emma Ramacciotti, Roberto Vietti
Anno: 2017
Paese: Italia
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 3/5

Per Adriano la bicicletta è l’unico mezzo di trasporto per muoversi nella sua città. Una scelta precisa che lo rende orgoglioso. I suoi percorsi quotidiani, tra inquinamento e rischio di incidenti, sono guidati dalle voci storiche di Auro Bulbarelli e Davide Cassani, storici commentatori RAI delle grandi corse ciclistiche, con un effetto ironico e contrastante al tempo stesso.

Simpatico. In 3' la coppia di registi presenti in sala assieme al sottoscritto a presentare ognuno il suo cortometraggio, hanno detto di essersi divertiti e soprattutto cercare un climax finale che puntasse tutto sull'ironia.
Effettivamente in mezzo ad una piazzuola immersa nel traffico schiaffarci una seduta di psicopterapia non è poi così male

Yaban


Titolo: Yaban
Regia: Volkan Budak
Anno: 2017
Paese: Turchia
Festival: Cinemabiente 21°
Giudizio: 3/5

Uomini e animali del delta del fiume Kızıl in Turchia: le contraddizioni tra cultura e natura.

Portare al mascolo una mandria di buoi può non essere così facile e tutta la rete che sta dietro e il duro, lento e stancante lavoro sembra suggerirci che è una pratica antichissima (famigliare pure) che abbraccia diversi target d'età ognuno con un preciso compito.
Immagini con campi lunghissimi e primi piani per un branco di persone che sembrano quasi vergognarsi quando la telecamera si accorge di loro.
Il rapporto tra natura, gregge e uomo che arriva dritto dritto dalle sterminate pianure e dove questo gruppo di uomini a cavallo con le loro regole sembra farci tornare indietro nel tempo.


giovedì 7 giugno 2018

Giornata


Titolo: Giornata
Regia: Pippo Mezzapesa
Anno: 2017
Paese: Italia
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 5/5

La storia di Paola Clemente, bracciante pugliese di quarantanove anni morta di fatica sotto il sole nei campi del Sud, viene raccontata con le parole tratte dagli atti dell’inchiesta sui caporali che la sfruttavano e dalle compagne di lavoro che viaggiavano tutti i giorni in pullman con lei.

I corti servono anche a questo.
A ricordarci attraverso uno schema corale in undici minuti la vita e la tragedia di una donna, di una mamma che lascia marito e figli senza un perchè.
Un'altra storia di orrore sul lavoro dove Paola è morta ancor prima che arrivasse l'ambulanza a prenderla. E'morta lì accasciata su un campo assieme alle altre braccianti che già dal primo mattino denunciavano che la donna non si sentiva bene.
Un dramma incredibile e indimenticabile. La Giornata è la storia non di una ma di tutte quelle donne che non dimenticheremo mai e che hanno tutte dei nomi.
Oggi la fiaccolta è per lei: Paola Clemente.


Fratello aglio


Titolo: Fratello aglio
Regia: Andrea Parena
Anno: 2017
Paese: Italia
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 3/5

Severino, continuando un'antica tradizione agricola, coltiva l'aglio su una collina chiamata "Monfrina", nel piccolo villaggio di Mombello in Piemonte.

In circa 24' Parena con famiglia e parenti al seguito ci mostra l'antica tradizione agricola di come si coltiva l'aglio. Seppur in alcuni momenti un po troppo lento nel seguire tutti gli spostamenti e le manovre del trattore, il corto documentario del giovane autore riesce a cogliere la tradizione che sta dietro questi passaggi che potrebbero sembrare quasi medioevali ma che invece come ha fatto presente uno spettatore duranten la proiezione al cinema, possono essere utili per mostare il perchè, l'uso e la funzione di alcune tecniche e soprattutto come adoperare alcuni strumenti.
Alla fine è una lezione ancora una volta su come i nostri nonni, la vecchia scuola, aveva tutta una serie di regole e dogmi che hanno portato ad esempio la nonnina della Monfrina a vincere per ben 23 anni di seguito la festa paesana dell'aglio.



Doctor


Titolo: Doctor
Regia: Yavuz Ucer
Anno: 2017
Paese: Turchia
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 4/5

La storia di Beşir e dei suoi sogni spezzati dalla brutalità della guerra a causa della quale è costretto, insieme alla sua famiglia, a fuggire dalla Siria e raggiungere la Turchia. La vita ricomincia a fatica, alla ricerca di una nuova identità.

Besir raccoglie i cartoni per guadagnare denaro e poter raggiungere il resto della sua famiglia in Turchia. Ciò che lo spaventa è l'esame del Dna che se non corrisponde sigla definitivamente la perdita della sua identità culturale.
Mentre racconta la sua vita e la sua quotidianità lo osserviamo da dietro questo carretto costruito a modi baracchetta dove con un bastone di ferro aggancia i cartoni dai cassonetti infilandoli nel sacco.
Quando finisce il suo lavoro stanco e affaticato, Besir si concede un riposo guardando il mare, lasciando le preoccupazioni da un'altra parte, ascoltando le onde e sorridendo quando il regista gli chiede quale sia il suo sogno.


Con el tiempo

Titolo: Con el tiempo
Regia: Nicole Vanden Broeck Macias
Anno: 2017
Paese: Messico
Festival: Cinemambiente 21°
Giudizio: 5/5

Don Mateo e Doña Francisca: una coppia di anziani che ha vissuto lavorando la terra con ciò che la natura forniva loro. L’esperienza di una vita che oggi si fa invito all’uso responsabile delle risorse e a una produzione alimentare capace di dare spazio ai produttori locali, favorendo la sostenibilità.

Sembra quasi uno spot della Lavazza con quelle foto che ritraggono i coltivatori nelle loro terre natie. Da quegli spot sembra quasi che questa gente venga aiutata dalle multinazionali.
Ecco quando vedrete questo corto, in un attimo intuirete subito come vanno realmente le cose, i rischi, il capitalismo sempre più imperante, la lotta per la sopravvivenza, l'agricoltura vera, il futuro del pianeta, lo sviluppo sostenibile, il concetto di km 0 che qui viene mostrato nel modo più semplice e diretto che possa esistere.
E se non si fa qualcosa per aiutarli, rischiano come nella scena finale di scomparire sotto gli occhi di un mercato che non tollera i piccoli agricoltori.

Bhagwani-A girl in pursuit of dreams


Titolo: Bhagwani-A girl in pursuit of dreams
Regia: Ziauddin Zia
Anno: 2017
Paese: Pakistan
Festival: Cinemabiente 21°
Giudizio: 5/5

Bhagwani vive in un piccolo villaggio del Tharparker nella provincia del Sindh in Pakistan. È una ragazzina di dodici anni che ogni giorno impiega circa nove ore per andare a prendere l’acqua per la sua famiglia. Nella sua vita non c’è spazio per il gioco, né la speranza di poter frequentare la scuola.

9 ore al giorno solo per andare a raccogliere l'acqua per la propria famiglia, rischiando la vita nel tragitto a causa delle bestie feroci, serpenti e scorpioni.
In più l'acqua del fiume è così inquinata che nemmeno le bestie la bevono mentre Bhagwani e la sua famiglia non hanno alternative.
Un racconto disperato e crudo che dovrebbe far riflettere sulla dura condizione di centinaia di migliaia di famiglie in Pakistan.
E'pensare che tutte quelle ore potrebbero essere impiegate per dare un'istruzione o insegnare ai giovani un mestiere. Invece sistemato il vaso sopra la testa iniziano la loro estenuante marcia per la sopravvivenza...

A butcher's hearth


Titolo: A butcher's hearth
Regia: Marijn Frank
Anno: 2017
Paese: Olanda
Festival: Cinemabiente 21°
Giudizio: 3/5

Per tradizione famigliare il tredicenne Wessel sta imparando il mestiere di macellaio dal nonno. Sullo sfondo di una vita agreste, il ragazzo però si interroga sul presente e sul suo destino, pensando che forse preferirebbe lavorare con animali vivi.

Interessante questo piccolo scorcio sui dubbi che un ragazzino in un contesto carnivoro ben preciso, decide di elaborare forse perchè stanco di una pratica così metodica e che non sembra avere mai fine. Dal padre severo al nonno che sceglie di spiegare al nipote i segreti su come disossare i conigli, tagliare punti ben precisi per togliere la pelle di alcuni animali e così dicendo, fino all'orario di chiusura dove Wessel insieme al suo gruppo di amici monta in sella ai propri motorini e per finire si concede wurstel cucinati nella friggitrice della loro casettina in legno.
Il regista ci mostra una parte di Olanda che come per alcune zone della Germania non può fare a meno di spezzare questo circuito legato all'allevamento intensivo e la mattanza quotidiana di centinaia di animali.
Sembra quella condizione che debba essere per forza di cose accettate perchè inserita in un contesto culturale di appartenenza.

sabato 2 settembre 2017

Océans, le mystère plastique

Titolo: Océans le mystère plastique
Regia: Vincent Perazio
Anno: 2017
Paese: Francia
Festival: Cinemambiente 20°
Giudizio: 3/5

Solo l'1% della plastica che fluttua negli oceani raggiunge le coste o rimane intrappolata nei ghiacci artici. Del restante 99%, stimato intorno a centinaia di migliaia di tonnellate, si sa ancora troppo poco. Una sorta di buco nero che lascia intravedere un dramma ecologico.
Non essendo biodegradabile, la plastica non scompare, semplicemente si rompe in microparticelle tossiche, in gran parte invisibili all'occhio umano. Tale processo di trasformazione sta dando vita a un nuovo ecosistema: la plastisfera.
Si affaccia così, sempre più urgente, la necessità di indagare il fenomeno e le sue conseguenze: dove si trovano queste particelle? Ingerite dagli organismi o depositate sul fondo marino? E qual è il loro impatto sulla catena alimentare?

Abbiamo attaccato il tumore persino ai pesci.
Questa è solo una delle tante informazioni, dei dati raccolti grazie a lavori di ricerca che proseguono negli oceani e sotto gli oceani da ormai decine di anni da parte di equipe di scienziati, medici, biologi e tutti gli altri professionisti del settore.
Ognuno sceglie la materia e il compito su cui svolgere e raccogliere i suoi dati.
Quella della plastica, una realtà che ormai è diventata insostenibile soprattutto nei mari e negli oceani con un silenzio inquietante da parte dei media, diventa materia apocalittica in questo documentario girato dal giovane regista francese appassionato di temi ambientali.
La domanda con cui Perazio apre il documentario è scioccante.
Dai dati che emergono sarebbe la plastica a cambiare ecosistema marino.
Le correnti hanno sconvolto tutto e ora parte degli oceani, così come le alghe e i plancton, i rifiuti di plastica, sono ovunque, dall'Artico all'Antartide attraverso i mari tropicali.
Dalle stime fatte finora sembra che diversi studi concordino sul fatto che quasi 50 miliardi di pezzi di plastica inquinano gli oceani. Dalle molte teorie, alcune come quelle che segnalavo all'inizio, la maggior parte, sembra sostenere che venga ingerito dagli organismi marini, di fatto trasformando la plastica in qualcosa di invisibile.

I prossimi anni, forse sarannoa ncora più inquietanti o chissà magari daranno risultati su qualche possibilità di speranza anche se la maggior parte degli intervistati sembra scettico e cinico.

martedì 27 giugno 2017

Machines

Titolo: Machines
Regia: Rahul Jain
Anno: 2017
Paese: India
Festival: Cinemambiente 20°
Giudizio: 5/5

Attraverso i corridoi e gli spazi di un'enorme e disorientante struttura, il regista Rahul Jain ci conduce in una discesa verso un luogo di stenti e di lavoro fisico disumanizzante. Si tratta di una delle maggiori fabbriche tessili dello stato indiano di Gujarat, la cui area di Sachin fin dagli anni Sessanta è stata oggetto di un'industrializzazione senza precedenti e non regolamentata.

Machines è un'esperienza unica e dolorosa. Il film più impressionante dell'ultima edizione del Festival di Cinemambiente. Un'opera solida e matura. Un urlo disperato verso quello che è l'ennesimo esempio di super industrializzazione, di lavoro fuori da ogni schema e comprensione. Orari che vanno oltre la logica umana e la disumanizzazione della forza lavoro e di qualsivoglia tipo di diritto.
Machines è l'opera prima di Rahul Jain, cresciuto in India e laureato al California Institute of The Arts in Film and Video. Sempre al CalArts studia estetica e politica. Machines, primo lungometraggio, è presentato all'IDFA e al Sundance Film Festival, dove riceve il premio speciale della Giuria per la miglior fotografia.
All'interno del documentario e delle aziende la camera procede scovando operai che dormono tra una pausa e l'altra, fumi che rendono nebulosa la vista di ogni minimo dettaglio, macchinari che sembrabno logorati dal tempo e di una pericolosità incredibile. Uomini, donne,bambini, disabili, tutti lavorano in queste immense fabbriche della morte dove scopriamo il lavoro incessante che sta dietro i vestiti che spesso indossiamo. Conosciamo l'esperienza di un lavoratore che per fare tre lavori a stento riesce a dar da mangiare alla famiglia spostandosi da una zona all'altra del paese e che per lui ha solo qualche rupia per comprarsi del tabacco da masticare per sopravvivere a dei turni infiniti. Facciamo anche la conoscenza dei suddetti padroni e della loro burocrazia e la loro spiegazione di come loro stessi diventano padroni e carnefici e del perchè non esiste nessun sindacato dal momento che forse nessuno lo vorrebbe.
Machines mostra la complessità della dura e spietata macchina capitalista, una storia di disuguaglianza che purtroppo anche la globalizzazione ha ampliato portandola in alcuni casi, come questo ma gli esempi sarebbero tanti e doverosi, di sfruttamento, di oppressione e di incapacità di un paese e di un sistema di potersi ribellare in cui ancora ad oggi tutto sembra sempre più immutabile e senza speranza con un divario purtroppo ancora più incolmabile tra poveri e ricchi.
Ad un tratto parla un bambino. Il suo obbiettivo è imparare in fretta a saper usare più macchinari possibili. Se da piccolo impara senza fare errori allora da grande diventerà un responsabile o un operaio specializzato. Questo è il sogno indiano della maggior parte dei bambini senza rendersi conto o domandarsi se è giusto o meno un modello economico e di sviluppo di questo tipo.

In tutto questo ovviamente le famiglie non esistono o sono una diretta conseguenza delle scelte dei figli che devono mantenere il nucleo.

giovedì 15 giugno 2017

Age of Conseguences

Titolo: Age of Conseguences
Regia: Jared P.Scott
Anno: 2016
Paese: Usa
Festival: Cinemambiente 20°
Giudizio: 2/5

ll documentario esplora come il cambiamento climatico sia diventato inesorabilmente legato alla nostra sicurezza nazionale, e di come il rapporto tra sconvolgimento del clima e conflitti formeranno uno strumento che potrà plasmare il mondo sociale, politico ed economico del secolo nel quale viviamo. I documenti e le testimonianze riportate si traducono in un invito all'azione e a ripensare il modo in cui utilizziamo e produciamo energia. Con un concetto di fondo fondamentale: qualsiasi strategia di difesa militare utilizzeremo, è il tempo la risorsa più preziosa.

Jared P.Scott ha un solo merito finora. Al di là del suo innegabile patrimonio economico, tale da poter raggiungere vette inaspettate e devo dire esageratamente spettacolari (la fotografia a tratti sembra un film di Malick) e quello di aver girato qualche anno fa il bel documentario REQUIEM FOR THE AMERICAND DREAM, ovvero l'ultima lezione di Noam Chomsky ossia un pacato invito alla rivolta che dovrebbe essere trasmesso come una nenia ogni sera dopo il telegiornale per dare modo e tempo ai comuni mortali di comprendere le ragioni che stanno portando questa società al collasso.
Age of Conseguences crea un collante facendo collegamenti di ogni tipo e ogni sorta muovendosi praticamente in tutto il mondo. Questo nuovo modo di analizzare i contenuti all'interno dei documentari nel festival di Cinemambiente, diventa importante quanto rischia secondo me di allargare troppo il problema e fare in modo che il tema non concentrandosi su una singola situazione e quindi argomentandola a dovere, diventa difficile da comprendere a pieno soprattutto quando come in questo caso si passa dal Medio Oriente all'Africa e in altre aree trattando tempi, aree geografiche ed eventi storici senza finalizzarne in modo preciso nessuno ma diventando una sintesi che rischia di perdersi nella sua continua fagocitazione di complessità sulle connessioni fra cambiamento climatico e conflitti, migrazioni e terrorismo.
Sono d'accordo che l’emergenza climatica è di sicuro l’elemento catalizzatore e acceleratore di un effetto a cascata che unisce punti da un capo all’altro del globo: dalla desertificazione di vasti territori in Nord Africa e Medio Oriente ai fenomeni di siccità e carestia ma non sono d'accordo o meglio non ho gradito la critica all'Isis in Medio Oriente e sul fatto che per creare panico e instabilità prosciughino e occupino tutte le aree dove ci sia dell'acqua per mettere in ginocchio la popolazione. Detta così sembra una presa di posizione più politica che di allarme legato all'ambiente. A questo proposito Scott, credo non abbia fatto quel passo in più dicendo come si è arrivati a questo e senza citare mai, o quasi, la responsabilità dell'America e dei alcuni paesi europei (Inghilterra, Francia in primis e i risultati si stanno vedendo...) di aver creato le basi per il terrorismo mondiale in Darfur, in Somalia, in Siria e in tantissime altre aree legate alla geografia di quei paesi. A dirlo non sono, questa volta, le associazioni ambientaliste, ma i generali del Pentagono, gli esperti di sicurezza internazionale, gli analisti politici ed economici che frequentano le stanze del potere.
Il film è stato anticipato dal punto di Luca Mercalli, ormai una pietra miliare e un abituè del festival, un ometto divertente ed elegante che in un attimo riesce a portare il termometro sulla realtà globale che ci circonda inondando il pubblico in un'ora di slide, fiumi di parole e video inquietanti che danno un quadro apocalittico sul nostro pianeta.



venerdì 23 settembre 2016

Need for Meat

Titolo: Need for Meat
Regia: Marijin Frank
anno: 2015
Paese: Olanda
Festival: Cinemambiente 19°
Giudizio: 4/5

Marijin, diventata madre da poco, cerca di capire da dove provengano l’attrazione e la repulsione che prova per la carne e come sia possibile dimenticare che la fetta di carne che finisce nel suo piatto sia stata un essere vivente.

Da circa dieci anni pensavo a questo documentario. Mia madre era vegetariana, ma io ho iniziato a mangiare carne da piccola ‘costringendo’ la mia famiglia a cambiare. Ho provato più volte a tornare vegetariana senza mai riuscirci. Quando è nata mia figlia Sally ho deciso che era venuto il momento per una riflessione più approfondita e ho scelto di raccontare la mia esperienza individuale perché ritenevo più facile poterla rendere universale”
Ci sono alcune scene molti forti in questo interessante documentario della regista e protagonista olandese. Come ad esempio quando impara al mattatoio a uccidere le mucche con un colpo solo per evitare di farle soffrire. Una tecnica che vista dagli occhi del suo mentore è qualcosa che và oltre la semplice catena di montaggio.
Una scena impressionante che non può suscitare un certo disgusto e un'inquietante consapevolezza su come ormai la società pur di rispondere al fabbisogno carnivoro dei consumatori, tratti con sempre più distacco un momento così cruciale come la morte di un animale.
Sono tante le questioni che la neo mamma affronta mettendosi in prima persona per cercare di capire da dove arrivi un'assuefazione così grossa che ha dell'incredibile quando si sottopone ad un test celebrale e scopre che il desiderio della carne è spesso superiore a quello per il sesso.
Ed è come per molti documentari del festival, che continua ad essere sempre più interessante in tutte le sue diversificate forme e temi che tratta, che si indaga prendendo studiosi, terapisti, neurologi, chef, per finire con le ricette vegane della figlia che sembra una delle uniche non alienate sul concetto su cui si dipanano gli intenti del documentario.
Poteva chiamarsi diario di una dipendenza.

Ed è vero perchè per molti di noi è proprio così, dunque nulla di cui stupirsi, però il lungo lavoro della regista offre una pista per prendere atto e cercare di capire il perchè, quello sì di alcune scelte(a meno che allora significhi disinteressarsi completamente all'argomento) così forse non rimmaremo basiti nel 2050, quando finiremo a mangiare insetti per nutrire la nostra gola.

martedì 6 settembre 2016

Sval&Bard

Titolo: Sval&Bard
Regia: Daniele Di Domenico
Anno: 2016
Paese: Italia
Festival: Cinemambiente 19°
Giudizio: 3/5

Sval e Bard sono due turisti incivili e maleducati che pagano le conseguenze della loro condotta irresponsabile

Il corto di 15' dell'esordiente italiano, è una serie di slapstick sull'inquinamento e sull'incremento del flusso turistico nelle isole Svalbard che ha causato un notevole impatto a livello ambientale e in termini di disturbo arrecato alla popolazione locale.
I due protagonisti sono brutti, rozzi, arroganti e in fondo sciocchi tant'è che pagano con la propria pelle il peso e le conseguenze delle loro azioni.
In dieci regole per sopravvivere all'artico senza dialoghi ma con versi e suoni gutturali, i due protagonisti riescono a mettersi nei guai nella maniera più stupida possibile.
Sembrano sketch ma in fondo non sono tutti nemmeno così assurdi come si possa pensare.

Il motivo per cui forse il regista ha scelto proprio questo taglio e queste regole potrebbe essere il fatto che in realtà proprio tanti danni all'ambiente sono stati resi possibili da alcune azioni e gesti tanto stupidi quanto fatali nelle conseguenze.

lunedì 18 luglio 2016

My hottest year on earth

Titolo: My hottest year on earth
Regia: Halfdan Muurholm
Anno: 2016
Paese: Danimarca
Festival: Cinemambiente 19°
Giudizio: 3/5

Il 2014 è stato probabilmente l’anno più caldo nella storia del Pianeta. Un meteorologo danese decide di lasciare il lavoro con l’idea di viaggiare intorno al mondo per incontrare coloro la cui vita è cambiata completamente a causa di uno dei recenti eventi climatici estremi. Si parte così dalle Filippine devastate da Hayan, il peggior tifone che si sia mai abbattuto sull’arcipelago, per continuare nell’Inghilterra colpita dalla più grave alluvione degli ultimi settant’anni e giungere in Bangladesh, in cui i migranti per cause climatiche sono milioni. L’ultima tappa è la Florida, dove l’innalzamento del livello del mare mette in serio pericolo uno dei paesi più ricchi del mondo

Muurholm come quasi tutti i registi dei documentari vari che circolano per il Cinemabiente o i vari festival, è il protagonista narrante delle vicende. Gira e studia, osservando e monitorando i cambiamenti climatici ponendo spesso domande ai singoli cittadini per fare delle comparazioni rispetto agli ultimi anni e gli incidenti che si sono verificati.
E'un mediometraggio scioccante e di attualità che ancora una volta sottolinea l'emergenza climatica in atto e ormai quasi impossibile da bilanciare.
Il dato certo è che tutti questi fenomeni non riguardano solo più i paesi del terzo mondo ma stanno mandando in cancrena ormai tutte le aree geografiche del mondo.

mercoledì 8 giugno 2016

Babushkas of Chernobyl

Titolo: Babushkas of Chernobyl
Regia: Holly Morris
Anno: 2016
Paese: Usa
Festival: Cinemambiente 19°
Giudizio: 4/5

Nella zona morta radioattivo circostante di Chernobyl reattore n ° 4, una comunità di sfida delle donne gratta fuori una esistenza su alcuni dei terreni più tossici sulla Terra. Esse condividono questo indimenticabilmente bello, ma letale, paesaggio con un assortimento di intrusi-scienziati, soldati, e anche amanti del brivido stalkers-giovani che si intrufolano per perseguire giochi post-apocalittici di videogiochi di ispirazione fantastica. Perché i personaggi centrali del film, Hanna Zavorotyna, Maria Shovkuta, e Valentyna Ivanivna, hanno scelto di tornare dopo il disastro, sfidando le autorità e mettendo in pericolo la loro salute.

Le Babushke sono delle anziane straordinarie, purtroppo anche loro un ultimo anello della civiltà, in via d'estinzione, che grazie a questo documentario, ne sancisce una fine e un'eternità senza tempo. Sembrano alcune tra le ultime streghe, erboriste, in grado di rispettare e amare una terra radioattiva che non può che arrecare dolore se altro non si è disposti a raccogliere.
Eppure queste donne hanno scelto nonostante i pericoli e senza compagni (alcuni sono morti) di ritornare nella "loro" terra, sopravvivendo grazie alla capacità di darsi forza e farcela conoscendo ad esempio ogni tipo di radice, vivendo senza servizi e con pochissimi aiuti (pensiamo alla pensione che sembra più un elemosina), raccontandosi e rimanendo unite e plasmando così il proprio destino e la natura soggettiva del rischio. Il potere curativo è che l'unione fa la forza.
Lasciate sole e in balia della foresta soccombono o perdono la voglia di lottare.
Con uno sguardo estremamente umano, il documentario delle due registe americane, ci porta nella così detta Dead Zone che circonda la centrale nucleare. Racconta l’incredibile storia di un gruppo di anziane che hanno deciso di tornare ad abitare nella loro terra nonostante tutti i rischi dovuti alla radioattività, trent'anni dopo il disastro di Chernobyl.
Delle cento donne che rimangono, le registe ne scelgono tre in particolare, le quali ferocemente si aggrappano alla loro patria ancestrale all'interno della "zona di esclusione". Mentre la maggior parte dei loro vicini hanno da tempo abbandonato quei luoghi e i loro mariti sono gradualmente estinti, questa sorellanza testarda trova il tentativo e il modo di coltivare una esistenza sulla terra tossica.
Perché insistono a vivere nelle fattorie che il governo e le radiazioni ucraine e gli scienziati hanno ritenuto inabitabili? (l'acqua, l'aria, i livelli di radiazioni nel corpo delle donne a cui alcune si sono dovute sottoporre a operazioni per curare un tumore alla faringe) e la domanda ancora più grossa che lascia di stucco governo e istituzioni è come riescano a tirare avanti, isolate, in un paesaggio post-apocalittico in cui giovani pazzi vanno a fare le battaglie per assaporare il rischio.
Forse uno dei motivi della loro forza e tenacia arriva proprio dal loro passato: da carestie forzate di Stalin nel 1930, attraverso l'occupazione nazista e infine al disastro nucleare.

Infine l'ultima risposta al documentario la regala proprio la natura. Straordinaria e ancora dopo secoli imprevedibile e in grado di portare alla luce risultati e forme di crescita incredibili e affascinanti come ad esempio lupi, alci, cinghiali e altri animali selvatici che non si vedevano da decenni e che sono tornati alle foreste abbandonate attorno a Chernobyl

lunedì 11 aprile 2016

Virunga

Titolo: Virunga
Regia: Olando von Einsiedel
Anno: 2014
Paese: Gran Bretagna
Festival: Cinemambiente
Giudizio: 4/5

Il custode di gorilla André Bauma, il capo guardaparco Rodrigue Mugaruka Katembo, il capo guardiano Emmanuel de Merode e la giornalista francese Mélanie Gouby cercano di proteggere il Parco nazionale di Virunga, nella Repubblica Democratica del Congo, casa degli ultimi gorilla di montagna del mondo, dalla guerra, dal bracconaggio e dalla minaccia dell'esplorazione petrolifera. La bellezza naturale e la biodiversità di Virunga si fondo e si intrecciano con le complesse questioni politiche ed economiche riguardanti l'esplorazione di petrolio e con il conflitto armato in corso nella regione.

Virunga accenna e tratta di diversi problemi ponendosi delle ottime domande e facendo luce su un problema e una causa di cui i giornali non sembrano parlare.
E lo fa, in questo caso Eisiedel, interrogando e recandosi proprio nel parco del Virunga, per cercare di delineare una indagine e un percorso conoscitivo sui personaggi e le vicende viste e vissute dal loro proprio punto di vista.
Collaborando ad esempio con i funzionari del parco e con la giornalista, per indagare sul ruolo della compagnia petrolifera britannica Soco International, il regista e la troupe mostrano i rappresentanti della Soco offrire tangenti ai guardaparco, immagini su cui La Soco International ha comunque sempre fortemente negato.
L'11 giugno 2014, la Soco International e il WWF hanno annunciato una dichiarazione congiunta nella quale la compagnia petrolifera si impegnava a «non intraprendere o commissionare nessuna attività esplorativa o altra perforazione all'interno del Parco Nazionale di Virunga a meno che l'UNESCO e il governo della Repubblica Democratica del Congo concordino sul fatto che tali attività non sono incompatibili con il suo status di patrimonio dell'umanità»
Tuttavia, come il documentario esplora, sembra che tutto ciò non basti, ponendo diversi dubbi sulla continuità o sugli organi di controllo in un'area così sconfinata.
Soprattutto contando che ad esempio i ranger conducono una lotta impari contro le milizie ribelli dell’M23, finanziate dai colossi del petrolio e appoggiate da alcuni esponenti del governo congolese.
Lo stesso governo poi che permette alla Soco plc di considerare carta straccia la legge nazionale che proibisce qualsiasi attività di sondaggio e di estrazione nelle aree naturalistiche protette.
Il parco, tra l’altro, è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1975
La produzione del film è iniziata nel 2012, quando von Einsiedel è arrivato al Virunga, e i cui nello stesso aprile 2012, è iniziata la ribellione dell'M23, in questo modo misurando la temperatura del luogo si è spostato il focus del film, così da coprire anche il conflitto in corso.
Virunga non è solo un documentario naturalistico e videogiornalismo d'inchiesta.
Diventa in più un lavoro di straziante tenerezza, trattando e mostrando, l'amore dei custodi per i gorilla durante la loro crescita e tutto il bene e la felicità che arriva da chi decide di dare affetto e coraggio per dare un senso alla propria vita.





giovedì 22 ottobre 2015

Bikes vs Cars

Titolo: Bikes vs Cars
Regia: Fredrik Gertten
Anno: 2015
Paese: Svezia
Giudizio: 4/5

Bikes vs Cars descrive una crisi globale di cui tutti abbiamo il dover di parlare. Il clima, le risorse del pianeta, le città la cui l'intera superficie è consumata dalle automobili, un traffico caotico, in crescita continua, sporco e rumoroso. La bicicletta sarebbe un ottimo strumento per cambiare la situazione, ma i poteri che lucrano sul traffico privato investono ogni anno miliardi in azioni di lobbying e pubblicità per proteggere i loro affari. Nel film incontriamo attivisti e pensatori che lottano per città migliori e che rifiutano di smettere di pedalare nonostante il crescente numero di ciclisti uccisi nel traffico.

Bikes vs Cars: è una guerra o una città? O una guerra quotidiana che attivisti paladini compiono senza mezzi termini lasciandoci anche la vita come spesso capita soprattutto in Brasile.
Bikes vs Cars è un documentario intelligente che approfondisce molto bene il discorso legato a coloro che non possono rinunciare alla bicicletta.
Saggio e mai banale, è un film che prima di tutto ci regala un sacco di preziose informazioni.
Un docu che spazia molto in termini geografici, portandoci da un estremo all'altro, in uno schema corale di racconti e scoperte davvero entusiasmanti.
I temi sono tanti, troppi forse, tutti ancorati grazie ad un credo straordinario che muove i suoi protagonisti a cercare sempre più di scommettere su questo prezioso mezzo.
Il traffico, i problemi climatici legati all'inquinamento, la scarsa pianificazione urbana, una lotta contro una industria automobilistica inarrestabile, sono solo alcuni dei temi sviluppati, certo con molta enfasi e sentimento uniti da una colonna sonora che cerca sempre di emozionare il suo pubblico, a sensibilizzarci su tanti problemi che si nascondono dietro l'industria dell'automobile come ad esempio il fatto che oggi ci sono un miliardo di automobili nel mondo ed entro il 2020, tale numero raddoppierà.
Allo stesso tempo pensare al rovescio della medaglia, ovvero che grazie agli ingorghi nasce la spinta a pensare politiche di mobilità diverse e infine scoprire alcuni luoghi simbolo come Copenaghen o Amsterdam dove il quaranta per cento i pendolari in bicicletta tutti i giorni e dove uno spassoso e autentico taxista che odia i ciclisti, ovvero la maggioranza, cerca di farsene una ragione quotidianamente, sono le strategie su cui il popolo muove il proprio attivismo, le proprie ragioni e i diritti.

Il film di Gertten forse meriterebbe una visualizzazione più vasta, non solo all'interno del Festival di Cinemambiente, ma all'interno anche di prestigiosi festival internazionali.

domenica 27 luglio 2014

Urine Superpowers

Titolo: Urine Superpowers
Regia: Thierry Berrod
Anno: 2014
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Bere la propria urina o quella altrui fa bene?
Tesi e studi medici condotti da persone alquanto improbabili sembrano puntare sui benefici della propria ammoniaca sapendo bene come contenga tossine e altre sostanze di scarto del nostro corpo e quindi il motivo per cui nel 2014 quasi tutti non bevono la propria urina.
E' così scopriamo che ci sono salotti, comunità di persone che brindano con una coppa d'urina e si sentono rinvigorite, alcuni sostengono che abbia proprietà fertilizzanti e qualcuno come il dottor Martin Knight, famoso studioso del prezioso liquido, si lancia sostenendo che possa addirittura aiutare a battere il cancro e che il flusso di urina può facilitare la diagnosi di diverse malattie.
Berrod, come molti altri registi quest'anno al Cinemambiente, sembra voler smuovere alcune certezze cercando provocazioni e tesi, a volte strampalate, ma comunque interessanti e originali.
Partendo da alcuni dati l’80% del liquido amniotico è costituito di urina, ogni essere umano produce circa 38.000 litri di urina (riempirebbe all’incirca un camion cisterna, precisa il comunicato stampa), è un medicinale curativo, è un fertilizzante industriale, è una vera e propria traccia chimica unica per ogni persona, un’impronta digitale liquida.
Anche la sensibilità del regista aiuta come ad esempio per prevenire reazioni di disgusto, Berrod ha filmato i momenti clou con telecamere a infrarossi o microscopiche.