Titolo: Bad Batch
Regia: Ana Lily Amirpour
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Arlen viene espulsa dai confini del
Texas, abbandonata a se stessa in un deserto senza fine, che è solo
l'anticamera del vero inferno: il lotto degli ultimi dell'umanità,
gli esiliati, quelli che cercano soltanto di sopravvivere, dopo aver
perso il diritto alla cittadinanza. Qui la ragazza incappa subito in
un gruppo di persone che non si fa scrupolo di mangiare carne umana,
un pezzo alla volta, e diventa lei stessa carne da macello. Ormai
senza una gamba e un braccio, riesce a scappare e a raggiungere un
altro assembramento, nell'area detta di Comfort, abitato da gente
disperata ma se non altro più mite, che pende dalle labbra di un
ricco guru che incarna e promette il raggiungimento del "sogno".
Quanta carne al fuoco ha messo Amirpour
nel suo ultimo film. Questa giovane regista si era già fatta
conoscere grazie al bellissimo e sottovalutato A
girl walks home alone at night,
un film semplice e modesto che raccontava con diverse metafore una
situazione abbastanza controversa. In questo caso l'aspetto che più
colpisce è la metafora con i rifugiati, qui rifiuti sociali da
gettare nel gabinetto del mondo che dopo aver superato una sorta di
cancellata che divide il deserto del Texas dal resto degli Stati
Uniti entra/no nelle terre di nessuno, nel ventre torrido e arido
deserto dove non puoi sapere cosa ti aspetta e dove ovviamente
l'America nasconde i suoi nei.
Bad Batch è tante cose assieme:
deserto, violenza, mondo post-atomico, la distopia, i cannibali, pulp
ed exploitation e qualche riferimento steampunk a caso qua e là...il
grosso problema è che viaggia confuso senza una metà vera e
propria, diventando così tante cose da non saperne scegliere bene
nessuna. Film distopico, post-apocalittico, un western steampunk? Il
fatto poi di inserire una comunità di cannibali (la scena della
seghetta al braccio e alla gamba è notevole) fanno solo parte come
tante bellissime scene di una sorta di continui eccessi psichedelici
dove come ciliegina sulla torta troviamo una comunità guidata da un
santone che sogna la nascita di una nuova era ingravidando ogni
giovane a disposizione.
Dal punto di vista della messa in scena
, del budget e del cast le possibilità erano davvero ghiotte e
facevano pensare a qualcosa di innovativo, sperimentale e tanto altro
ancora.
Forse bisognerebbe iniziare ad
abbassare le aspettative con i giovani talenti altrimenti si rischia
di farsi del male.
La morale in fondo è semplice quanto
chiara: spazzatura siamo ma spazzatura non vogliano essere.
Il finale è imbarazzante, speriamo che
Amirpour abbia imparato la lezione.