Titolo: Get rich or die tryin
Regia: Jim Sheridan
Anno: 2005
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Marcus Greer è il figlio di una ragazza madre che tenta di proteggerlo dalla violenza delle strade di New York e fargli vivere una vita dignitosa nonostante la mancanza del padre di cui non vuole rivelare l’identità. Quando la giovane signora Greer viene uccisa, il ragazzino dodicenne si trasferisce dai nonni materni ma capisce sin da subito quali sono le dure regole del gioco e per cercare di emergere nel mondo dell’hip-hop e allo stesso tempo diventare un vero gangster si infila in un giro di spaccio dominato da Majestic (Adewale Akinnuoye-Agbaje) da una parte e dai colombiani dall’altra
Prima c’era stata quella cagata di 8 MILE con Eminem. Poi il bianco dell’hip-hop è tramontato e dopo di lui gli afro-americani hanno riconquistato i vertici delle classifiche. Sheridan era un regista davvero interessante avendo denunciato i mali e la corruzione di un paese dell’Irlanda del Nord parlando dell’Ira(IN THE NAME OF THE FATHER) e delineato drammi sociali (IL MIO PIEDE SINISTRO). Poi dopo essersi perso il suo attore feticcio, Daniel Day-Lewis, per strada dopo il mezzo flop di THE BOXER ha ripiegato su film decisamente più scarsi e meno autoriali.
Questo viaggio di formazione d’ispirazione biografica del ghetto con evidenti venature sul mondo dell’hip-hop è studiato e caratterizzato apposta per un cantante scomodo come 50 cent, uno dei rapper-gangsta riuscito a sopravvivere a 10 colpi di pistola come riportavano le cronache qualche anno fa.
Non credo sia una coincidenza il fatto che anche nel film il cantante sopravviva a un’esecuzione simile ma al di là dell’incidente scatenante del film, la pellicola di Sheridan si rivela una storia abbastanza banalotta, piena di clichè con la classica redenzione e i buoni sentimenti.
Ci sono delle parti molto dure e violente, gli scontri tra gli afro-americani e i colombiani per il controllo del ghetto così come alcune rese dei conti non sono male ma fanno parte di quel microcosmo criminale che è impossibile non denunciare in film di genere come questo.
Curtis Jackson cerca quindi di scegliere la strada della normalità lasciandosi alle spalle il suo passato criminale da cui non era riuscito a uscire a causa delle sue origini e il fatto che sua madre fosse una spacciatrice.
Sheridan non è Spike Lee e il titolo che prende il nome dall’album d’esordio dell’artista vale la pena di essere visionato ma non accenna nulla di nuovo anche sul piano delle riprese e di un lavoro che sembra più essere una cartolina per dare ancora più enfasi a un cantante che non ha bisogno di presentazioni e che come presunto attore si vede che fa parecchie difficoltà a decollare.