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martedì 8 aprile 2014

Vinyan

Titolo: Vinyan
Regia: Fabrice Du Welz
Anno: 2008
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Incapaci di accettare la perdita del figlio nello tsunami del 2005, Jeanne e Paul Belhmer sono rimasti a Phuket. Aggrappandosi disperatamente al fatto che il cadavere non è mai stato rinvenuto, Jeanne crede che il figlio sia ancora vivo.

Ci sono autori che non passano di certo inosservati.
Du Welz, un nome da non dimenticare, al suo secondo film, fa un altro centro.
Difficile, scomodo, non sempre lineare e assolutamente imperfetto, ma fa un altro centro dopo il meraviglioso CALVAIRE.
Diciamo che il regista belga continua il discorso sul calvario, anche se in questo caso è ingigantito, si sposta a Phuket, è si allarga alla vita di coppia. Cosa cercano se non il Vinyan, uno spirito errante, che pensano possa essere loro figlio? Ci immergiamo così tra foreste, piccole baracche, altri culturali assurdi, barche e spiagge che sembrano dividere il piano reale da quello onirico.
Se nella città si esalta la mercificazione del corpo, nell'isola, si sviluppa un'altra dimensione che ci porta in un mondo di spettri.
Jeanne è un personaggio indimenticabile, Emmanuelle Beart, dopo aver visto CALVAIRE si è lasciata andare in una performance assolutamente fuori dagli schemi per l'intensità e il coraggio.
I raddoppiamenti di Jeanne e il simbolismo del regista, appaiono nuovamente, più strutturali e maturi sotto tutt'altra forma: la madre-ventre (utero), madre-terra (fango), madre-cibo (seno), altro non sono che le caratteristiche della Dea Madre che in un finale indimenticabile appare in tutta la sua carica eversiva. Interessante anche l'aspetto per cui in CALVAIRE comparivano solo uomini (i bifolchi sono ovunque in ogni parte del mondo) mentre qui il Femminile ha una potenza, una vivacità e una forza dirompente, poichè invertita e azzerata dalla forzata negazione di non poter essere Madre, ma diventando infatti una Dea Madre che protegge i suoi figli.
Allo stesso tempo lo stile unico del regista diventa un suo aspetto specifico, grazie al quale diventa riconoscibile già alla sua seconda opera e senza dimenticare il talento del co-autore del film, il direttore della fotografia Benoit Debie.
Lo Tsunami diventa dunque metafora di un'onda che lava via la psiche, riportando ad una stasi di veglia tra rassegnazione e coraggio. L'incipit, come il finale, sono tra i passaggi più importanti del film, tecnicamente straordinari e visivamente originali.
Vinyan conferma la straordinaria visionarietà di un giovane regista che speriamo continui su questi binari senza, magari, accettare inutili e patetici contratti oltreoceano.