Titolo: A dark song
Regia: Liam Gavin
Anno: 2016
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5
Sophia ha affittato una casa in mezzo
al niente. Ha anche pagato una cifra extra affinché nessuno le
chieda nulla. La sua unica compagnia sarà quella di Michael Solomon,
un occultista che deve aiutarla con un rituale lungo e faticoso a
mettersi in contatto con il figlio. Il problema è che Sophia non è
stata del tutto chiara con Michael.
Negli ultimi anni soprattutto in Europa
i film che trattano la magia in una forma quasi sconosciuta,
primitiva e senza fronzoli cominciano a non essere così pochi. I
risultati sono altalenanti, diciamo che la maggior parte di coloro
che non ricorrono agli effetti speciali o alla c.g riescono ad avere
i risultati più interessanti e con delle storie articolate e
complesse. Una risposta a questo fenomeno potrebbe essere anche
quella per cui siamo stufi e annoiati di vedere storie anche
interessanti messe in scena con il solito compito di intrattenere
A dark song è uno di questi. Forse è
l'indie con il budget più scarno e al contempo un film che ha tutto
nella rigorosità nella messa in scena, l'obbiettivo e gli intenti
più nobili e complessi.
Un esordio difficile, anti commerciale,
anti modaiolo e tutto sembra interessare a Gavin purchè piacere ai
gusti del pubblico. Un'esamina molto più dottrinale e intellettuale
che non un film denso di colpi di scena, momenti artificialmente
privi di un contesto dove collocarli o jump scared inutili.
Qui si entra, con sacrifici e tanto
dolore, dentro un limbo dove all'interno si dimentica o si rimette in
gioco tutto quello che si è sempre stati convinti di sapere
accettando di diventare strumento per il volere di un'altra persona
dato che quel potere è stato conferito dalla medesima e per la
medesima ragione.
Un luogo che pur essendo una casa,
perde quasi subito la sua connotazione geografia per condurti fuori
dal tempo in un luogo irriconoscibile dove è possibile perdersi,
morire, risorgere, annegare dentro una vasca e infine trovarsi in
mezzo alla luce.
Un horror intimista, implicito,
perfettamente supportato da un duo di attori che si immerge dentro i
personaggi trasmettendogli dolori, sofferenze, allucinazioni, stati
d'animo che sembrano lasciar aperta ogni porta e incontrare di fatto
qualsiasi realtà (magica, religiosa, divina).
Stregoni, gran cerimonieri, cerchi
magici, "sesso magico", libri magici, demoni, angeli
custodi, grimori, invocazioni, rituali. Il film parla di tutto questo
senza però renderlo mai bistrattato e più di ogni cosa, senza mai
palesare allo spettatore quasi nessuna di queste realtà.
Il film è criptico da questo punto di
vista facendo una ricerca attenta e minuziosa sugli studi esoterici,
citandoli ma senza mostrargli, sfuggendo a tutti gli stereotipi uno
dei quali ci ritrae il personaggio di Solomon come un eremita isolato
e semi alcolizzato che sembra uscire del tutto dalla visione che
abbiamo degli stregoni. Ricorda su diverse scelte e nel non
comunicarci mai veramente quali siano gli intenti profondi un altro
bellissimo film come quella perla rara di Kill
List
da cui questo film attinge tanto
soprattutto per quella che è la politica di un autore come Weathley.
E'un film dove il cerimoniere tratta
argomenti profondi e inquietanti, che spesso mettono a nudo la
purezza spirituale e l'anima del predestinato. Quando poi non si è
davvero sinceri con quello che si vorrebbe andare a sondare, allora
gli effetti perversi possono essere spaventosi.
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