Titolo: Moschettieri del re-La
penultima missione
Regia: Giovanni Veronesi
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 2/5
1650 (o suppergiù). Dopo trent'anni di
onorata attività al servizio della casa reale i quattro moschettieri
hanno abbandonato il moschetto e sono invecchiati: D'Artagnan fa il
maialaro e ha il gomito dello spadaccino, più un ginocchio fesso;
Athos si diletta con incontri erotici bisex ma ha un braccio
arrugginito e un alluce valgo; Aramis fa l'abate in un monastero e
non tocca più le armi; e Porthos, dimagrito e depresso (ma lui
precisa: "Triste e infelice"), è schiavo dell'oppio e del
vino. Ciò nonostante quando la regina Anna d'Austria, che governa
una Francia devastata dalle guerre di religione al posto del
dissennato figlio Luigi XIV, li convoca per affidare loro un'ultima
missione, i moschettieri risalgono a cavallo, di nuovo tutti per uno,
e uno per tutti.
E ora di stendere un velo pietoso anche
sull'ennesimo adattamento, in chiave elementare, del romanzo
immortale di Dumas. La commedia all'italiana post contemporanea degli
ultimi vent'anni (quella per intenderci spocchiosa e tamarra) vs la
commedia all'italiana che ci ha fatto conoscere in tutto il mondo.
Questa nuova tendenza, quasi come un
marketing del remake, sta facendo ancora una volta conoscere gli
aspetti peggiori del nostro paese e del nostro cinema senza però
inquadrarli con una lente che ne colga paradossi e limiti e
corruzione ma bensì una tendenza a stravolgere quanto di meglio
abbiamo dandone una maschera ignorante con un'ironia volgare e
inutile che manca l'obbiettivo principale: coinvolgere e far ridere
senza risultare troppo stupido.
Veronesi purtroppo è stato uno dei
registi che ha distrutto maggiormente il nostro cinema relegandolo ad
effimero accessorio con stupide storie d'amore e manuali di come non
si dovrebbe girare un film.
Spiace. In primis per il cast che a
parte Mastrandrea vedeva tutti perfettamente in parte anche se per
quanto concerne la parlata e i dialoghi, Favino, con questo suo
bisogno di ritagliarsi dialetti di ogni tipo ha grattato il fondo in
più scene risultando e riciclando la maschera del rifugiato nel
monologo a Sanremo.
Qualcuno poi ha provato a compararla
all'Armata Brancaleone del passato. Stendiamo un altro velo pietoso.
Nel film e nel regista manca prima di tutto il pathos quello che in
una storia del genere per quanto la si voglia rendere fantasma di se
stessa come un'auto parodia con il risultato che lo spirito
dissacrante non riesce mai a graffiare a dovere e dove le scene
rocambolesche di combattimento costantemente sospese tra azione e
comicità, non convincono mai risultando quasi dei tentativi
amatoriali così come la scenografia palesemente finta e che nemmeno
per un istante riesce a catapultarci in quel periodo.