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martedì 2 luglio 2019

Moschettieri del re-La penultima missione


Titolo: Moschettieri del re-La penultima missione
Regia: Giovanni Veronesi
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

1650 (o suppergiù). Dopo trent'anni di onorata attività al servizio della casa reale i quattro moschettieri hanno abbandonato il moschetto e sono invecchiati: D'Artagnan fa il maialaro e ha il gomito dello spadaccino, più un ginocchio fesso; Athos si diletta con incontri erotici bisex ma ha un braccio arrugginito e un alluce valgo; Aramis fa l'abate in un monastero e non tocca più le armi; e Porthos, dimagrito e depresso (ma lui precisa: "Triste e infelice"), è schiavo dell'oppio e del vino. Ciò nonostante quando la regina Anna d'Austria, che governa una Francia devastata dalle guerre di religione al posto del dissennato figlio Luigi XIV, li convoca per affidare loro un'ultima missione, i moschettieri risalgono a cavallo, di nuovo tutti per uno, e uno per tutti.

E ora di stendere un velo pietoso anche sull'ennesimo adattamento, in chiave elementare, del romanzo immortale di Dumas. La commedia all'italiana post contemporanea degli ultimi vent'anni (quella per intenderci spocchiosa e tamarra) vs la commedia all'italiana che ci ha fatto conoscere in tutto il mondo.
Questa nuova tendenza, quasi come un marketing del remake, sta facendo ancora una volta conoscere gli aspetti peggiori del nostro paese e del nostro cinema senza però inquadrarli con una lente che ne colga paradossi e limiti e corruzione ma bensì una tendenza a stravolgere quanto di meglio abbiamo dandone una maschera ignorante con un'ironia volgare e inutile che manca l'obbiettivo principale: coinvolgere e far ridere senza risultare troppo stupido.
Veronesi purtroppo è stato uno dei registi che ha distrutto maggiormente il nostro cinema relegandolo ad effimero accessorio con stupide storie d'amore e manuali di come non si dovrebbe girare un film.
Spiace. In primis per il cast che a parte Mastrandrea vedeva tutti perfettamente in parte anche se per quanto concerne la parlata e i dialoghi, Favino, con questo suo bisogno di ritagliarsi dialetti di ogni tipo ha grattato il fondo in più scene risultando e riciclando la maschera del rifugiato nel monologo a Sanremo.
Qualcuno poi ha provato a compararla all'Armata Brancaleone del passato. Stendiamo un altro velo pietoso. Nel film e nel regista manca prima di tutto il pathos quello che in una storia del genere per quanto la si voglia rendere fantasma di se stessa come un'auto parodia con il risultato che lo spirito dissacrante non riesce mai a graffiare a dovere e dove le scene rocambolesche di combattimento costantemente sospese tra azione e comicità, non convincono mai risultando quasi dei tentativi amatoriali così come la scenografia palesemente finta e che nemmeno per un istante riesce a catapultarci in quel periodo.