Visualizzazione post con etichetta Austria. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Austria. Mostra tutti i post

lunedì 2 gennaio 2023

Luzifer


Titolo: Luzifer
Regia: Peter Brunner
Anno: 2021
Paese: Austria
Giudizio: 4/5

Luzifer, un uomo innocente simile a Kaspar Hauser e con il cuore di un bambino, vive isolato in una baita con la sua aquila e la devota madre. La vita quotidiana in tale ambiente è regolata dalla preghiera e dai rituali. Improvvisamente, però, oggetti moderni e rumori dirompenti si intromettono tra natura e culto: uno progetto turistico minaccia di avvelenare il paradiso di Luzifer e di risvegliare il diavolo.
 
Dov'è il diavolo?
Luzifer è uno dei quei film anomali, potenti, sperimentali e disturbanti che provocano e inquietano il pubblico con la loro pretesa autorialità nell'infrangere regole e dogmi come ogni artista dovrebbe assolutamente fare nella sua politica d'autore.
Un film anti pubblico, anti fan service, anti tutto, andando a minare la post contemporaneità, il consumismo, il credo religioso e il fanatismo contaminandolo con una cultura popolare eretica, miti naturali e dei rituali simbolici di una fede animistica pagana e primitiva che servono per non soccombere alla solitudine. Un mix di linguaggi, movimenti e gesti che porta i due protagonisti ad essere due assoluti outsider che vivono di loro stessi dove il figlio con evidenti disturbi caratteriali e deficit mentali è succube di una madre la quale necessita di quella privazione in un luogo lotano da tutto e tutti per non cadere nuovamente nelle dipendenze.
Un film scomodo con pochi e complessi gesti e movimenti, dove la natura e l'espressività predominano, dove la stessa animalità in questo strano rapporto tra uomo e animale e madre figlio sembra avere qualcosa di ancestrale fino a che non vengono depredati della loro innocenza per soccombere di fronte ad una contemporaneità che non intende concedergli scelta attaccandoli prima con una schiera di droni e poi con la realizzazione di un progetto, una funivia, volta a deturpare quel limbo in cui i due sembravano essersi rinchiusi. Per tutta la durata Johannes sembra vivere in balia di una ricerca verso questo diavolo è dove possa insinuarsi, se tra le montagne, all'interno dei droni, nella sua stessa mano che cercherà di purifucare con il fuoco, nella tecnologia dei cellulari o delle macchine. Attori in stato di grazia, Susanne Jensen, attrice non protagonista, attrice molto fisica e devastata dal suo passato nonchè pastore luterano nella vita offre un'interpretazione memorabile.
Luzifer è un film complesso nella sua semplicità di contenuti per un cinema che sfugge alle tradizionali leggi del tempo creando un ritmo interno alla narrazione intenso quanto minimale

domenica 27 novembre 2022

Masking Threshold


Titolo: Masking Threshold
Regia: Johannes Grenzfurthner
Anno: 2022
Paese: Austria
Giudizio: 3/5

Un responsabile IT di un'azienda, affetto da un disturbo simile all'acufene, si chiude in una stanza per fare degli esperimenti su materiali e corpi di animali. Vuole dimostrare che ogni oggetto di derivazione organica emette un suono, che questo suono comunica qualcosa e che la sensazione si acuisce quando il corpo in questione agonizza e muore. 
 
“L’acufene, detto anche tinnito, è la percezione di un rumore, solitamente un ronzio, un fischio, un fruscio o un sibilo, avvertito nelle orecchie o nella testa in assenza di uno stimolo acustico esterno”
Come spesso capita nel cinema indipendente americano, Masking Thresold nasce da una mente folle come spesso gli austriaci ci ricordano e da un'idea assolutamente irresistibile dove senza budget si prova a fare il grande salto. In questo caso esaminando una tematica poco avvezza, usando quasi sempre telecamera a mano, sfruttando quasi solo un'unica location, non mostrando mai il protagonista e con un monologo a tratti alienante per quanto sommerga lo spettatore di informazioni; alcune utili, altre come un flusso di coscienza da parte di un disagio che più che mai sta sfociando in una patologia che nel climax finale diventerà orrore puro.
La follia e la sua breve ascesa vede proprio il mad doctor evitare aiuti, fare tutto da solo, ricercare una propria cura personale convincendosi che ogni soggetto vivente emettendo un suono soprattutto quando si sta avvicinando alla morte possa portarlo a scoprire la causa del suo disturbo e si convince sempre di più di poter fornire al mondo uno studio di altissimo valore scientifico sperimentando le sue teorie sulle piante, muffe e funghi, cibo scaduto per poi passare al suo stesso sperma agli animali e infine all’amica, la madre e il fattorino di Amazon… un’escalation gore di torture e follia che porteranno all’unica cura possibile per il nostro misterioso personaggio.

martedì 27 dicembre 2016

Los Decentes

Titolo: Los Decentes
Regia: Lukas Valenta Rinner
Anno: 2016
Paese: Austria
Festival: TFF 34°
Sezione: Torino 34°
Giudizio: 3/5

Una donna si presenta ad un casting per essere assunta come cameriera in una casa di lusso in una zona residenziale nella periferia di Buenos Aires, abitata da famiglie dell'alta borghesia, vale a dire, da persone "decenti". Ma dall'altra parte della barricata, c'è un'altra comunità dai precetti radicalmente diversi: una congregazione di nudisti, che si dimentica dei canoni sociali quanto a classe e, soprattutto, a "decenza", per abbracciare la liberazione mentale e sessuale in comunione con la natura. E la donna viene, naturalmente, rapidamente attratta dal richiamo di quest'oasi.

Il secondo film del giovane regista argentino è un film che racconta sotto certi aspetti una lotta di classe, ancora argomento pregnante in Argentina, sfruttando un paradosso molto interessante che riesce a diventare durante l'arco della narrazione il vero motore che riesce a conferire atmosfera e mistero al film. Un paradosso, il passaggio segreto dove Belen vive entrambi i mondi entrando in contatto da un lato con la borghesia di un nucleo familiare particolarmente fastidioso, dall'altro una comunità di nudisti che si sdraiano al sole, fanno bagni solitari o collettivi, praticano il sesso tantrico, a due, in ammucchiata, eterosessualmente, omosessualmente, come capita, con chi capita. Una di quelle comunità neopagane tra movimenti nudisti tedeschi del primo Novecento e frikkettonismi californiani anni Settanta, chissà come incistatatasi in quella parte di Argentina.
Dunque nudisti contro borghesi in questa nuova lotta di classe che sembra interessare al regista con messaggio anarcoide-ribellistico da vecchio cinema di contestazione e sovversione anni Settanta
(un surreal-latinoamericana) e le atmosfere di una imminente distopia, la violenza che può scoppiare anche dove il livello di sicurezza è più alto, la segmentazione delle città in zone chiuse e non comunicanti. Purtroppo tutta l'ansia e il nervoso che Belen trattiene sembra evolversi e allargarsi anche al resto della comunità per la preparazione molto grottesca di un climax finale un po troppo veloce in questo gioco al massacro che ricorda la caccia alla volpe.
Un film che volutamente non è mai inquietante ma grazie all'uso delle inquadrature fisse e di queste composizioni simmetriche che passano da un estremo all'altro risulta seppur lento e con dei dialoghi ridotti all'osso, visivamente molto curato e con diversi riferimenti letterari e cinematografici.
Un film che forse girato dallo stesso regista con più esperienza e maturità avrebbe giovato all'opera e a tutta la contestazione, che seppur datata, poteva provocare e smuovere di più.


giovedì 21 luglio 2016

Atmen

Titolo: Atmen
Regia: Karl Markovics
Anno: 2011
Paese: Austria
Giudizio: 4/5

Roman ha appena compiuto i diciotto anni ma non ha alcun motivo per festeggiare. Non ha famiglia, è senza amici e per di più sta scontando una lunga condanna all’interno di un penitenziario minorile. Presto gli si presenta, però, la possibilità di lasciare l’istituto a patto che si trovi un lavoro che gli permetta di reinserirsi nella società. Dopo vari tentativi andati a vuoto, il ragazzo è assunto in un obitorio. Qui, di fronte al cadavere di una donna che porta il suo stesso cognome, decide di mettersi alla ricerca della madre e delle sue origini.

L'Austria quasi sempre ci porta a sondare scenari drammatici e situazioni molto pesanti.
Markovics non sembra allontanarsi troppo da questa specie di reputazione e punta tutto su un viaggio di redenzione reale, quasi silenzioso, lasciato sulle spalle del suo giovane protagonista.
Un anti eroe già segnato da una maledizione che non lo molla per tutta la durata della pellicola.
Soffocare, non sentirsi mai liberi, spostarsi da una prigione per recarsi in "altre" prigioni dell'anima che lasciano sempre un senso di vuoto e di morte che non è solo quella che si vede nelle vittime con cui Roman ha a che fare ma che diventa metafora di un male sociale e di istituzioni incapaci di creare soluzioni diverse che non schiaccino la voglia di vivere dei giovani anche quando questi per ragioni complesse e strazianti arrivano ad uccidere un coetaneo.
Fine pena mai, sembra quasi il leitmotiv della sua vita, senza colpi di scena, amici o entusiasmo.
Il controllo della respirazione diventa la nota principale attraverso cui si dipana il film almeno fino a quando non lascia spazio al desiderio di scoprire e di dare e darsi una propria identità.

Solo in questo modo si scopre un'altra vita, un altro percorso di ricerca e infine un obbiettivo che anche se non porterà alla risposta che si vuole, diventa quell'unica possibilità per slacciarsi dall'alienazione e dall'omologazione che rischia di distruggere il protagonista.

martedì 12 aprile 2016

Revanche- Ti ucciderò

Titolo: Revanche- Ti ucciderò
Regia: Gotz Spielmann
Anno: 2008
Paese: Austria
Giudizio: 4/5

In città o si diventa arroganti o farabutti: con queste parole viene descritto Alex a pochi minuti dall'inizio il quale, occorre dirlo, di certo stando a Vienna non è diventato arrogante. Uscito di galera qualche tempo prima dell'inizio del racconto, ora fa l'autista per il padrone di un bordello e ha commesso il terribile errore di innamorarsi, ricambiato, della prostituta più richiesta. Insieme meditano la fuga per la quale gli occorrono però parecchi soldi, lei infatti è seriamente indebitata. C'è solo un modo per Alex di procurarsi quella cifra e in fretta: una rapina ben fatta. Purtroppo un piccolo ingranaggio del meccanismo non va per il verso giusto influendo sulla fuga dei due amanti dalla città e dando alla storia una seconda parte radicalmente diversa. Nel passaggio da città a campagna (dove il dolore si rimugina tagliando la legna e ha la forma della gigantesca catasta di ciocchi che ne risulta), il silenzio della seconda si contrappone al caos della prima e il noir diventa una dramma a due: la lentissima caccia che l'autoproclamato giustiziere dà al colpevole, suo ignaro vicino di cascina.

Sono appassionato dei viaggi di redenzione e degli anti-eroi.
Diciamo che quando calcano scelte morali che distruggono la psiche per tuttta la durata del film mi piacciono ancora di più. Riesco a vedere più realisticità e poesia in loro di moltri altri personaggi di Fiction o di televisione.
Revanche è un poliziesco classico austriaco, un noire sulla malavita "immigrata", con dei bruschi cambi di struttura che lo risparmiano dall'essere telefonato e scontato e dall'altro inseriscono delle pause di riflessioni interessanti sui cui portare lo spettatore a chiedersi cosa avrebbe fatto al posto di Alex.
Un film che indaga il senso della vendetta senza concedersi in modo forzato ma cercando di mantenere degli intenti che lo collocano come un'opera a tratti esagerata ma sicuramente matura e intensa.
Lo sguardo freddo e distaccato della regia e di Alex sono doverosi per dare un'idea di un luogo, dei grigi confini della periferia e di una quotidianità fatta di nulla e di espedienti.
L'ottica di Spielmann sembra essere proprio questa, molto esistenzialista.

Una convinzione che ci sia un senso a guidare gli accadimenti e l'esistenza, in una prospettiva percorsa da una qualche forma di ottimismo senza lieto fine.  

venerdì 29 gennaio 2016

Goodnight Mommy

Titolo: Goodnight Mommy
Regia: AA,VV
Anno: 2014
Paese: Austria
Giudizio: 4/5

Una casa della campagna in provincia di Vienna. Due fratelli gemelli di nove anni d’età attendono il ritorno della madre dopo che la donna è stata sottoposta a un intervento di chirurgia estetica al volto che fa sì che le si vedano quasi solo gli occhi e la bocca. Dal comportamento autoritario di colei che afferma essere la loro madre i due bambini deducono che in realtà si tratta di una mistificatrice. La mamma che loro conoscevano aveva tutt’altro carattere. Da quel momento il loro comportamento nei loro confronti si fa sempre più ostile.

Ich Seh, Ich Seh, è sicuramente un film interessante quanto complesso.
Minimale e crudo, ponendo sotto vari livelli di significato un tema straziante e contenutisticamente originale.
Come la scoperta per due "gemelli" di trovarsi di fronte a qualcuno che sembra aver perso alcuni valori di riconoscimento, quell'empatia e quell'attaccamento che come per gli animali ci fionda nelle braccia dei nostri genitori e in particolare di nostra madre.
Sono tanti i dubbi e i misteri celati nella pellicola già dalla primissima scena.
Tutto appare come onirico e surreale, profondo e allo stesso tempo incerto, nell'omettere e nel offrire allo spettatore che cosa è giusto e che cosa invece no.
La chirurgia estetica, il codice normativo, i gemelli e il doppio, il sogno e gli stati di incoscenza, in un crescendo di mascheramenti che solo alla fine sembrano togliere le bende per rivelare, ma anche qui qualcuno potrebbe storcere il naso, chi realmente è cosa, o come il titolo originale del film "Io vedo, Io vedo".
Un puzzle costruito in modo infallibile, dove, anche quando non sembra, tutto torna con i suoi tasselli, i suoi innumerevoli indizi, i dialoghi striminziti e i doppi sensi che valgono già da soli una visione accurata e minuziosa.
Con un'unica location, una casa enorme e bellissima, i due registi ci lasciano fuori dal tempo, ci rendono prigionieri di questo triste e tetro quadro familiare che non può avere un lieto fine.
Goodnight Mommy è indescrivibilmente malvagio quanto reale, semplice e straordinariamente complesso, un viaggio nella mente umana che lascia ben sperare per l'incredibile lavoro di scrittura e di montaggio. Senza contare poi la bravura dello sconosciutissimo cast.
Un altra pillola di doverosa cattiveria che ci arriva dal paese madre sul tema, l'Austria di Haneke.




lunedì 29 giugno 2015

Michael

Titolo: Michael
Regia: Markus Schleinzer
Anno: 2011
Paese: Austria
Giudizio: 4/5

Michael, 35 anni, lavora in una società assicurativa in cui è considerato un dipendente affidabile. Vive da solo in una villetta a schiera e incontra molto raramente la madre e la sorella a cui racconta di avere una compagna in Germania. Michael non ha una compagna oltre confine. Ha invece un bambino di 10 anni chiuso nello scantinato insonorizzato della sua abitazione che tiene prigioniero e di cui abusa sessualmente.

Michael è a tavola. Guarda di fronte a lui il bambino/vittima prescelta che mangia e cominciando a ridere si tira fuori il cazzo.
M-"Questo è il mio coltello e questo è il mio cazzo. Quale dei due devo ficcarti dentro?"
B-"Il coltello"
Fedele adepto di Haneke, Schleinzer se ne esce con un concentrato minimale di pura cattiveria, senza ricorrere quasi mai alla violenza fisica ma lasciando tracce indelebili difficili da rimuovere in un film d'autore lento e impressionante. Sceglie un uomo medio qualsiasi, una di quelle persone di cui non si sentirà mai la mancanza e che vivono nascoste senza volersi far conoscere dal resto della società.
E'un film molto complesso e psicologico quello del regista austriaco, in cui il rapporto tra vittima e carnefice si consuma in modo continuativo, facendo in modo che l'odio e lo sconforto vengano a tratti sostituiti da un barlume di fiducia, come terreno fertile, carta d'identità di ogni pedofilo che si rispetti.
Eppure è un mostro diverso dagli altri, che la caratterizzazione cerca quasi, ma senza riuscirci, di comprendere mostrando le umane debolezze con Michael che gioca e nutre il bambino in fondo cercando di volergli "bene" e dall'altra parte tenendo in scacco lo spettatore rendendolo partecipe di una liberazione. Un bene che non può esistere e che destruttura completamente la fisiologia e lo sviluppo della vittima.
Di troppi bambini scomparsi non si parla e chissà quanti potrebbero essere testimonial di drammi così viscerali come quello descritto dal regista con pochissimi dialoghi e insistendo a più riprese su alcuni dettagli. Eppure non cerca mai il sensazionalismo banale, non esagera mai con la portata delle immagini se non in qualche occasione.
Il finale è straziante.



sabato 14 febbraio 2015

Robber

Titolo: Robber
Regia: Benjamin Heisenberg
Anno: 2010
Paese: Austria
Festival: TFF
Giudizio: 3/5

Johann Rettenberger sta scontando i suoi ultimi giorni di carcere per rapina. Gli anni di internamento non hanno sopito la sua passione per la corsa agonistica, che Johann ha continuato a praticare costantemente fra le mura del carcere e il tapis roulant della cella. Quando viene rilasciato, il programma di recupero lo iscrive all'ufficio di collocamento, dove ritrova una sua vecchia conoscenza, Erika. Ma Johann non è interessato ad un lavoro normale e ad una posizione stabile, e investe tutte le energie e il suo tempo in allenamenti per la corsa, alternando maratone dove risulta sempre anonimo vincitore a una serie di frenetiche rapine a mano armata. Nel frattempo si trasferisce da Erika e inizia una relazione con lei, ma la possibilità di raggiungere una stabilità nulla può contro le esigenze estreme del suo battito cardiaco.

"Non ho mai smesso di correre", o ancora "quello che faccio non ha niente a che vedere con quella che tu chiami vita"
Robber è un film piacevole che denota dietro la macchina da presa, un regista con idee interessanti che deve solo cercare di essere meno ambizioso e più in linea con la narrazione.
L’elemento che crea più problemi nella pellicola è la soluzione di continuità, passando da un estremo di rapine all’altro di silenzi e sguardi all’interno della casa con la co-protagonista Erika. Il finale è l’elemento migliore, davvero struggente anche se un po forzato come nel caso in cui le pattuglie della polizia che controllano i boschi sono stranamente sempre nello stesso punto in cui si trova il protagonista.
Però allo stesso tempo Walter Huber lavora molto sul contenimento riuscendo allo stesso tempo ad apparire convincente e verosimile con il malessere che lo pervade e i continui stati d’ansia che si impossessano di lui.
Potrà inoltre apparire scarno per quanto concerne la psicologia e la caratterizzazione dei personaggi secondari, ma credo sia in parte funzionale, non dimenticando le caratteristiche di un personaggio come quello di Johann, disturbato a causa del lungo periodo di prigionia.

Il film tra l’altro è l'adattamento dell'omonimo romanzo ispirato a Martin Prinz dalla storia vera di un rapinatore di banche e maratoneta austriaco . In Italia non è mai stato distribuito nei cinema ed è passato in sordina ai festival nonostante il regista abbia riscosso un certo successo con il film precedente.

lunedì 23 giugno 2014

Population Boom

Titolo: Population Boom
Regia: Warner Boote
Anno: 2013
Paese: Austria
Festival: Cinemambiente
Giudizio: 3/5

Fino a che punto è vero che il sovrappopolamento causerà danni al Pianeta? E soprattutto, siamo davvero così in tanti? Il viaggio del regista Warner Boote nei paesi sottosviluppati e tra i dati forniti dalle Nazioni Unite e dalla Banca Mondiale

Boote sembra un tipo simpatico. Viaggia moltissimo, sembra onnipresente ed è un fan dei festival che cerca di non perdersi in tutto il mondo. A Torino era interessante scoprire il motivo che lo ha portato alla realizzazione di questo documentario soprattutto quando forse ttti partivano con alcune idee, visto il titolo, e si sono visti trattare il tema in modo completamente diverso.
Già nel 1974 veniva redatto il “National Security Memorandum 200”, un documento che stigmatizza la necessità di un piano di controllo delle nascite per assicurare il benessere alla popolazione mondiale, partendo da paesi sottosviluppati come il Messico, l'India, il Bangladesh, il Pakistan, le Filippine e la Thailandia, solo per citarne alcuni. Così Boote cerca alcuni tra i rappresentanti più autorevoli, sparsi in tutto il mondo, e chiede, domanda, legge statistiche e cerca di capire se quello del sovraffollamento sia davvero un problema.
Secondo questo principio o parlando soltanto di dati relativi ad esempio alla densità demografica, L'Africa non è forse uno dei meno popolati? E che dire di alcune aree europee in cui la densità è altissima? Partendo da alcuni confronti e collegamenti si scoprono dei dati sorprendenti e lo stesso equilibrio sociale e abitativo non sembra poi così allarmante.
Infine la pianificazione famigliare.
Warner Boote per comprendere fino a quale punto la popolazione condivida l'idea che sia qualcun altro a controllare, per meri interessi economici o per il “benessere del mondo”, il numero dei membri di una famiglia. Si fa il caso della Cina. Con la politica del figlio unico il governo garantisce che le ricchezze siano maggiori all'interno di un nucleo familiare e che questo possiederà più potere in termini di possibilità di consumo: ma tra cinquanta anni, quanti giovani ci saranno ad aiutare i più anziani? È una società condannata a diventare più vecchia della sua storia. Oppure si passa in Africa: si parla di controllo delle nascite e di sovrappopolamento, ma le immagini di distese chilometriche di terre disabitate fa pensare a tutt'altro. Se c'è un'alta concentrazione demografica in pochi luoghi, è perché in quelli restanti gli abitanti non hanno diritto di accesso alla terra.

Energized

Titolo: Energized
Regia: Hubert Canaval
Anno: 2014
Paese: Austria
Festival: Cinemambiente
Giudizio: 4/5

Pur essendo eccessivamente didascalico, il documentario del regista austriaco già all'attivo con altri lavori interessanti, si interroga sullo stato della produzione di energia sul nostro pianeta, ma soprattutto sul suo incerto futuro e le tecniche di estrazione petrolifera in punti pericolosi che alterano gli equilibri geo-terrestri.
Un documentario breve ma coinciso che sfata il mito delle rinnovabili e ci porta a scoprire nuove possibilità per l'autosufficienza energetica, come si evince dallo schema corale con cui è impostato il documentario e i suoi protagonisti sparsi in diverse aree del mondo.
Tutto sembra riassunto in una breve log-line che con l'ironia drammatica è emblematico nella sua emergenza“Per quanto ancora volete continuare a trivellare la terra volgendo le spalle al sole?”
Il nostro bisogno di energia aumenta costantemente, e le vie alternative a petrolio, nucleare e centrali elettriche non sembrano interessare le grosse multinazionali, potenti e sempre più in grado di cambiare accordi e fare causa direttamente ai paesi che non permettono loro un facile arricchimento.
Dal capitolo dedicato all'inquinamento delle falde acquifere in Canada, al piano dell'Europa che sta pensando di spendere fior fior di quattrini per costruire un gigantesco network di centrali elettriche, piuttosto che investire sul fotovoltaico fino ai disastri nucleari che l'uomo non ha ancora imparato ad evitare, a prescindere da quel che sostengono le grandi industrie che vanno a braccetto con i politici.
Possiamo far fronte, dunque, al nostro fabbisogno energetico senza minare la sopravvivenza stessa del Pianeta e la nostra? La risposta che ci arriva violenta, come uno schiaffo morale in pieno volto, è sì. Punto.
Sono solo scelte politiche.
Scelte che non verranno prese e investimenti che non verranno fatti fino a quando si sceglierà di tutelare maggiormente l'interesse economico delle grandi industrie mondiali.
Ma i risultati Canaval mostra che ci sono basta solo crederci come dall’ospedale austriaco che diventa autosufficiente utilizzando energia solare, all’ingegnere africano che torna in patria per portare nel suo paese un nuovo modo di distribuire l’energia elettrica, fino a quei “ribelli” in tutto il mondo che con le loro proteste cercano di sensibilizzare i loro vicini sui vantaggi dell’energia alternativa o di fare chiarezza sull’attività dei grandi produttori.

L'unica critica già avanzata da qualcuno oltre il punto che sia troppo didascalico e quindi troppi numeri e cifre da tenere a mente in troppo poco tempo, la pellicola però proprio in conseguenza del punto precedente, manca di una base di dati statistici oggettivi che aiuterebbe lo spettatore a capire meglio l’entità dei problemi di cui si fa portavoce, perdendo così in efficacia documentale ed esponendosi più facilmente a critiche da coloro che non hanno ancora preso una posizione definita riguardo le energie rinnovabili.


lunedì 24 dicembre 2012

Edukators


Titolo: Edukators
Regia: Hans Weingartner
Anno: 2004
Paese: Austria
Giudizio: 2/5

Jan, Peter e Jule sono tre giovani ribelli uniti dal sogno utopistico di cambiare il mondo. Jan e Peter diventano "Gli Educatori", misteriosi attivisti non-violenti che penetrano nelle case dei ricchi per predicare la fine imminente dei giorni dell'abbondanza. Ma presto vengono travolti dal vortice degli eventi e si trovano a dover fare i conti con la realtà e con gli ideali del resto del mondo.

E’strano cercare di capire gli intenti legati al plot prima ancora di parlare degli intenti di regia del film di Weingartner.Descrivere e parlare d’ideologia avendo le idee confuse già dall’inizio non è sicuramente un buon punto di partenza. E’così vengono vanificate le promesse di un film che a parte alcune scene interessanti e una recitazione non sempre all’altezza, si prende alle volte troppo sul serio non riuscendo come nel caso di Bertolucci a sviluppare un menage a trois significativo. Mentre nel film dell’italiano di sfondo avvenivano processi che avrebbero cambiato la natura artistica e in parte politica del paese, nel film tedesco invece la rivolta contro contro la borghesia egoista diventa quasi involontariamente comica con l’intento di voler dare una lezione a un gruppo di cinici capitalisti ("colpirne uno per educarne cento") per avvertirli che l'abbondanza sta per finire ed è ora di saldare il conto con chi è stato sfruttato.
Come in FERRO 3 gli educatori penetrano al buio nelle case altrui (violando con facilità quell'illusione di sicurezza su cui si fonda la nostra epoca) per creare uno choc, che conduca i ricchi senz'anima alla riflessione. Il risultato non è quello che il pubblico sperava.

sabato 10 novembre 2012

Amour


Titolo: Amour
Regia: Michael Haneke
Anno: 2012
Paese: Austria/Germania/Francia
Giudizio: 4/5

Georges e Anne, una coppia sposata, hanno circa ottant’anni. Sono entrambi due raffinati insegnanti di musica in pensione. La loro figlia, anche lei musicista, vive all’estero assieme alla sua famiglia. Un giorno, Anne ha una specie di infarto che la lascia ammutolita e paralizzata, senza che, dopo essersi ripresa, possa ricordarsi di cosa le è accaduto. Il legame d’amore della coppia da questo momento viene messo alla prova, dal momento che Georges decide di prendersi cura personalmente della moglie…

Il cinema di Haneke non ha bisogno di presentazioni. Anche i festival più importanti al mondo lo sanno. Adorato e idolatrato dai critici, il maestro austriaco ha saputo con la sua filmografia dare una cornice ancora più perfetta  e drammatica alla settima arte.
Amor tocca le corde del cuore. Mette alla prova. Fa piangere e fa pensare. Si osserva un rapporto che fa della sua semplicità qualcosa di straordinario. Il dono della narrazione è sempre più cosa rara oggigiorno, ma sembrano esserci dei talenti nati che riescono in modo spontaneo a fare molto più di quello che si possa pensare. Vedere due anziani colti che si danno manforte nella vita quotidiana è innanzitutto un incoraggiamento alla voglia di amarsi, di nutrire e sapersi dare speranza nella gioia e nel dolore.
Proprio quest’ultimo disorienta e incentiva, oltre che mettere ancora di più alla prova, l’amore di Georges.
La scena del breve lapsus di memoria che coglie Anne nel suo primo passaggio verso il decadimento è spiazzante.
Finora dopo alcune drammatiche quanto necessarie storie di vita, di viaggi, di solitudini e di violenza, Haneke parla di quel sentimento universale che sempre di più viene messo alla prova.
Non a caso decide di scegliere una coppia anziana interpretata da due attori in stato di grazia. Quello che poi fa Trintignant va oltre. Non sembra neanche di vedere un attore ma il valore aggiuntivo è ancora più profondo. La sua grazia e la sua spontaneità valgono da soli il prezzo del biglietto.
Anche la Riva ritrovata non scherza. Entrambi fanno passare in secondo piano il ruolo della Huppert.
Si piange ma si sorride come ad esempio nella scena in cui lei gioca con la sedia a rotelle elettrica oppure quella in cui lui semplicemente la guarda dicendole che è bellissima.
Sembra esserci tra le righe anche una certa critica verso l’esterno visto come il mondo che rimane fuori dalle mura di casa. Dai caregiver fino alle badanti, in una successione di stati e di messe alla prova. Per l’appunto la scelta di Georges è quella che sempre di più ci si ritrova a sondare tra le pareti di casa.
Il bisogno, spesso economico, a volte di stampo squisitamente sociale, che mette Georges di fronte alla dura e rigorosa scelta di occuparsi della moglie è uno dei messaggi sociali più toccanti del film.
La dura catarsi del marito di fronte alla degenza della moglie è un’avventura che il protagonista decide di percorrere consapevole di tutti i suoi più intimi aspetti.
E’forse vedendo questo film che lo spettatore si ritrova di fronte ad uno specchio a cercare di capire se anche lui raggiunta la terza età, diventa in grado di saper intraprendere quel lungo viaggio chiamato Amour.


mercoledì 20 giugno 2012

On Evil Ground


Titolo: On Evil Grounds
Regia: Peter Koller
Anno: 2007
Paese: Austria
Giudizio: 3/5

Romeo e Julia sono già di per sè una coppia assai peculiare. Cercando di comprare un loft dentro una remota fabbrica abbandonata, scopriranno presto che il proprietario della costruzione e il suo compagno, l'agente immobiliare, sono due psicopatici. Ma Romeo e Julia non sono per niente delle vittime, e meno che mai docili.

Lotta tra psicopatici? dimostrazione di come  non esista nessun presunto innocente? Esasperazione della crudeltà bizzarra? Analisi di uno dei paesi con la filmografia più strana in tutta Europa?
ON EVIL GROOUNDS è un film originale nella sua apparente banalità. Koller è uno furbo e dal digiuno iniziale in cui mostra più che un romeo e Giulietta un Bonny & Clyde in cui la violenza viene accettata perché vero motore trainante di un rapporto psicopatico, ci addentra in una location che sembra fatta apposta per dare vita ad una mattanza in classico stile splatter con dovute e dichiarate vene slapstick e atipiche. Il risultato è una contaminazione, una vera  e propria girandola di amore verso svariati generi cinematografici.
Si fa fatica a trovare un’immedesimazione nei personaggi dal momento che sono tutti corrotti e violenti psicopatici, però nello stesso tempo si ride e alcune dinamiche vengono accettate perché messe al servizio di un genere in  continua evoluzione.
Koller alla sua opera prima fa centro probabilmente memore del peso di avere una freschezza e una genuinità che gli permettono di prendersi il suo tempo e fare ciò che gli sembra  più adatto ai fan del genere. Lo spettatore allora non può che apprezzare il lavoro dell’austriaco e sperare che gli venga data unì’altra occasione.

domenica 17 aprile 2011

Nastro Bianco

Titolo: Nastro Bianco
Regia: Michael Haneke
Anno: 2009
Paese: Austria, Germania, Francia
Giudizio: 5/5

Un villaggio protestante della Germania del Nord. 1913/1914. Alla vigilia della prima guerra mondiale. La storia dei bambini e degli adolescenti di un coro diretto dal maestro del villaggio, le loro famiglie: il barone, l’intendente, il pastore, il medico, la levatrice, i contadini. Si verificano strani avvenimenti che prendono un poco alla volta l’aspetto di un rituale punitivo. Cosa si nasconde dietro tutto ciò?

Haneke è senza dubbio uno dei migliori registi in circolazione oltre ad essere uno dei miei preferiti.
Fa parte di quella stretta cerchia di autori nel vero senso della parola che confeziona delle "opere" che segnano lo spettatore disarmandolo il più delle volte.
La sua filmografia è costellata di capolavori, la maggior parte dei quali hanno sempre sondato l'animo umano di cui il regista austriaco studioso di psicologia e filosofia sembra essersi sempre interessato di scrutare quella sua parte più oscura e inquietante
BENNY'S VIDEO era una sorta di studio sul fenomeno "snuff" con uno sguardo attento e preciso sul fenomeno mass-mediatico televisivo e gli effetti su un giovane e timido ragazzo.
FUNNY GAMES che io considero uno dei film più belli degli ultimi vent'anni è qualcosa di perfido e cinico, un'analisi sulla violenza senza eguali che a messo a dura prova la fruizione dello spettaore con più di uno sguardo sul capolavoro di Kubrick.
STORIE è un insieme di codici e intrecci, forse uno dei film meno apprezzati dalla critica ma con una sua forma e dinamica precisa e attenta.
LA PIANISTA è una disperata analisi di una donna e della sua difficoltà ad avere dei legami e l'autosofferenza inflitta come unico strumento di redenzione.
IL TEMPO DEI LUPI deraglia da tutta la sua precedente filmografia per concentrarsi su uno scenario apocalittico e analizzare anche in questo caso l'animo umano e le sue fragilità.
NIENTE DA NASCONDERE è il segreto(spaventoso)dietro il quale si cela un thriller sopraffino.
Poi il regista inchiappetta per bene il le major americane rifilando la copia esatta della sua seconda opera come era da intenti e cambiando solamente il cast puntellato da star americane.

Infine arriva la sua ultima opera che ha vinto il festival di Cannes nel 2009,meritatissimo,con la beniamina Huppert che si alzò entusiasta ad applaudire uno dei suoi maestri.
Das weiße Band è di nuovo un pugno nello stomaco che arriva dritto dritto in un b/n elegante e perfetto nella sua risolutezza per opera del sempre e unico Christian Berger così come per lo svolgimento dell'azione e una sceneggiatura senza margini di imperfezione.
Distaccandosi completamente dalle sue precedenti opere, il film, concepito inizialmente come una mini-serie tv(fortuna che ciò non è successo)si colloca tra le opere a livello stilistico e tecnico più bello nella filmografia del regista, recitato straordinariamente da un cast avallato da molti piccoli nastri bianchi che con le loro facce angeliche rendono l'atmosfera ancora più inquietante.
Mi ha molto colpito una frase rilasciata dal maestro in una sua intervista in cui dice
"qualsiasi principio, quando viene assolutizzato, diventa disumano.
Che sia un ideale religioso, politico o sociale, quando diventa pensiero unico produce il terrorismo. Una certa educazione e cultura in senso assolutista porta a degenerazioni altrettanto assolutiste, al terrorismo, al fanatismo religioso, al Nazismo, anche se questo mio film non è un lavoro sulla Germania o sul nazismo".
L'opera come per i suoi film precedenti, ha il merito di puntare senza bisogno di ricorrere a forzature o scene di plateale violenza ad un iter psicologico di avvenimenti che stravolgono la vicenda.
Lo stile e il montaggio risultano abbastanza densi e ricchi di immagini suggestive che sembrano quasi dei quadri e con un occhio di riguardo all 'indimenticabile cinema di Bergman.
Tutto questo è il risultato ancora una volta potente e indimenticabile del grande cinema di uno dei più grandi registi di sempre.

domenica 20 marzo 2011

Sms-3 giorni e 6 morto

Titolo: Sms-3 giorni e 6 morto
Regia: Andreas Prochaska
Anno: 2006
Paese: Austria
Giudizio: 2/5

Cinque amici ricevono contemporaneamente un misterioso sms. In una tranquilla cittadina, anche la polizia pensa che sia uno scherzo. Ma uno dei cinque scompare e viene trovato un cadavere in fondo a un lago. Ora tutti hanno paura. E inizia il conto alla rovescia.

Gli horror o thriller con protagonisti i cellulari hanno avuto il loro apice nei capisaldi come SCREAM e poche cose orientali. Proprio però da questi orientali a mio avviso era uscito ilmigliore che rispndeva al nome di THE CALL e vedeva l'imprevedibile Takashi Miike alla regia.
Ora il testimone passa in mano all'austriaco Prochaska che alla sua opera prima non fa tanto peggio riuscendo a regalare qualche scena interessante contando che il film non si avvale di una sceneggiatura così interessante. I colpi di scena così come il finale sono prevedibili e il target rimane quello post-adolecsenziale ma in definitiva può quasi funzionare.
Certo sarebbe stato interessante vederlo girato da Schnaas o Buttgereit ma così il target sarebbe stato proibito a tutti.

Canicola

Titolo: Canicola
Regia: Ulrich Seidl
Anno: 2001
Paese: Austria
Giudizio: 4/5

Periferia residenziale di Vienna, estate, afa e nervi tesi. Sei storie si intrecciano casualmente, sei spaccati raccapriccianti della modernita' e della nuova borghesia.
Anna passa il tempo nei parcheggi dei supermercati, fa l'autostop e all'occasionale guidatore/guidatrice comincia a fare l'elenco delle dieci malattie più frequenti, e altre simili classifiche. Finisce sempre con l'irritata reazione dell'automobilista. Il sig. Hurby é in giro per cercare di vendere sistemi d'allarme. Passa il tempo in macchina, suona alle porte, si vede incaricato di indagare su alcuni atti di vandalismo alle macchine del quartiere. Anche lui fa salire Anna, e la consegna come colpevole dei vandalismi. Claudia, giovane ed elegante, si incontra con il fidanzato Mario, appassionato di macchine. Dopo un po' lui è preso da attacchi di gelosia, allora urla, insulta e picchia la ragazza. Il Greco e sua moglie sono separati ma continuano a vivere nello stesso appartamento. Si ignorano, aspettando che l'altro vada via. Ma quando la moglie porta in casa un amante, la rabbia del marito esplode. Walter, ingegnere in pensione, ama il suo cane ed é molto scrupoloso nelle cose quotidiane: controlla la spesa, la pulizia di casa, i rumori del vicinato. Essendo la ricorrenza delle nozze d'oro, in ricordo della moglie defunta, fa restare la anziana domestica, che alla fine della giornata si esibisce per lui in uno spogliarello. Poi esce e scopre che il suo cane è stato avvelenato. Una maestra si depila davanti allo specchio, si trucca, si fa bella. Quando arriva Wickerl, il suo amante più giovane di venti anni, con lui c'è un amico. La serata va avanti tra canzoni e giochi sempre più rischiosi. La birra scorre, ma alcool e sesso finiscono per prevalere. Il giovane prende il sopravvento, legando Wickerl e costringendo la donna ad umilianti prestazioni erotiche e verbali.

La canicola è il periodo più caldo dell'anno, che cade, nelle nostre zone, tra la fine di luglio e la fine di agosto; il calore intenso e soffocante della piena estate soffoca gli animi della gente e ne stravolge i comportamenti portandoli alla deriva.
Vincitore del “Gran premio della giuria” alla 58 mostra di Venezia, Canicola è uno di quei film estremi che riescono a sondare in maniera minimale ed estrema le nevrosi e gli eccessi di un gruppo di persone. Sicuramente un “cult” per chi preferisce essere preso alla sprovvista e abbuffato di scene colorate e mai così realistiche e piene di vita. L’esordiente Seidl dopo vari documentari inediti in Italia gira un film calibrato dall’inizio alla fine che sottoporrà lo spettatore a strazianti scenari angoscianti e visivamente impeccabili in cui esce tutto quel senso disperato e grottesco in una Vienna mai così calda.
Corpi decadenti di persone sgradevoli da vedere, dialoghi ridotti all’osso, uno degli scenari sessuali più interessante degli ultimi anni ovvero una consumazione di corpi che sembra un’industria decadente di orge mai così vere, in cui l’incomunicabilità già approfondita dal maestro Haneke si deteriora riuscendo a rappresentare nelle diverse storie l’animo umano in tutta la sua interezza.
Lo stile di Seidl autore della sceneggiatura insieme a Veronica Franz è particolarmente interessante proprio perché la sua è una visione della rappresentazione della realtà nei suoi spaccati quotidiani provocatoria in stile anti-convenzionale. La fotografia di Wolfgang Thaler è calda e priva di colori, arida come le case tutte bianche e tutte assolutamente uguali.


lunedì 14 marzo 2011

71 frammenti di una cronologia del caso

Titolo: 71 frammenti di una cronologia del caso
Regia: Michael Haneke
Anno: 1994
Paese: Austria/Germania
Giudizio: 4/5

Un giovane, due giorni prima di Natale (1993) uccide per un banale litigio tre persone in una banca, poi si uccide a sua volta. La vicenda si sviluppa in realtà negli ultimissimi frammenti, ma è preparata attraverso le storie individuali di più personaggi o gruppi: un anziano malato; una coppia di aspiranti genitori adottivi; un ragazzino giunto chissà come da Bucarest; addetti alla sicurezza della banca; impiegati; scene di famiglia e scene di lavoro; scene di spostamenti; superstrade e svincoli...

Il cinema d'autore coincide perfettamente con la filmografia del cineasta austriaco, sicuramente uno dei nomi più influenti oltre ad essere un’artista attento e ottimo osservatore dei comportamenti umani.
La televisione e i mass-media annebbiano la nostra mente con piccoli frammenti che si aggiungono di giorno in giorno alla nostra quotidianità tanto da riuscire a inibire in alcuni casi la realtà con la fantasia.
Con 71 frammenti uno dei film più rigidi e complessi del regista, Haneke inizia testimoniando un episodio di cronaca senza commentarlo ulteriormente oltre quello che viene riportato dai tg. Tutta la storia e i personaggi che ci vengono narrati sembrano darci dei quadri sulla tragedia finale
Inizia quindi filmando frammenti di quello che poi sfocia in un dramma, passando da episodi come una coppia che cerca di ottenere un'affido, ad un giocatore di ping-pong frustrato e una bambina orfana che scappa da un posto all'altro.
Tutto questo è catturato con astuzia e con uno studio dell'inquadratura che preferisce mostrare col contagocce sforzando la capacità recettiva dello spettatore.
Interessante e provocatorio nonché un film di denuncia sul mondo mass-mediatico.
Tra le varie situazioni troviamo uno smarrito Michael Jackson in tv che cerca di discolparsi dalle denunce di pedofilia e molestie.