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mercoledì 27 marzo 2024

Little from the fish shop


Titolo: Little from the fish shop
Regia: Jan Balej
Anno: 2015
Paese: Cecoslovacchia
Giudizio: 5/5

Costretti ad abbandonare le acque devastate in cui vivono, il re dei pesci e la sua famiglia si avventurano a vivere tra gli umani. Un gorno la figlia del re, Petite, incontra J.J., un perfetto sconosciuto. Ed è qui che le cose si complicano.

Siamo di fronte ad un capolavoro. Balej riprende un classico e lo riadatta in chiave contemporanea.
Un film per adulti, una rielaborazione animata in stop motion e cg dove a parte rimanere affascinati dalla sorprendente cura maniacale nei personaggi e nelle location, ci si lascia contagiare da un'atmosfera che nei suoi silenzi riesce a toccare picchi di poesia impressionanti.
E' una fiaba drammatica dove non c'è un vero e proprio happy ending finale ma anzi, dove Petite non è la Ariel che conosciamo, dove scopriamo una storia di amore non corrisposto, di prostituzione, dove per compiacere il proprio compagno si scende nei bassifondi per fare patti pericolosi con delle streghe. Dove non manca l'ironia, la musica con un'orchestra incredibile, le questioni familiari e i valori di questa vecchia famiglia che ama la tradizione con una società contemporanea ormai ancorata al piacere effimero. Il sacrificio finale di Petite, l'impossibilità a cambiare la propria natura, fa entrare subito questa perla del mare tra i film d'animazione più belli di sempre.


domenica 19 novembre 2023

Nightsiren


Titolo: Nightsiren
Regia: Tereza Nvotová
Anno: 2022
Paese: Slovacchia
Giudizio: 4/5
Una giovane donna torna nel suo paese natale in montagna in cerca di risposte sulla sua infanzia tormentata. Ma, mentre prova a scoprire la verità, antiche leggende cominciano a invadere la realtà, portando i suoi compaesani ad accusarla di stregoneria e omicidio.
 
Nightsiren è un dramma horror slovacco poco folkloristico in termini di miti ma molto attuale in termini di violenza sulle donne e misoginia. Un dramma che accomuna due donne, una che ritorna dal passato ed un altra condannata a vivere in quel presente che sembra detestare come se fosse una favola del medioevo. C'è la credenza rituale nelle streghe che cerca di contaminare con sferzate dai toni sovrannaturali il film ma in realtà è una critica attuale sugli atti di violenza ultra realistici ai danni delle donne usando come scusa antichi riti patriarcali.
Una società che condanna e banalizza la diversità, che cerca di intrappolare la propria popolazione in una maledizione tesa a rimanere intransigente e che non sembra mai voler voltare pagina per cercare di evolversi. Due universi mentali quelli di Sarlota e Mira che dovranno difendersi da un intero villaggio dove si parla di stregoneria, infanzia tormentata, eredità come esca per attirare Sarlota nel villaggio, abusi e violenza sui minori nonchè violenza domestica e patriarcato.
Il tutto con un realismo magico e alcune scene esteticamente toccanti come quando la protagonista di fronte alla cascata si toglie quello che non vorrebbe mai mostrare perchè finalmente e solo nel suo elemento magico può rimanere finalmente nuda senza sentirsi addosso gli sguardi di una comunità.

venerdì 12 ottobre 2018

Violent


Titolo: Violent
Regia: Andrew Huculiak
Anno: 2014
Paese: Cecoslovacchia
Giudizio: 3/5

Sullo sfondo del paesaggio norvegese, la giovane Dagny ricorda nel corso di un evento catastrofico le cinque persone che l’hanno amata di più. Dalla sua memoria, riemergono gli scorci della lunga amicizia con la giovane sorella, delle interazioni con un amico di famiglia apparentemente benevolo e della saggezza spiazzante dell’adorato nonno.

Violent dal titolo di notevole impatto, fin da subito ha quei tratti di quel cinema nostalgico che si prende i suoi tempi per raccontare episodi semplici di una vita senza troppe pretese.
Ed è proprio la monotonia di giornate che paiono infinite a lavorare all'interno di un negozietto con un amico dei famigliari piuttosto solo e con una voglia matta di avere dei legami sociali e sentimentali.
Dagny è la tipica millenial sveglia che sa quello che vuole e di quelle che conoscono com'è fatto il mondo e cosa possono aspettarsi. Il piccolo viaggio nell'orrore della protagonista assume un contorno davvero molto realistico, a tratti allucinato ma deformato proprio dalla disperazione e dall'angoscia dei suoi personaggi dove Dagny, comunque sola in un paese che non conosce, si ritroverà a dover scappare dalle grinfie da un amico di famiglia che accogliendola a lòavorare nel suo negozio diventa presto uno stalker che non le da tregua.



giovedì 13 settembre 2018

Blind Loves


Titolo: Blind Loves
Regia: Juraj Lehotsky
Anno: 2008
Paese: Slovacchia
Giudizio: 3/5

Slovacchia, 2005. Il film segue tre anni nella vita di quattro persone cieche: Peter, insegnante di musica e compositore che condivide la sua vita con Iveta; Miro, un playboy della Roma che vive a casa con sua madre e frequenta Monika nonostante la disapprovazione dei suoi genitori; Elena, che sta aspettando con ansia il suo primo figlio e infine Zuzana, che ha appena iniziato una scuola integrata ma si trova in cerca di amore e amicizia online.

L’amore può essere dolce, stupido, e, a volte, può anche essere cieco… Trovare il proprio posto in questo mondo non è cosa facile per nessuno, ma quanto è più difficile quando si è non-vedenti? La “visione” delle persone cieche è pura ed essenziale, e spesso anche spiritosa. Fa scoprire una nuova dimensione sul senso della felicità.
Originale, così andrebbe definito il documentario del regista slovacco.
Un'opera con vari aspetti e scene surreali (basti pensare alla citazione dell'ATALANTE di Jean Vigò) in quella scena onirica e bellissima in cui Peter scende nei fondali marini e trova una piovra gigante.
Un film che spesso lascia disorientati proprio per la materia che tratta ovvero di come i cechi percepiscono il mondo. L'idea di aver fatto un film corale con diversi siparietti e descrivendo microcosmi molto diversi ma accomunati dalla cecità è un'idea valida e molto profonda che trova vari aspetti su cui fermarsi a riflettere.
Ad esempio una scena che identifica l'ansia e la paura ma allo stesso tempo diventa un aspetto della quotidianità della vita di questi protagonisti è quella della discoteca dove lei viene invitata a ballare da uno sconosciuto e il compagno per un attimo teme che possa succederle qualcosa, chiedendosi in maniera del tutto pertinente perchè mai uno che vede dovrebbe chiedere di ballare ad una non vedente. Un'opera che fa luce su degli aspetti per noi completamente nuovi dove la percezione del mondo vista dalla loro parte spesso è più essenziale e intuitiva di quanto si pensi soprattutto se può dar luce e forma ad una nuova dimensione di realtà.
Dei quattro capitoli o delle quattro storie è solo l'ultima a esprimere e descrivere la solitudine e la tristezza mentre nelle altre il bisogno o l'urgenza è forse proprio quella di concepire l'ironia alla base dei rapporti di coppia o quelli madre/figlio che esprimono tenerezza ed empatia e forse una delle uniche armi che noi tutti abbiamo per vivere sereni la nostra esistenza.



giovedì 30 agosto 2018

Club of the laid off


Titolo: Club of the laid off
Regia: Jiri Barta
Anno: 1989
Paese: Cecoslovacchia
Giudizio: 4/5

Vecchi manichini abbandonati passano le loro povere vite spezzate in un vecchio magazzino abbandonato. Nuovi manichini vengono portati al magazzino. Anche loro sono vecchi, ma di una generazione più giovane. I due gruppi devono vivere insieme, il che non è affatto facile per loro.

Uno dei discepoli di Svankmajer, caposaldo della stop motion, si stacca leggermente dagli intenti del maestro, rimanendo sempre in chiave politica ma studiando una bella metafora sui conflitti di coppia, lo scontro generazionale e la difficoltà a vivere assieme ad altre persone nello stesso ambiente che poi non è di nessuno.
Manichini sporchi, logori, a tratti sorridenti, inquadrati e narrati nella loro routine e quotidinità fatta di cose semplici come capita alle scimmie più evolute.
Grazie ad un inquietante quanto suggestivo uso del sonoro con questi suoni portati a volte all'esagerazione, scricchiolii e quan'altro, per aumentare il senso di fastidio e creare ancora più malessere tra i personaggi che si incontrano, si scontrano e porteranno ad un inevitabile declino dei rapporti sociali.
Tra le tematiche politiche non è un caso che il regista sia cecoslovacco scegliendo e prediligendo uno stile di vita del passato ancorato su regole e valori come quello di sottrarsi al consumismo imperante che vede invece le nuove generazioni completamente invischiate.
Il risultato non può che essere un conformismo anestetizzante.



martedì 19 luglio 2011

Alice-Něco z Alenky


Titolo: Alice-Něco z Alenky
Regia: Jan Svankmajer
Anno: 1988
Paese: Cecoslovacchia
Giudizio: 4/5

"Alice" è un'interpretazione macabra e inquietante della fiaba di Lewis Carrol con un'unica (e qui la vera invenzione) attrice in carne ed ossa: la bravissima Krystina dal cognome impronunciabile che incarna la personalità di Alice con incredibile ingenuità e tenerezza, ma anche con cinismo e grotteschi voltafaccia.

Tradotto in varie forme come ad esempio  QUACOSA SU ALICE, il film del cineasta artista a tutto tondo (scultore, poeta, pittore, nonché padrino e precursore della stop motion nonché uno dei migliori registi al mondo d’animazione capostipite della scuola di Praga) dopo aver diretto il convincente JABBERWOCHKY nel ’77, continua con il suo interesse per Carrol unito alla sua vena macabra e grottesca della vita e soprattutto della società.
Nel suo cinema ci sono tanti nomi e tanti omaggi alla visionarietà del suo mondo come ad esempio Magritte, Kafka e Edgar Allan Po, Lunch e su tutti Bosch.

Questa Alice che noi vediamo nel film rappresenta una svolta nelle rappresentazioni dell’amatissimo libro di Carrol.
Alenska è curiosa, ambigua come l’universo che la circonda composto da qualsiasi tipo di oggetto che nell’immaginazione prende forma secondo la propria fantasia. Ma è realmente un sogno?
Svankmajer a volte provoca o cerca di lasciare un finale aperto per dare così la possibilità allo spettatore di trovare una propria rappresentazione. Il soggetto si rifà poi ad entrambi i libri dando così la possibilità al regista di attingere da più materiale inserendone poi delle parti assolutamente personali.
Il piccolo universo c’è tutto dal bianconiglio, mai così tetro e grottesco, un pupazzo che passa quasi tutto il tempo a ripetere gli stessi gesti e cercando di cucire il ventre squarciato da cui esce segatura che matematicamente si rimette in bocca. Lo stesso diventa poi qui a differenza del libro il carnefice per opera della regina che gli indica i cortigiani da uccidere.
Il cappellaio matto e la lepre marzolina così come il topo hanno una parte relativamente breve rispetto ad altre interpretazioni. Il primo qui è uno schiaccianoci di legno che passa il tempo a scambiare di posto in tavola con la lepre che senza farlo apposta segue sempre la via più lunga. Il brucaliffo dopo il bianconiglio è il più spettacolare soprattutto per la forma costituita da un calzino con gli occhiali e la dentiera.
Sono proprio i denti, le forbici, i coltelli, le carte, gli oggetti aventi lame o in grado di tagliare ad essere un elemento ricorrente nella pellicola come a voler ribadire come tutti quanti siamo spesso,  con sempre più facilità, pronti a tagliare le teste dei nostri avversari, a tagliare le comunicazioni e i rapporti tra gli individui.
In effetti tutto il film è pervaso da personaggi che non fanno altro che comportarsi in maniera inquietante soprattutto nei confronti della protagonista che come nella scena del topo che cerca di cucinargli sulla testa reagisce immediatamente come a non volersi assolutamente collocare come un essere inferiore a quel buffo teatro di personaggi sempre in corsa contro il tempo.
Il punto sta proprio qui nel dare un quadro diverso più improntato sulla fuga onirica di una bambina sola, mica tanto indifesa,curiosa e forse un po’ depressa dal momento che la scena emblematica dello schiaffo della sorella all’inizio ritorna con i remi da parte del bianconiglio come a ribadire che ci sono cose che ancora non può fare e una gerarchia di ruoli da rispettare.
L’ambiente poi gioca un altro ruolo importante isolandola continuamente, impadronendosi di lei e facendola addirittura diventare una statua da cui poi lei esce rompendo il guscio che la trattiene(scena personalissima inserita ad hoc dal regista).

Dal punto di vista tecnico il film è impeccabile. L’utilizzo della stop-motion è formidabile così come la capacità di dare una forma a qualsiasi cosa trasformando e ribaltando tutto come d’altronde un degno surrealista dovrebbe saper fare. Nel caso del regista ceco il risultato non può avere rivali.
Ritratto più oscuro con stanze asettiche e in alcuni casi una totale mancanza di musica per dare enfasi ai rumori.
Il maestro surrealista così conferma un talento visionario unico ripreso poi da tanti, citato e tenuto molto in considerazione da alcuni grandi cineasti come il signor Terry Gilliam.
Sicuramente il suo film migliore rispetto ad altri lavori ancora più sperimentali carichi e pervasi da un altro tipo di cinismo.