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sabato 14 marzo 2020

Daniel isn’t real


Titolo: Daniel isn’t real
Regia: Adam Egypt Mortimer
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Luke, studente universitario dal passato difficile e disturbato, subisce un violento trauma familiare che lo spinge a riportare ‘in vita’ Daniel, il pericoloso amico immaginario che aveva da bambino e che da tempo ormai aveva obliato. Carismatico e pieno d’energia, Daniel torna così subdolamente nella sua quotidianità, deciso più che mai ad aiutare Luke nel realizzare i suoi sogni, guidandolo però inesorabilmente ai limiti della sua sanità mentale, in una disperata lotta per mantenere il controllo della sua mente e della sua anima.

Daniel isn’t real ha un primo atto incredibile dove dosando gli ingredienti Mortimer riesce ad intrappolare diversi temi e scene da manuale come quella in cui rinchiude Daniel nella casa di bambole con quelle luci e quell’atmosfera molto suggestiva e originale. Il tema del doppio è stato affrontato in varie maniere nel cinema con risultati altalenanti ma diverse pillole indimenticabili e alcuni cult indiscutibili.
Questo film non è nessuno dei due. E’un pregevolissimo horror che fa perdonare al regista Some kind of hate il suo esordio che mi aveva davvero convinto poco. Qui gli effetti fanno molto, la vivida realizzazione visiva e sonora, le gelatine che sparano colori a profusione quali il rosso e il viola ad annunciare l’arrivo di qualcosa di brutto, l’uso della c.g in maniera quasi mai debordante, mostri e creature che sembrano risvegliare l’abisso del male. Il film alterna thriller psicologico con body horror, dove il sangue e le scene di violenza non mancano, la patologia come si è appresa (la madre forse..)rimane la grande incognita soprattutto contando come è stato giocato male il ruolo dello psicologo che dovrebbe aiutare il protagonista e noi del pubblico ad avere qualche elemento in più. Trauma, malattia mentale, realtà di un opposto che non potrà morire mai ma come un alieno cambia di corpo in corpo scegliendo identità fragili da eludere e controllare. E poi c’è l’entrata a straforo proprio nel corpo di Luke, il quale coincide con il secondo atto (verso la fine) e pone altri dubbi e perplessità spostando le interpretazioni verso viaggi della follia poco comuni anche se a volte pasticciati.
Il ritmo vola senza fare guizzi particolari, solo verso il finale, prima del climax comunque interessante, il film svela le sue carte diventando a tutti gli effetti un horror viscerale dove secchiate di sangue e colori tingono la scena infilando mostri e trasformazioni corporee a profusione. Buona la prova di Patrick Schwarzenegger, meno quella di Miles Robbins.
Speriamo comunque che la SpectreVision di Frodo continui a regalarci buoni prodotti