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sabato 10 novembre 2012

Amour


Titolo: Amour
Regia: Michael Haneke
Anno: 2012
Paese: Austria/Germania/Francia
Giudizio: 4/5

Georges e Anne, una coppia sposata, hanno circa ottant’anni. Sono entrambi due raffinati insegnanti di musica in pensione. La loro figlia, anche lei musicista, vive all’estero assieme alla sua famiglia. Un giorno, Anne ha una specie di infarto che la lascia ammutolita e paralizzata, senza che, dopo essersi ripresa, possa ricordarsi di cosa le è accaduto. Il legame d’amore della coppia da questo momento viene messo alla prova, dal momento che Georges decide di prendersi cura personalmente della moglie…

Il cinema di Haneke non ha bisogno di presentazioni. Anche i festival più importanti al mondo lo sanno. Adorato e idolatrato dai critici, il maestro austriaco ha saputo con la sua filmografia dare una cornice ancora più perfetta  e drammatica alla settima arte.
Amor tocca le corde del cuore. Mette alla prova. Fa piangere e fa pensare. Si osserva un rapporto che fa della sua semplicità qualcosa di straordinario. Il dono della narrazione è sempre più cosa rara oggigiorno, ma sembrano esserci dei talenti nati che riescono in modo spontaneo a fare molto più di quello che si possa pensare. Vedere due anziani colti che si danno manforte nella vita quotidiana è innanzitutto un incoraggiamento alla voglia di amarsi, di nutrire e sapersi dare speranza nella gioia e nel dolore.
Proprio quest’ultimo disorienta e incentiva, oltre che mettere ancora di più alla prova, l’amore di Georges.
La scena del breve lapsus di memoria che coglie Anne nel suo primo passaggio verso il decadimento è spiazzante.
Finora dopo alcune drammatiche quanto necessarie storie di vita, di viaggi, di solitudini e di violenza, Haneke parla di quel sentimento universale che sempre di più viene messo alla prova.
Non a caso decide di scegliere una coppia anziana interpretata da due attori in stato di grazia. Quello che poi fa Trintignant va oltre. Non sembra neanche di vedere un attore ma il valore aggiuntivo è ancora più profondo. La sua grazia e la sua spontaneità valgono da soli il prezzo del biglietto.
Anche la Riva ritrovata non scherza. Entrambi fanno passare in secondo piano il ruolo della Huppert.
Si piange ma si sorride come ad esempio nella scena in cui lei gioca con la sedia a rotelle elettrica oppure quella in cui lui semplicemente la guarda dicendole che è bellissima.
Sembra esserci tra le righe anche una certa critica verso l’esterno visto come il mondo che rimane fuori dalle mura di casa. Dai caregiver fino alle badanti, in una successione di stati e di messe alla prova. Per l’appunto la scelta di Georges è quella che sempre di più ci si ritrova a sondare tra le pareti di casa.
Il bisogno, spesso economico, a volte di stampo squisitamente sociale, che mette Georges di fronte alla dura e rigorosa scelta di occuparsi della moglie è uno dei messaggi sociali più toccanti del film.
La dura catarsi del marito di fronte alla degenza della moglie è un’avventura che il protagonista decide di percorrere consapevole di tutti i suoi più intimi aspetti.
E’forse vedendo questo film che lo spettatore si ritrova di fronte ad uno specchio a cercare di capire se anche lui raggiunta la terza età, diventa in grado di saper intraprendere quel lungo viaggio chiamato Amour.