Visualizzazione post con etichetta Torino Film Festival. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Torino Film Festival. Mostra tutti i post

mercoledì 11 dicembre 2024

Mio amico Robot


Titolo: Mio amico Robot
Regia: Pablo Berger
Anno: 2023
Paese: Spagna
Giudizio: 4/5

New York, anni 80, settembre. Dog, cane antropomorfo, vive un'esistenza solitaria, fatta di televisione e cibi preconfezionati. Durante una serata malinconica, consulta dei modelli di robot da acquistare e ne ordina uno per corrispondenza. Quando Robot gli viene recapitato a domicilio, nasce un'intensa amicizia tra questi e Dog: i due girano Manhattan in lungo e in largo, condividendo esperienze inebrianti. Dopo una giornata trascorsa in spiaggia Robot si blocca e non riesce più a rialzarsi: Dog cerca una soluzione, ma al suo ritorno trova lo stabilimento chiuso fino alla stagione successiva. Costretti a rimanere separati l'uno dall'altro per molti mesi, Dog e Robot finiranno per trovare soluzioni alternative alla rispettiva solitudine.

Il film di Berger ha saputo trasportarmi in un'atmosfera di speranza e tristezza. Tra emozioni e sentimenti in quello che appare come un film muto ma molto musicale, lo stile di scrittura e i tempi sono pressochè perfetti dando autorialità, peso e forma ad un film ambizioso seppur semplice con tanti elementi analizzati in maniera matura riuscendo però a trovare un accordo tra le parti diventando un film adatto a tutti i target.
Berger trasporta ed esalta questa "umanità" è prigioniera dei consueti vizi di avidità e menefreghismo, proprio come quella che conosciamo al di fuori dell'allegoria.
Nonostante ciò, Dog cerca e spera in un domani migliore e la coppia che forma con Robot, una bromanc tenera e platonica, sembra estrarre il lato migliore di New York, un immenso potenziale sociale e creativo nascosto sotto la coltre di stress e arrivismo.

mercoledì 3 luglio 2024

Los Colonos


Titolo: Los Colonos
Regia: Felipe Gálvez, Felipe Gálvez Haberle
Anno: 2023
Paese: Cile
Giudizio: 4/5

Cile, inizio del XX secolo. Un facoltoso latifondista assume tre uomini a cavallo per delimitare il perimetro della sua vasta proprietà e al contempo inaugurare una rotta verso l’Oceano Atlantico attraverso le sterminate distese della Patagonia. Composta da un giovane mezzosangue cileno, un mercenario americano e da un tenente britannico, che ne è anche il comandante, la spedizione si trasforma presto in una missione «civilizzatrice».

«Gli eventi narrati nel film non rientrano nella storia ufficiale del Cile, né sono inclusi in qualsivoglia programma scolastico. Non avevo mai sentito parlare del genocidio del popolo Selk’nam, chiamato dai bianchi del nostro paese Ona, fino a quando quindici anni fa ho letto l’articolo che menzionava questa verità nascosta. A scuola apprendiamo la storia del Cile fino al 1973, non si fa menzione della dittatura militare che ne seguì. Ancora oggi non esiste una versione ufficiale della storia del regime autoritario. Raccontare quella storia è dunque un obiettivo degno di essere perseguito? E, cosa ancora più importante, come si può raccontarlo? Queste domande mi hanno condotto a riflettere sugli eventi precedenti, all’inizio del XX secolo, che furono parimenti trascurati. Che cosa accade a un Paese quando un’intera pagina della sua storia viene cancellata?».
Ed effettivamente quando mai si sente parlare del Cile, della sua storia, degli aborigeni, delle conquiste e dei genocidi. Los Colonos è un film storico pazzesco e molto accurato che ci porta alla scoperta di luoghi incredibili, di colori, forme, avamposti, personaggi al limite del disumano come il colonnello Martin e la sodomia, l'autoritarismo di Menendez che nascosto nel suo castello osserva i fantasmi del passato, di un giornalista che non è chiaro quale causa abbia in mente come Vicuna e di uno stranissimo trio alla conquista di una nuova rotta dove Segundo comprenderà la crudeltà dell'uomo bianco. Con un finale semplicemente fantastico e marcatamente di intento politico nella sua plateale denuncia, quell'abnegazione di Kiepja rappresenta la rabbia e la ribellione di tutto il suo popolo Selk'nam.

Birth/Rebirth


Titolo: Birth/Rebirth
Regia: Laura Moss
Anno: 2023
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Rose è una patologa forense che predilige il silenzio dei cadaveri ai tumulti delle interazioni sociali. Una sua ossessione segreta è la rianimazione dei morti. Celie è un'ostetrica la cui vita ruota attorno alla sua briosa e loquace figlia di sei anni, Lila. La tragica notte in cui Lila si ammala e muore improvvisamente, le vite di queste due donne s'intrecciano in modo irrevocabile. Si avventureranno lungo un buio sentiero da cui non c'è ritorno; e saranno costrette a confrontarsi con i limiti che sono disposte a superare per proteggere ciò che più amano.
 
Ci sono alcuni temi che sono esemplari nella loro fase di gestazione dell'horror. Passano gli anni ma loro ritornano insistentemente provando percorsi nuovi, strade ancora sconosciute o riproponendo schemi già visti con intenti nuovi e nuove modalità da affrontare soprattutto se rapportate alle ultime scoperte scientifiche. Il film della Moss è veramente molto interessante perchè di fatto indaga l'horror ma per ragioni etiche, per le scelte che compiono Rose e Celie, per le loro inquietudini e gli equilibri e gli squilibri con cui si rapportano. Il momento in cui Celie entra in casa di Rose segna di fatto il film facendolo diventare un'altra cosa, sviluppando molto bene da quell'importante colpo di scena tutta la storia che si verrà a dipanare con un climax finale davvero scioccante, proprio perchè per alcuni aspetti è verosimile e parlo del sacrificio della donna che Celie sceglie e tutto il film indaga le domande fondamentali sulla vita e sulle conseguenze delle nostre azioni che portano le due protagoniste a muoversi di fatto, sacrificando le proprie per il bene dei propri cari o per l'amore della scienza.


giovedì 16 maggio 2024

Fifth Thoracic Vertebra


Titolo: Fifth Thoracic Vertebra
Regia: Park Sye-young
Anno: 2022
Paese: Corea del Sud
Giudizio: 4/5

Un materasso, su cui sta crescendo una misteriosa muffa, viene passato da un proprietario all’altro, testimone delle storie, di separazioni, di solitudine, di alienazione urbana. E la mostruosa creatura riesce a entrare, come un parassita, nelle vertebre delle sue vittime. Una coppia che trova casa e che si separerà, un’altra in crisi che si incontra in un love motel, una donna malata terminale che scrive la sua ultima lettera, un conducente che festeggia da solo il proprio compleanno: il filo conduttore è sempre lo stesso materasso.
 
Mediometraggio sperimentale e intimista. Un'opera che esce fuori dagli schemi per idee, messa in scena, montaggio e soprattutto l'uso del sonoro e del sound designer. Un'opera che parla di solitudine, di alienazione, risaltando alcune dinamiche di coppia, mostrando quanto ci si possa arrabattare per conquistarsi un materasso pieno di funghi. Ha dell'assurdo e diversi elementi weird l'opera di Park Sye-young che potrà probabilmente piacere ed essere compresa solo da amanti del cinema di genere. Ci sono delle similitudini con un certo tipo di Tsukamoto e tutta la fase di gestazione del fungo e la sua crescita. Quanto dura la vita di una muffa, essere che è classificabile come fungo? Corta, ci avvisa la didascalia all’inizio del film, alcuni tipi un giorno, altri una settimana, altri un mese ma comunque si tratta di durate estremamente variabili. La stessa creatura che sembra cibarsi o meglio inserire nel proprio corpo quelle vertebre che dovrebbero essere parte di una spina dorsale senza ombra di scoliosi. Eppure quando emerge sembra una ragazzina timida e impacciata una via di mezzo tra un piccolo angelo dell'innocenza e una creatura composta di sporcizia, un ammasso informe e rivoltante, di ife fungine, miceli, filamenti aggrovigliati.
Il fungo è fatto in stop-motion e il finale riesce ad essere poetico come se facesse, in parte, tutta parte di un sogno.

giovedì 9 maggio 2024

Manodopera


Titolo: Manodopera
Regia: Alain Ughetto
Anno: 2022
Paese: Italia
Giudizio: 5/5

Ughettera alla fine dell'800. Lì vive la famiglia Ughetto che attraverserà, con la propria condizione di contadini ed operai, la prima metà del '900. Vivranno le guerre a cui gli uomini saranno chiamati e saranno costretti dalla povertà ad andare a cercare il lavoro dove c'è, cioè all'estero, dove però si trova anche la discriminazione per i 'macaroni'.
 
Mio padre raccontava sempre che in Italia, in Piemonte, c’era un paese chiamato Ughettera, dove tutti gli abitanti si chiamavano Ughetto, come noi. Quando mio padre morì, decisi di andare a controllare. Era vero: UGHETTERA, la terra degli Ughetto!
La mia ricerca iniziò quel giorno di nove anni fa e, con essa, ebbe inizio anche la storia di questo film.
Dietro al mio nome ho trovato una storia: la cronaca di una famiglia originaria del Piemonte. Ho sviluppato questa storia ispirandomi alla realtà, cercando nei miei ricordi, poi in quelli delle mie cugine e cugini, dei miei fratelli e sorelle. Guerre e migrazioni, nascite e morti… e il racconto ha preso vita.
E' commovente il film d'animazione di Ughetto. Personale ma che sembra raccontare il passato di ognuno di noi, di una certa Italia, di una certa dimensione povera e contadina dove non esiste ricchezza se non quella interiore e del concetto di famiglia unita. Un film che racconta, cercando di metterci sorrisi, vite precarie di sacrifici e sforzi immani. Dove si muore per il freddo, nella guerra, si persono figli e fratelli, si diventa nomadi per costrizione, dove da Ughetteria in mezzo a costruzioni campate alla meno peggio si vive di sogni e di speranze pensando alla Francia, al mito dell'America e poi nuovamente alla Francia. Un albero genealogico che vede la Prima Guerra Mondiale, l'influenza spagnola e l'avvento del fascismo. Di case costruite e distrutte, bombardate e poi riconsolidate. Un film che parla di amore dove non bisogna mai perdere le speranze e continuare a combattere nonostante l'ambiente ostile e il disprezzo vissuto da parte degli italiani con i francesi come lo era stato per gli ebrei in Italia.


lunedì 15 gennaio 2024

Pantafa


Titolo: Pantafa
Regia: Emanuele Scaringi
Anno: 2022
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Marta, sempre più preoccupata per le strane allucinazioni che colpiscono la figlia Nina, decide di portarla a vivere in montagna. Le due prendono così in affitto una vecchia casa dall'aspetto un po' spettrale nella cittadina di Malanotte. Tuttavia, la situazione clinica di Nina continua a peggiorare: la bambina inizia a soffrire di gravi paralisi ipnagogiche che assumono caratteristiche orrorifiche: durante la paresi Nina vede uscire dalle pareti una figura fantasmatica che si acquatta sul suo petto e cerca di succhiarle via l'anima. Le preoccupazioni e le suggestioni di Nina vengono ingigantite dalla signora Orsa, una vicina di casa, che riconosce la Pantafica nella descrizione di Nina, un'anima dannata che tormenta le notti dei bambini. È tutto nella sua testa, come sostiene Marta, o il male ha davvero preso connotazioni reali?

Il cinema di genere folkloristico italiano di per sè è già una rarità. Pantafa è rimasto al cinema per pochissimi giorni senza darmi la possibilità di andare a vederlo. E devo dire che la Pantafica abruzzese mi mancava. Ne esistono tante di streghe, masche e altri fenomeni simili ma questa succhia anime dei bambini che trasla diventando quel qualcosa in più è stata un'altra bella scoperta. L'idea di spostare a Malanotte la vicenda mette a confronto un paesino secolarizzato e racchiuso nelle sue tradizioni e leggende. Dall'altro una donna moderna e una figlia che di fatto vengono fatte piombare in questa sorta di medioevo dove impareranno a proprie spese come crearsi le condizioni di sopravvivenza.
Scaringi fa una cosa molto bene che l'horror non deve mai dimenticare soprattutto quando si parla di produzioni indipendenti ovvero la presa di coscienza che ciò che fa realmente paura è il non visto mostrando pochissimo e centellinando la paura facendo un lavoro di tensione e pathos per poi creare un finale che seppur esagerato nel mostrare forse troppo riesce a mantenere un equilibrio e regalare un piccolo indie di genere nostrano.

domenica 19 novembre 2023

Rodeo


Titolo: Rodeo
Regia: Lola Quivoron
Anno: 2022
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Julia va di corsa e ci va con le moto che ruba a sprovveduti venditori. La sua passione divorante è il cross su asfalto, il suo sogno fare acrobazie sollevando il mondo e la ruota anteriore. Aliena alla sua famiglia, ne trova un'altra in un milieu clandestino, saturo di testosterone, adrenalina e benzina.
A colpi di 'funambulismo', Julia ha la meglio sul cameratismo dei compagni e guadagna la loro fiducia. Ma per qualcuno, il più vigliacco e subdolo tra loro, la libertà totale di Julia rappresenta una minaccia da 'battere'.
 
Julia è veramente una tipa cazzuta. Sempre a testa alta, senza mai nascondersi, anche quando rischia di prendersi sane mazzate. Ruba, svincola dagli impegni familiari costringendo il fratello ad aiutarla sapendo bene che a costo di prendersi qualche insulto lui ci sarà sempre e poi questo muoversi continuamente senza mai fermarsi come se lo scorrere delle lancette la ponesse di fronte ad un obbiettivo che deve per forza raggiungere nel più breve tempo possibile. Articolazione di un corto del 2015 (Au loin, Baltimore) il film scopre un microcosmo poco battuto dal cinema, acrobati straordinari e l'essere sempre sul filo del rasoio per quanto concerne raduni e gare clandestine dovendo scappare dalla polizia e rimettendoci arti e le stesse moto. Julia sa bene che entrare nel mondo maschile senza esserne preda o vittima sacrificale non è facile ma merito della sua ostinazione e di essere brava a farla franca dimostra i suoi numeri e correndo fino ad un finale che si eleva lasciando il pubblico in silenzio con un climax avvincente.

sabato 13 maggio 2023

Eo


Titolo: Eo
Regia: Jerzy Skolimowski
Anno: 2022
Paese: Polonia
Giudizio: 3/5

Eo ("ih-oh") è il nome di un asino che fa coppia con l'acrobata Kasandra in un circo polacco. Con la ragazza, Eo ha un rapporto speciale, una comunicazione intima, che passa attraverso le carezze, il tono della voce, un accoppiamento delle teste e dello spirito. Ma il circo viene smantellato, piegato dai debiti e dalle proteste, e i due vengono separati. Eo inizia così un viaggio che lo porta in paesi e contesti diversi, fino in Italia, sempre secondo ai cavalli, belli e capricciosi, caricato di pesi, per lo più ignorato, a volte pestato, per cieca furia umana, in un'occasione salvato e in un'altra no.   

Eo è un film furbetto. Interessante e girato benissimo ma se avessero messo qualsiasi cosa al posto dell'asino sarebbe stato un flop. E' così seguiamo il viaggio dell'eroe o il cammino di formazione di questo animale. Una fiaba nera per certi aspetti che alterna scorci fantastici e altri quasi gratuiti passando da atmosfere con una fotografia da brivido che ritrae questo pellegrinaggio di Eo trasfigurando quasi la natura e trasformandone i colori. Dalla caccia coi laser, alla rissa tra gli ultras, finendo in mano agli animalisti e in camion con criminali diretti ai Mattatoi, finendo nelle mani di chiunque si trovi di mezzo, a salvare altri animali. L'occhio della madre, anzi l'occhio dell'asino ci fa vivere dei momenti magici e tragici allo stesso tempo a tratti montati con un'emblematica freddezza soprattutto se pensiamo al finale. Eppure in tutto questo sembrano esserci dei situazionismi per certi versi imbarazzanti come madre e figlio (la Huppert e il figlio Vito interpretato da Zurzolo) e il loro disagio dove nel campo ci finisce quasi per caso il nostro Eo.
Dal punto di vista della politica d'autore di Skolimowski, un veterano del cinema, qui si riflette dall'inizio alla fine e soprattutto nei vari passaggi di consegna ad una cattiveria post pandemica sempre più assetata di prevaricazione che usa il regno animale come strumento e come nutrimento di una fame e brama di conquista da cui l’individuo singolarmente non riesce mai ad uscirne sazio.

sabato 18 giugno 2022

Offseason


Titolo: Offseason
Regia: Mickey Keating
Anno: 2021
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Dopo aver ricevuto una lettera misteriosa, una donna si reca in una città desolata dell'isola e presto rimane intrappolata in un incubo
 
Offseason diciamolo è un'operazione paraculo per i nostalgici di Lovecraft. Un film che mi è piaciuto ma che non accenna a provare minimamente a fare qualcosa di nuovo oppure originale.
E'un film affascinante per come riesca a gestire i reparti, creare tutte le suggestioni possibili su un'isola quasi deserta e creare quell'ostilità da parte di chi, come Innsmouth insegna, disdegna i forestieri impiccioni. L'inizio sembra Third Day. Poi nonostante nel film non accade poi quasi nulla è tutto legato all'ambientazione, la tempesta, la solitudine, la città deserta, la mancanza di pathos di personaggi equivoci, una coppia in cui lui sembra sempre fuori da tutto e dove Cthulhu sembra aspettare il momento giusto per impossessarsi di ciò che è suo dettando legge nell'evocativa scena nel pre finale.
In più la natura ostica come eco vengeance richiedendo la linfa vitale degli abitanti, uno spazio tempo che si è fermato, dove ogni cosa aspetta che gli venga dato il momento di esistere e muoversi, tutti elementi appena abbozzati ma alla fine funzionali alle leggi del film.
Alla fine è un film confezionato molto bene dove con una trama esile Keating Keating dopo essersi fatto le ossa con film del calibro di Pod e Carnage Park è bravo ad allungare il brodo ma dove arriva sicuramente alla sua opera migliore e meglio stilizzata rispetto ai suoi precedenti.

Sam was here


Titolo: Sam was here
Regia: Christophe Deroo
Anno: 2017
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Sam è un venditore porta a porta che viaggia attraverso il deserto della California in cerca di clienti, ma la zona sembra deserta. Nel frattempo sua moglie non risponda alle telefonate. E' come se tutti lo stessero evitando e il suo unico contatto con il mondo esterno è una stazione radio locale. Il conduttore, uno strano personaggio di nome Eddy, sta prendendo alcune telefonate che denunciano un assassino di bambini a piede libero, spingendo gli ascoltatori a dare la caccia all'uomo, senza esitare a ucciderlo. Ben presto, Sam realizza di essere considerato lui stesso il killer che tutti stanno cercando...
 
Sam was here è un film furbetto che riesce però nei suoi 100' a mettere insieme una bella atmosfera che per qualche strano motivo mi ha fatto venire in mente solo per qualche secondo uno dei miei cult di riferimento Wake in fright dove anche qui c'è una sorta di landa desolata che pur non essendo nelle outlands australiane si trova nel deserto americano tra case assemblate nel peggiore dei modi e camper lasciati a marcire al sole. Ed è qui che il nostro protagonista inizierà il suo calvario e la sua discesa all'inferno. Come diceva il buon Matheson in IO SONO LEGGENDA , il libro non quella schifezza di film moderno, la normalità è un concetto di maggioranza: la norma di molti è non quella di uno solo. Sam inizierà a delirare dopo la totale assenza di stimoli, di incontri, di umanità, ma presto scoprirà l'orrore di essere messo al patibolo come capro espiatorio e vittima sacrificale..il film gioca bene sul vero elemento ad effetto..sarà lui o non sarà lui il killer che tutti i redneck stanno cercando e a cui riserveranno un trattamento di riguardo sciogliendolo nell'acido?

venerdì 4 febbraio 2022

Raging fire


Titolo: Raging fire
Regia: Benny Chan
Anno: 2021
Paese: Cina
Giudizio: 4/5

Un'operazione sotto copertura viene attaccata da un misterioso gruppo di criminali guidati da Ngo. L'uomo è un ex poliziotto che cerca vendetta nei confronti di Yen, una volta suo mentore impagabile.

Il testamento di Chan non poteva essere da meno. Una carriera costellata da pellicole di grande impatto, action e polizieschi in tutte le varianti e poi molto altro ancora.
Qui ancora una volta se la trama contiene tutti i clichè possibili con situazioni retoriche e prolisse a restituire gloria e onore al film è la messa in scena e la ferocia dei suoi protagonisti dove ormai Donnie Yen tolti con molta difficoltà i panni di IP MAN riesce a ridare lustro ad un poliziotto ligio al dovere che sfugge da ogni tentativo di corruzione.
Senza provare a cercare nulla di anticonvenzionale ma spingendo tutto sull'action frenetico, il cinema di Hong Kong dimostra ancora una volta di essere tutt'altro che morto nonostante i prodotti orientali che arrivano dalla Corea del Sud, rimettendosi in pole position per quanto concerne la messa in scena e una tecnica con pochi eguali al mondo.

venerdì 21 gennaio 2022

Coming home in the dark


Titolo: Coming home in the dark
Regia: James Ashcroft
Anno: 2021
Paese: Nuova Zelanda
Giudizio: 3/5

Un insegnante di scuola è costretto a confrontarsi con un atto brutale del suo passato quando una coppia di spietati vagabondi porta lui e la sua famiglia in un viaggio da incubo.
 
L'esordio alla regia di Ashcroft nonostante segua una trama abbastanza scontata ha degli imprevisti interessanti, ovvero di come sviluppa alcuni meccanismi classici destrutturandoli e rendendoli funzionali dal punto di vista dei colpi di scena e di dove voglia andare a parare la trama.
Due specie di bifolchi che spuntano dal "nulla" a rovinare il picnic di una coppia con i loro due figli. Comincia subito l'incubo ma non si spiega perchè questa coppia di redneck sia così cattiva dal nulla senza spiegare il perchè di tanto rancore. Verrà sciorinato durante il decorso del film dove appare ovvio dal secondo tempo in avanti dove voglia andare a parare con un finale per nulla scontato e un abbondante dose di violenza che nonostante l'uccisione improvvisa dei due figli, diventa una sorta di testimonianza del dolore per chi come Hoaggie, il protagonista, è riuscito a vivere nell'ombra nascondendo le proprie e altrui nefandezze.


mercoledì 15 dicembre 2021

Casa de antiguidades


Titolo: Casa de antiguidades
Regia: João Paulo Miranda Maria
Anno: 2020
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

Cristovam lavora in un caseificio del ricco sud gestito da austriaci, ma lui viene dal nord del Paese dove la povertà lo ha spinto all’emigrazione. Vive da solo, con un cane. Ma nella sua casa si materializzano le memorie sepolte del passato, i riti antichi e le forme misteriose di una animalità che si fa umana.
 
Medium di una casa abbandonata, xenofobia, folklore, razzismo della società brasiliana, ritorno alle origini, maschere, senso di isolamento, capitalismo, contrasto nord-sud, ricchi-poveri, insomma l'opera dell'autore seppur con uno stile lento e minimale, riprende tutto un corollario di contenuti proponendo una storia misteriosa e silenziosa, con un protagonista che sembra sempre fuori dal tempo come se vivesse in un'altra dimensione.
Intellettuale anche se su un piano prettamente metaforico diventando solo nella seconda parte visionario e surreale con una società che sembra minacciare e minare costantemente la libertà del protagonista violando continuamente la sua privacy e la sua casa. Il film riesce con rimandi potenti e un uso meticoloso degli effetti speciali, in realtà poi solo l'ombra dell'animale totemico e quel luccichio negli occhi di chi riesce a mettere a fuoco Cristovan, a far sì che João Paulo Miranda Maria porti un altro ottimo esempio di cinema autoriale impegnato e politico dove negli ultimi anni i brasiliani stanno davvero dimostrando di aver tanto da dire e mettere in scena senza mai farsi prendere da sensazionalismi, ma rimanendo fedeli a delle storie classiche e più che mai catalizzatrici di mali sociali ancora molto radicati e intensi.

lunedì 4 gennaio 2021

Tecnica


Titolo: Tecnica
Regia: Clemente De Muro e Davide Mardegan
Anno: 2020
Paese: Italia
Festival: Torino Film Festival, Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

Un racconto di iniziazione: la storia di Leonardo, figlio di un pastore, e di Cesare, un turista appena arrivato in paese, che gli insegnerà le migliori strategie per approcciarsi con le ragazze.

Clemente De Muro e Davide Mardegan (Italia) sono un duo di registi che lavorano con il nome CRIC. Nati e cresciuti in Italia hanno costruito la loro carriera all’estero girando film pubblicitari. La loro collaborazione è iniziata durante gli anni universitari nella facoltà di Lettere e filosofia. Si sono fatti notare con il loro primo spot autoprodotto, patrocinato da Poste Italiane, grazie al quale hanno vinto vari premi in festival nazionali ed internazionali. La tecnica è il loro primo lavoro non pubblicitario è si potrebbe riassumere in una semplice log-line come a volte un po di cultura possa servire per fare colpo su una ragazza, in questo caso l'apnea di Leonardo, una ventina di secondi, e quella delle balene, riuscendo proprio con questa semplice informazione a suscitare interesse nei confronti di una ragazzina.



Silence(2020)


Titolo: Silence(2020)
Regia: Sean Lionadh
Anno: 2020
Paese: Gran Bretagna
Festival: Torino Film Festival, Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

Nell’isolamento del lockdown, un giovane uomo decide di restare in contatto con il mondo esterno attraverso i messaggi vocali dei suoi amici e dei suoi amanti. Quelle voci, però, che inizialmente sembrano riempire il silenzio e fargli compagnia, diventano sempre di più e sempre più cariche di sofferenza. L’uomo si trova così abitato da una moltitudine di solitudini. L’unica soluzione per placare quelle voci è trovare la propria attraverso la musica, e così ristabilire il silenzio.

11' in cui Lionadh ha filmato a Glasgow ciò che gli è successo, provando a dare una voce o meglio un silenzio alla crescita del disagio e della sofferenza. In un appartamento disordinato e nel caos, Lionadh sembra la dimostrazione di un disorientamento che aumenta con la condizione umana e l'incapacità di affrontare un disagio e saper leggere oltre. Allora ognuno trova un suo confinamento, Lionadh spegnendo i vocali e accendendo la musica.

Munhasir


Titolo: Munhasir
Regia: Yesim Tonbaz
Anno: 2020
Paese: Turchia
Festival: Torino Film Festival, Capri, Hollywood
Giudizio: 3/5

Rimasta sola dopo la morte della figlia per una lunga malattia, mentre cerca di accettare il dolore, Fazilet trova un pacco destinato alla figlia. In cerca di informazioni, busserà di porta in porta fino a trasformare il pacco nella cosa più importante della sua vita.

Fazilet incarna perfettamente la perdita, una tragedia che come madre incarna un trauma senza parole che la nostra protagonista decide di affrontare in una lunga peregrinazione cercando e ottenendo informazioni che possano almeno darle un barlume di speranza e il sollievo fino al climax finale. Un corto scandito da un montaggio preciso, un volto perfettamente segnato dal dolore e un'ambiente che risulta una metafora perfetta su come spesso la società attorno a noi dimentichi facilmente alcune ferite che semplicemente non scompariranno mai.



sabato 1 agosto 2020

Magari

Titolo: Magari
Regia: Ginevra Elkann
Anno: 2019
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Alma, Jean e Sebastiano sono tre fratelli molto legati tra loro che vivono a Parigi, nel sicuro ma bizzarro ambiente alto borghese della madre di fervente fede russo–ortodossa. La mamma decide di mandarli per qualche giorno da Carlo, il padre italiano, assente e completamente al verde. Lui, aspirante regista, non sa badare a sé stesso e ancor meno ai figli. I tre ragazzi sono costretti a passare le vacanze di Natale insieme a lui e alla sua assistente – nonché fidanzata – Benedetta.

Complicata vicenda d'amore attraverso lo sguardo di tre fratelli in particolare Alma e il suo flusso incessante di ricordi e pensieri. Un film minimale, molto personale, un'analisi lucida e con un impiego di una tecnica molto ricercata per un film che sembra una fotografia del passato.
Tra attori francesi e italiani si danno tutti man forte per dare linfa e poesia a una narrazione che mostra così tanti stati d'animo e il potere della famiglia e i legami che non spariscono lasciando cicatrici forti. Un film coraggioso che non risparmia un paio di scene di sesso, Benedetta che si lascia andare con Sebastiano, un linguaggio che non disdegna parolacce e momenti di rabbia tra Carlo e i suoi figli, rendendo l'atmosfera sempre pungente e sull'orlo di un dramma o un incidente che avviene sì ma in maniera velata come a puntare all'unione famigliare più che alla tragedia.
Magari come il titolo suggerisce è quell'intercalare che viene spesso usato e abusato dai suoi protagonisti più grandi che piccoli, più giovani-adulti che altro, diventando una sfrontata risposta a tutto quello che non va come dovrebbe ma che alla fine si lascia correre.
“Un film sull’idea di famiglia, non sulla famiglia” ha espressamente dichiarato la regista, descrivendo e convincendo con un film che non si prende troppo sul serio ma nella sua flebile ambizione riesce dove molte commedie sulla famiglia crollano, ovvero riuscire ad essere vero, sincero, diretto e commovente.

lunedì 23 marzo 2020

Papi Chulo


Titolo: Papi Chulo
Regia: John Butler
Anno: 2018
Paese: Irlanda
Giudizio: 4/5

Sean è un trentenne gay, fa il presentatore meteo per una stazione televisiva di Los Angeles ed è in crisi per una relazione terminata di recente. Dopo una crisi di pianto in diretta TV, viene costretto dalla direzione dell’emittente a prendersi dei giorni di vacanza e, con il pretesto di dover ridipingere il parquet del suo balcone di casa, arruola Ernesto, manovale messicano di mezza età sposato e con figli. Da qui inizia un rapporto d’amicizia alquanto improbabile tra i due

Papi Chulo è un film che in parte tratta la tematica queer e della gerontofilia in maniera approfondita, intensa, originale, ironica, drammatica e mai banale. Come potrebbe essere visto un rapporto tra un bell’uomo sportivo, giovane, elegante e ricco e un tuttofare messicano decisamente più anzianotto, di umili origini che sbarca il lunario come può?
C’è una scena che sembra gridare tutta la sua complessità e in parte anche il disagio. Un momento in cui da entrambe le parti vengono analizzate molto bene le reazioni dei due protagonisti ed è la festa gay dove Ernesto si guarda attorno incredulo parlando con ragazzi e uomini ma non sapendo l’inglese quindi annuendo ad ogni cosa che gli viene detta trovandosi come un pesce fuor d’acqua. Allo stesso tempo però per i soldi accetta qualsiasi cosa, ma Butler non cade mai nel patetico o nella faciloneria, dimostrando di non essere mai scontato intessendo sempre quella carica in più legata al rapporto tra i due, all’amicizia per superare il dolore e i monologhi di Sean che di fatto cerca qualcuno che non abbia per forza delle aspettative da lui. Papi Chulo è una piacevole sorpresa, fotografata magnificamente con paesaggi e una messa in scena molto limpida e pulita, senza macchie se non interiori come la scena in cui Sean ubriaco invita un uomo conosciuto sulla chat a casa sua per fare sesso non essendo assolutamente nella condizione per riuscirci.
Interessante poi il nome del film che gioca su un doppio significato tra pappone e papà.
I protagonisti sono straordinari riuscendo e dimostrando una sinergia attoriale che se non ci fosse stata da subito avrebbe sancito di fatto il fallimento di tutto il film. Butler poi si vede che conosce molto bene la commedia giocando molto sui tabù ma di fatto ponendo e vincendo la sfida più grande ovvero quella di non essere mai volgare.

mercoledì 22 gennaio 2020

Morris from America


Titolo: Morris from America
Regia: Chad Hartigan
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Morris Gentry è un 13enne afroamericano che da poco si è trasferito con il padre Curtis nella città di Heidelberg, in Germania. Oltre ai normali disagi legati alla pubertà, il ragazzo ha problemi di sovrappeso e di ambientamento ma, appassionato di musica hip-hop, sogna di diventare il nuovo Notorious B.I.G. Grazie alla complicità di suo padre, con cui condivide la passione per la musica, e all'aiuto di Inka, la sua tutor di lingua tedesca, Morris riesce ad andare avanti fino all'arrivo dell'estate, quando viene mandato a frequentare delle lezioni in un centro estivo per ragazzi

Morris from America è un film leggero e smaliziato, un joint alla Lee, tutto afro che combina bene commedia e dramma in un coming of age pieno di battute ironiche e dialoghi che funzionano e trasmettono molto in termini di pathos e contenuti.
Due target d'età diversa, un padre e un figlio che ci provano, con il primo che nonostante le difficoltà di essere solo e di cambiare mondo passando dall'America all'Europa, a conti fatti non smette mai di darsi delle colpe, di stare sempre dietro alle vicissitudini e alle difficoltà di un figlio che cresce cercando dei valori e una rete a cui aggrapparsi.
La musica come legame per creare rapporti amicali e non, la voglia di continuare a credere di poter essere qualcuno. Hartigan alla sua seconda opera sceglie un film squisitamente complesso nella sua semplicità, toccando un tema caro al cinema, ma che riesce vista la perfetta empatia e alchimia tra gli attori, a non apparire mai scontato o superficiale, ma solido e ironico anche in alcuni momenti intensi dove prevale il dramma puro inteso come elaborazione del lutto e della perdita

giovedì 24 ottobre 2019

Ride

Titolo: Ride
Regia: Valerio Mastrandrea
Anno: 2018
Paese: Italia
Giudizio: 2/5

Carolina è vedova da una settimana e non riesce a piangere. Seduta sul divano, assorta in cucina, in piedi alla finestra, scava alla ricerca delle lacrime che tutti si aspettano da lei. Anche Bruno, il figlio di pochi anni che sul terrazzo di casa 'mette in scena' i funerali del genitore. Nessuno, nemmeno il padre e il fratello di Mario Secondari, giovane operaio morto in fabbrica, sembra riuscire a fare i conti col lutto. Tra un occhio nero e una nuvola carica di pioggia, Carolina farà i conti con l'assenza.

Ride è l'esordio alla regia per Mastrandrea. Recita la compagna, la Martegiani, un'attrice che riesce in un difficile ruolo a dare una bella catarsi ad un personaggio complesso da mantenere per tutta la durata del film. Ride sembra il punto focale nella carriera di un attore che in questi anni si è confrontato diverse volte con il tema del dolore e della morte dopo aver dato vita nel 2005 ad un corto molto simpatico TREVIRGOLAOTTANTASETTE.
Il film della Golino del 2018 Euforia e poi lo stesso anno la serie tv LA LINEA VERTICALE.
Ride è un dramma sulle morti bianche, una denuncia sociale che presto però lascia il passo ad un quadro più intimista, un approfondimento psicologico sull'elaborazione del lutto, molto pacato, lento, minimale, un film che sembra un mosaico di sguardi lontani e bloccati dalla morsa della perdita, una morte prematura che il regista sgocciola poco alla volta concentrandosi sulle ultime 24 ore che precedono il funerale della vittima.
La galleria di personaggi che fanno visita a Carolina sembrano ancora più assenti della protagonista come se avessero loro per primi bisogno di essere sostenuti.
Il problema del film è legato ad un castrazione che sembra colpire e unire tutti in un pianto disperato e silenzioso che si cerca di non esternare, con il rischio e la sensazione che tutti siano stati troppo frenati e lasciati a fluttuare in una sorta di limbo.