Titolo: Demolition Man
Regia: Marco Brambilla
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
È l'anno 2032, il
supercriminale Simon Phoenix, si risveglia dopo trentacinque anni
d'ibernazione, trascorsi nella prigione di Cryo, per scoprire una Los Angeles
tranquilla e non violenta, pronta quindi a essere dominata. Incapaci di far
fronte alle maniere brutali di Phoenix, tipiche degli anni "90", gli
agenti di Los Angeles decidono di ricorrere a un poliziotto vecchio stile.
Rianimano infatti il sergente John Spartan, che sta scontando ingiustamente una
pena nella stessa prigione, in seguito al suo ultimo incontro-scontro con
Phoenix.
Sulla scia di alcuni film d’azione interpretati da
Stallone nel suo momento d’oro prima del suo lanciato ritorno sugli schermi
negli ultimi anni, Demolition Man è stato un passaggio decisivo per collocarlo
in suo microcosmo in cui si ritaglia sempre lo stesso personaggio e senza
tuttavia riuscire da parte della regia ad andare oltre uno standard misurato e
confuso in cui spesso alcune critiche non riescono a essere espresse in modo
completo.
Il fumettone futuristico di Brambilla, regista sfortunato
che non ha diretto quasi nulla dopo quest’opera prima, da un lato è fatto
abbastanza bene dal punto di vista dell’action esagerato e tutti gli accessori
che sembrano enormi giocattoloni, mentre dall’altro è straripante di luoghi
comuni, di scene abbozzate, di non-sense generale, di non fare altro che aumentare
l’ego smisurato dei due protagonisti.
L’unica battuta che mi ha fatto ridere anche se
ovviamente non voluta perché non si sapeva è quella in cui la Bullock, un
chiaro esempio di non attrice, dice a Spartan, nome eccessivamente pompato, che
Arnold è il presidente della California.
Forse quello è l’unico monito di preveggenza-fantascienza
riuscita al film. Il resto è un funambolico susseguirsi di sparatorie, momenti
sconcertanti, tragicomica serie di scene in cui il passato ritorna nel presente
e dunque si aprono tutte le dinamiche possibili.
Ancora una volta poi gli intenti della regia o del suo
protagonista su come dovrebbe essere la giustizia lascia sempre perplessi
giustificando la violenza da parte dei detentori della legge in modo smisurato
e spesso eccessivo quando non diventa a tutti gli effetti pura ideologia
reazionaria.