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sabato 10 novembre 2012

Demolition Man


Titolo: Demolition Man
Regia: Marco Brambilla
Anno: 1993
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

È l'anno 2032, il supercriminale Simon Phoenix, si risveglia dopo trentacinque anni d'ibernazione, trascorsi nella prigione di Cryo, per scoprire una Los Angeles tranquilla e non violenta, pronta quindi a essere dominata. Incapaci di far fronte alle maniere brutali di Phoenix, tipiche degli anni "90", gli agenti di Los Angeles decidono di ricorrere a un poliziotto vecchio stile. Rianimano infatti il sergente John Spartan, che sta scontando ingiustamente una pena nella stessa prigione, in seguito al suo ultimo incontro-scontro con Phoenix.

Sulla scia di alcuni film d’azione interpretati da Stallone nel suo momento d’oro prima del suo lanciato ritorno sugli schermi negli ultimi anni, Demolition Man è stato un passaggio decisivo per collocarlo in suo microcosmo in cui si ritaglia sempre lo stesso personaggio e senza tuttavia riuscire da parte della regia ad andare oltre uno standard misurato e confuso in cui spesso alcune critiche non riescono a essere espresse in modo completo.
Il fumettone futuristico di Brambilla, regista sfortunato che non ha diretto quasi nulla dopo quest’opera prima, da un lato è fatto abbastanza bene dal punto di vista dell’action esagerato e tutti gli accessori che sembrano enormi giocattoloni, mentre dall’altro è straripante di luoghi comuni, di scene abbozzate, di non-sense generale, di non fare altro che aumentare l’ego smisurato dei due protagonisti.
L’unica battuta che mi ha fatto ridere anche se ovviamente non voluta perché non si sapeva è quella in cui la Bullock, un chiaro esempio di non attrice, dice a Spartan, nome eccessivamente pompato, che Arnold è il presidente della California.
Forse quello è l’unico monito di preveggenza-fantascienza riuscita al film. Il resto è un funambolico susseguirsi di sparatorie, momenti sconcertanti, tragicomica serie di scene in cui il passato ritorna nel presente e dunque si aprono tutte le dinamiche possibili.
Ancora una volta poi gli intenti della regia o del suo protagonista su come dovrebbe essere la giustizia lascia sempre perplessi giustificando la violenza da parte dei detentori della legge in modo smisurato e spesso eccessivo quando non diventa a tutti gli effetti pura ideologia reazionaria.