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martedì 16 ottobre 2012

E’stato il figlio



Titolo: E’stato il figlio
Regia: Daniele Ciprì
Anno: 2012
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Il racconto viene narrato in un tempo futuro, all'interno di un ufficio postale, in un giorno come tanti. E' un signore trasandato di nome Busu, ad introdurre la storia della famiglia Ciraulo, come le altre microstorie che di giorno in giorno racconta per uccidere il tempo che consuma la sua solitudine. C'è chi lo ascolta, c'è chi invece ad un certo punto si stanca e va via, lasciandolo solo in quella interminabile giornata d'inverno. Busu però si sofferma più a lungo sui Ciraulo, raccontandone anche i dettagli, quasi come gli appartenessero.

Ciprì e Maresco sin da sempre sono stati due tra i miei registi preferiti in Italia. Era da tempo che non si vedeva più nulla di loro e poi come una stella cadente senti di questo film, solo di Daniele però, che si affaccia alla vetrina di Venezia.
Leggi qualcosa ma non sai dove possa voler arrivare il talento palermitano.
Poi scopri un film quasi perfetto. Un’ottima commedia grottesca di quelle da far girare la testa agli amanti del genere. Un film che in Italia tardava ad arrivare forse per il banale motivo che pochi hanno il coraggio di essere allo stesso tempo comici ma far capire quanto di assurdo e drammatico ci sia dietro.
Ciprì innanzitutto parte da un particolare secondo me molto importante che ricorda solo per certi aspetti qualcosa di Pasolini, ovvero i volti. Le facce sparute, distrutte, maschere reali che al meglio interpretano e inquadrano la realtà locale.
La differenza ancora una volta però a farla è l’insuperabile Toni Servillo, senza dubbio il miglior attore italiano in circolazione e sicuramente il più completo.
Non bisogna aggiungere nulla alla catarsi dell’attore se non un’intensità che riesce a cogliere e a somministrare a tutti i membri di quella che altro non è che una tragedia famigliare.
La favola nera disegnata a Palermo è dannatamente reale e pone le basi su tutta una serie di realtà locali che esprimono la quotidianità e la sofferenza di dover accettare i propri ruoli e la propria natura ottusa.
Una caratteristica del buon cinema nostrano che fa fatica ad andare in porto a causa delle difficoltà produttive è il chiaro esempio di questo travagliato film. Girato in Puglia anziché in Sicilia, riceve porte in faccia da Film Commission, veri e propri fantasmi che non sanno gestire e dare enfasi al proprio lavoro.
Però alla fine c’è l’ha fatta. E tutti noi applaudiamo per otto minuti come il pubblico di Venezia sperando di aver ritrovato un talento smarrito e sperando che di nuovo la commedia grottesca arrivi ai suoi fasti come un tempo accadeva di norma.
Ora invece la norma premia la normalità che come nel cinema è diventato solo un concetto di maggioranza e i gusti amati e cercati da un vasto pubblico pongono l’accento sul problema del nostro attuale cinema.