Titolo: E’stato il figlio
Regia: Daniele Ciprì
Anno: 2012
Paese: Italia
Giudizio: 4/5
Il racconto viene narrato in un tempo futuro, all'interno
di un ufficio postale, in un giorno come tanti. E' un signore trasandato di
nome Busu, ad introdurre la storia della famiglia Ciraulo, come le altre
microstorie che di giorno in giorno racconta per uccidere il tempo che consuma
la sua solitudine. C'è chi lo ascolta, c'è chi invece ad un certo punto si
stanca e va via, lasciandolo solo in quella interminabile giornata d'inverno.
Busu però si sofferma più a lungo sui Ciraulo, raccontandone anche i dettagli,
quasi come gli appartenessero.
Ciprì e Maresco sin da sempre sono stati due tra i miei
registi preferiti in Italia. Era da tempo che non si vedeva più nulla di loro e
poi come una stella cadente senti di questo film, solo di Daniele però, che si
affaccia alla vetrina di Venezia.
Leggi qualcosa ma non sai dove possa voler arrivare il
talento palermitano.
Poi scopri un film quasi perfetto. Un’ottima commedia
grottesca di quelle da far girare la testa agli amanti del genere. Un film che
in Italia tardava ad arrivare forse per il banale motivo che pochi hanno il
coraggio di essere allo stesso tempo comici ma far capire quanto di assurdo e
drammatico ci sia dietro.
Ciprì innanzitutto parte da un particolare secondo me
molto importante che ricorda solo per certi aspetti qualcosa di Pasolini,
ovvero i volti. Le facce sparute, distrutte, maschere reali che al meglio
interpretano e inquadrano la realtà locale.
La differenza ancora una volta però a farla è
l’insuperabile Toni Servillo, senza dubbio il miglior attore italiano in
circolazione e sicuramente il più completo.
Non bisogna aggiungere nulla alla catarsi dell’attore se
non un’intensità che riesce a cogliere e a somministrare a tutti i membri di
quella che altro non è che una tragedia famigliare.
La favola nera disegnata a Palermo è dannatamente reale e
pone le basi su tutta una serie di realtà locali che esprimono la quotidianità
e la sofferenza di dover accettare i propri ruoli e la propria natura ottusa.
Una caratteristica del buon cinema nostrano che fa fatica
ad andare in porto a causa delle difficoltà produttive è il chiaro esempio di
questo travagliato film. Girato in Puglia anziché in Sicilia, riceve porte in
faccia da Film Commission, veri e propri fantasmi che non sanno gestire e dare
enfasi al proprio lavoro.
Però alla fine c’è l’ha fatta. E tutti noi applaudiamo
per otto minuti come il pubblico di Venezia sperando di aver ritrovato un
talento smarrito e sperando che di nuovo la commedia grottesca arrivi ai suoi
fasti come un tempo accadeva di norma.
Ora invece la norma premia la normalità che come nel
cinema è diventato solo un concetto di maggioranza e i gusti amati e cercati da
un vasto pubblico pongono l’accento sul problema del nostro attuale cinema.