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sabato 17 febbraio 2024

Simulacrum


Titolo: Simulacrum
Regia: Alessio Nencioni
Anno: 2022
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Un manipolo di uomini si aggira tra le macerie di un’era antropocenica dissolta… sono dei sopravvissuti, scarti di una tecnoscienza che si è completamente alienata, abbandonando la propria residuità biologica parassitaria. K. è uno di questi umanoidi smarriti, nudi, in dipendente ricerca di un segnale che possa disvelare qualche artefatto utilizzabile, una retro-tecnologia sfruttabile, una connessione interfacciabile. Ricerca disperata, cieca, insieme a compagni ostili, regrediti, afoni, in un mondo ermetico svuotato di ogni significato; sotto la cui superfice una sub umanità ancora più involuta, scorre come veleno all’interno di tunnel orrorifici.

Simulacrum per Nencioni della Magnetic Head Production con i suoi tredici minuti, è un corto sbalorditivo che riesce grazie al suo taglio distopico, fantascientifico, post apocalittico e sperimentale a mettere in scena in quasi un'unica location i residui germinali dell'umanità.
Individui spogli che sembrano tornati agli albori della società in un esistenza primitiva dove prevalgono gli istinti, la violenza e la sopraffazione. Gli scarti che sopravvivono sembrano dividersi tra chi sceglie una sorta di proto rave continuo dimenticandosi di tutto e vivendo all'interno di una caverna di perdizione. Oppure dei sopravvissuti dell'Apocalisse che c'è stata trovandosi con ciò che rimane della tecnologia, vivendo di stupri e trovando sulla propria strada personaggi inquietanti e sacerdotesse che cercano ancora un contatto con Madre Natura

martedì 12 dicembre 2023

Await further instruction


Titolo: Await further instruction
Regia: Johnny Kevorkian
Anno: 2018
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

La famiglia Milgram è intenta a celebrare il Natale quando si accorge di una misteriosa sostanza nera che ha circondato la loro casa. Qualcosa di terribile sta per accadere, ma cosa? Un disastro ambientale, un attacco terroristico, una guerra nucleare? In mezzo a discussioni sempre più infervorate viene accesa la tv, alla disperata ricerca di informazioni. Ma sullo schermo c'è solo una scritta che lampeggia sinistramente: "Restate in casa in attesa di ulteriori informazioni". Mentre i messaggi televisivi diventano sempre più minacciosi, paranoia e tensione si accumulano.
 
Gli inglesi stanno sempre in prima linea con i francesi in Europa quando si parla di horror. In questo caso tanta fantascienza, un home invasion, paura di attentati terroristici, famiglia disfunzionale, la ragazza indiana in una famiglia conservatrice e tanti altri aspetti. Kevorkian con un budget misurato blinda subito la famiglia dentro casa con una trovata funzionale quanto assurda e da lì in poi lascia che sia il terzo occhio della televisione a dare le regole che via via diventeranno sempre più atroci e sofferenti e dove la polemica non risparmia nulla persino il vaccino.
Seppur vero che il finale diventa tanto esagerato quanto una strizzatina d'occhio a tanti b-movie e alcuni dialoghi sembrano portati al paradosso del non-sense, il film riesce a reggere e mantenere una sua coerenza nell'assurdo a cui va a impattare e il nonno che chiama il figlio "umidiccio" senza smetterla mai di umiliarlo o quando dovranno lavarsi con la candeggina creano un siparietto che andrà piano piano ad esplodere

venerdì 3 marzo 2023

Project Wolf hunting


Titolo: Project Wolf hunting
Regia: Kim Hong-sun
Anno: 2022
Paese: Corea del sud
Giudizio: 4/5

Mentre vengono trasferiti dalle Filippine alla Corea del Sud con una nave cargo, alcuni pericolosi criminali provocano una violenta rivolta, finché un mostro non identificato si risveglia dal suo sonno...

E finalmente torna un bagno di sangue con i contro cazzi. Uno di quei film assurdi, pulp, grotteschi, sanguinolenti dove dentro c'è tutto gore, torture, splatter a gogò, miserabili poliziotti, carcerati assassini stupratori e depravati. In tutto questo immette alcune postille prese dalla trama di PHILOSOPHY OF A KNIFE, PREDATOR e CON AIR. Il risultato è semplicemente una bomba a deflagrazione che farà letteralmente sbavare tutti quelli che come me amano alla follia il cinema di genere e che si sono lasciati incantare dalla finta voglia di gore di SADNESS. E i coreani ancora una volta palesando qualcosa di già detto mille volte lo sanno fare meglio e con più forza e spinta negli intenti, nel ritmo e soprattutto nella narrazione e nella messa in scena.
Sicuramente nel suo essere goliardico è uno dei film dell'anno, dichiaratamente fuori dagli schemi ma così inverosimilmente realistico e piacevole che vorremmo averne a centinaia di film così.
Ancora una volta Busan sembra irraggiungibile e ancora una volta usare quello strumento narrativo per cui non fai in tempo a simpatizzare per qualcuno perchè morirà è l'ennesima ciliegina sulla torta.

lunedì 2 gennaio 2023

Luz


Titolo: Luz
Regia: Tilman Singer
Anno: 2018
Paese: Germania
Giudizio: 4/5
Un incubo a occhi aperti governato da un'entità sovrannaturale. Un viaggio a ritroso costellato da personaggi dall'identità fluida e imprevedibile in continuo divenire, volto a farci scoprire chi sia e cosa abbia fatto la tassista Luz prima di essere esaminata da uno psicologo alla presenza della polizia nel corso di una notte di tragedia.
 
Luz è un film sperimentale d'autore. Qualcosa di particolarmente originale non esente da difetti e problemucci ma che riesce ad imporsi attraverso una messa in scena memorabile con 16mm, quasi un'unica location, la centrale di polizia come l'interno del bar e l'interno della macchina, una fotografia molto sgranata e dei colori accesi che offrono quel tocco di vintage coadiuvato da una recitazione teatrale e l’elettronica carpenteriana di Simon Waskow.
Tilman Singer al suo esordio semplicemente fa ciò che gli pare disattendendo ogni minima domanda e aspettativa del pubblico, giocando di suggestioni, intersecando piani temporali e disattendendo ogni ricostruzione cronologica. Un limbo magico dove ognuno sembra impossessato da qualcosa nella ricerca attraverso una terapia regressiva di una ricostruzione impossibile tentando con manovre e scelte più che mai discutibili qualcosa che non sembra alla portata di nessuno di loro. L'autore sembra sviluppare una domanda a cui non concede tutte le risposte inserendole in un quadro e in un contesto ancora più complesso e minimale come frutto di commistione tra sostanze psicotrope, inconscio e dinamica del contagio

martedì 27 aprile 2021

Sleepless Beauty


Titolo: Sleepless Beauty
Regia: Pavel Khvaleev
Anno: 2020
Paese: Russia
Giudizio: 3/5

Una ragazza di nome Mila viene rapita. I rapitori ignoti la tengono in un vecchio garage, le parlano attraverso un altoparlante e stabiliscono regole rigorose: non deve dormire, ma deve svolgere bizzarri compiti che hanno preparato per lei. Sembra tutto quanto il frutto delle idee malate di qualcuno, per il suo macabro divertimento. Tuttavia, la ragazza non sospetta affatto di essere parte di un esperimento spietato

I torture e i rape & revenge (un sodalizio ormai più che affermato) o i finti snuff da sempre hanno fatto gola agli amanti di un certo tipo di horror estremo. Il sadismo o in questo caso i malati esperimenti sociali di non meglio precisati gruppi o organizzazioni (in questo caso la Recreation..) vogliono creare il soldato perfetto, una macchina di morte fatta ad hoc dopo giornate di privazioni del sonno, stimoli sensoriali assurdi e via dicendo. L'idea di per se è già assurda se qualcuno ha provato a fare una comparazione con il cult di Laugier che però aveva intenti e ambizioni ben diverse.
Qui il prodotto non ha molto da dire in termini di critica così come l'indagine parallela dell'investigatore che sembra scoprire dall'oggi al domani che esiste un dark web quando ormai lo sanno pure gli adolescenti.
Basterebbe da sola la scena delle immagini weird e inquietanti, un trip lisergico a metà tra realtà e animazione davvero malato e assurdo che sembra prendere il peggio di tanti artisti perlopiù surrealisti che ammiro.
Ecco se quelle immagini fossero state un corto avrebbe avuto più successo del film o meglio del materiale più interessante da osservare sempre per un certo tipo di fans.


venerdì 27 marzo 2020

Hunt


Titolo: Hunt
Regia: Craig Zobel
Anno: 2020
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Dodici sconosciuti si risvegliano all'interno di un parco appartenente alla cosiddetta Tenuta (the Manor), scoprendo di lì a poco di essere stati scelti per essere cacciati in un gioco ideato da un gruppo di persone della ricca. Per rendere il gioco più interessante alle prede vengono concesse delle armi che recuperano da un'enorme cassa posizionata nel bel mezzo di una radura del parco

Zobel all’attivo ha diretto l’interessante Compliance, un film che faceva luce su un fatto insolito negli Usa. Hunt sembra tante cose e ne scopiazza molte altre, un survival-movie con catfight finale senza esclusione di colpi.
Persone sconosciute che partecipano ad un gioco in cui una certa elite borghese gode nel farli fuori “perché deplorevoli” ovvero chi per la caccia, chi perché ha commesso non si sa bene cosa, chi per altri motivi. Tutti vengono scelti come vittime sacrificali per finire massacrati. Abbiamo la final girl cazzutissima che dalla scena della stazione di servizio capisce di non essere in Arkansas ma vicino alla Croazia.
Insomma un film che parte su un aereo, continua in un bosco e finisce in un campo rifugiati e infine in una villa per lo scontro finale.
Hunt di certo non annoia, ma è una tale galleria di luoghi comuni e idee prese da altri film cercando di dargli una parvenza di autorialità imbarazzante. I dialoghi sono così privi di carattere, i personaggi scontatissimi (forse l’unico aspetto positivo e che prima dell’arrivo di Crystal chiunque possa sembrare il protagonista muore malamente) e la trama come il disegno e l’intento da parte dell’elite davvero telefonata all’ennesima potenza. Tra le tante idiozie del film il piano segreto di Crystal che confida ad Athena nel dialogo finale (un gioco degli equivoci che sembra una presa in giro) il massacro della tana dove tutti i membri dell’elite si nascondono per venire sgominati dalla stessa Crystal e tanti altri fattori che cercano di dare spessore al film senza riuscirvi. L’unico motivo per cui non lo boccio completamente è perché non si prende sul serio e regala qualche timido sorriso.

domenica 8 marzo 2020

Les Garcons sauvages


Titolo: Les Garcons sauvages
Regia: Bertrand Mandico
Anno: 2017
Paese: Francia
Giudizio: 4/5

Un gruppo di ragazzi commette un orribile crimine. Un capitano si prende carico di loro ma il rapporto diventa sempre più difficile.

«Volevo provare a fare un film marittimo, con scene di tempesta, scene ambientate in una giungla con dei ragazzi. Scene difficili da filmare nell’ambito di un cinema d’autore che non è troppo fortunato, perché a basso budget. È il tipo di riprese che si può trovare nella grande produzione americana. Ma mi piaceva molto l’idea di riuscire a farcela.»
Les garcon sauvages è un film estremo per stomaci forti e per chi è avvezzo al cinema di genere, l’exploitation, il queer portato all’estremo. Una fiaba provocatoria e costipata di simbolismi fallici.
Un film gigantesco che al tempo stesso produce sentimenti ed emozioni contrastanti, con questi ragazzi alle prese con un mondo sconosciuto in cui la Natura comincia a trasformarli letteralmente in altro, nei loro opposti sciogliendo ogni tabù e travolgendoli tra amori allucinati e prove iniziatiche.
Un film perverso, volgare, romantico, che trova un suo registro specifico, una politica d’autore che verrà condannata per l’estrema libertà e provocazione di cui il film è costellato in ogni suo frame.
Un film fuori dal tempo, magico ed erotico come non capitava da tempo di vedere sullo stesso asse due elementi di questo tipo. Un film mutaforma che mi è rimasto così impresso forse perché innovativo, sperimentale ed estraneo a schemi e tendenze di tanto cinema indipendente con cui faccio i conti quotidianamente. L’opera di Mandico che dopo svariati cortometraggi presentati ai più prestigiosi festival internazionali, esplode come un vaso di Pandora tra suggestioni, scene ipnotiche e oniriche, diventando un sogno surrealista, una prova difficile da inquadrare e comprendere del tutto dopo una sola visione.
Un film che sembra un trip andato a male che genera turbolente allucinazioni visive e sensoriali, difficilissimo da catalogare per tutti i registri e i generi utilizzati soprattutto per questo immaginario sfrenato che coglie e cita così tanti universi letterari e cinematografici che bisognerebbe studiarlo a fondo per elencarli tutti.

venerdì 10 gennaio 2020

Freaks


Titolo: Freaks
Regia: Zach Lipovsky, Adam B. Stein
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Il padre della piccola Chloe, una bambina di sette anni, non vuole che lei esca dalla loro casa in rovina, perché ritiene che il mondo esterno sia troppo pericoloso per loro e soprattutto per la bambina. Cerca di nasconderla anche ai vicini, ma lei vorrebbe fare come le altre ragazzine e andare almeno a prendere il gelato dal camioncino che passa per il loro vicinato e suona una musica quasi irresistibile. Il gelataio è un vecchio dal sorriso vagamente sinistro, ma questo non turba Chloe che anzi sempre più vuole conoscere il mondo di fuori. Nulla però è davvero quello che sembra...

Freaks è un indie interessante, un'opera che strizza l'occhio chiamando a sè diversi generi, thriller, sci-fi, super-eroi (meglio chiamarli Freaks), l'isolamento come paura di essere presi in quanto diversi. Tanti segnali sembrano poi i classici di tanti film usciti negli ultimi anni, ma il film dalla sua ha una storia semplice, nel primo atto non ci dice molto ma fa presagire che da quando la piccola "Chloe" dovrà uscire dalla porta si troverà preda o predatrice di un mondo che le è stato sempre nascosto. Ci sono sicuramente alcune intuizioni interessanti come il teletrasporto qui sfruttato in maniera davvero originale, il sangue non viene lesinato ma anzi serve a far comprendere alla innocente Chloe a cosa si debba andare incontro per salvare chi si ama.
Effetti speciali e scene d'azione ottime ma mai abusate, cercando sempre di mantenere quel'atmosfera che caratterizza tutto l'arco del film e alcuni dialoghi che rivelano interessanti colpi di scena. Bruce Dern poi con quel camioncino dei gelati è allo stesso tempo salvifico quanto inquietante. Tutto il cast capitanato dalla preziosa bambina e Emile Hirsch ci credono tutti molto e la loro caratterizzazione riesce a dare manforte alla psicologia dei personaggi e la sinergia con i colleghi. Qualche piccolo intoppo c'è, ma nel finale possiamo annoverarlo tra gli esperimenti più interessanti su persone dotate di super poteri con un budget modesto ma che sa lavorare bene su quello che ha regalando molto più di quanto riescano a fare i film Marvel.

sabato 23 novembre 2019

Liquid Sky


Titolo: Liquid Sky
Regia: Slava Tsukerman
Anno: 1982
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Un alieno, che si nutre di droga e di una misteriosa sostanza che l'uomo produce durante il rapporto sessuale, trova una perfetta "sistemazione" a casa di due sbandate cocainomani. Da quel momento ogni uomo che va a letto con le ragazze muore. Quando una delle due ragazze capirà che l'alieno è la causa di tutto preferirà scomparire nel nulla con lui.

L'esordio di Tsukerman può essere inserito come uno dei film cardine di un certo filone della sci-fi. I motivi sono tanti e rigorosamente dettati da un sapiente lavoro di scrittura, una messa in scena a tratti sperimentale e surreale e una recitazione più che adeguata.
E'un film anomalo, alieni, droga, misteriose sparizioni, avvistamenti, navicelle che decidono di piazzarsi sopra un grattacielo e godersi un soggiorno sul nostro pianeta (anche se non li vediamo mai) tutto questo quasi sempre senza far ricorso all'azione ma lasciando che le cose accadino magari intuendole da un dialogo. A conti fatti l'opera è infarcita di elementi, scene e momenti suggestivi quanto originali, la Manhattan degli anni '80 con tutte quelle mode, gli stili sofisticati e alternativi dei suoi protagonisti, il linguaggio ricercato, il clima alternativo e mezzo anarchico e poi alcune suggestive musiche elettroniche che riescono in più casi a creare quell'atmosfera di cui il film in alcuni momenti sente il bisogno.
Strano, anomalo, indipendente, un precursore per tanti film a venire che non starò ad elencare.
Mi ha ricordato molto nel come viene scandita la recitazione i film di Paul Morrissey e le opere sperimentali di Andy Warhol, quelle poche con i dialoghi per intenderci.
Da un lato Margaret non può avere orgasmi nonostante ci provi in tutti i modi e questo consente all'alieno di poter scegliere soltanto lei e usarla per adescare le vittime e nutrirsi della sostanza generata dal cervello degli eroinomani al momento dell'amplesso. Ora ci troviamo di fronte ad un film ambizioso, molto psicologico per come approfondisce la sua protagonista, per come Margaret si renda conto che quei freak con cui convive e passa le giornate sono degli idioti, di come il successo sia un'arma a doppio taglio, di come tutti cerchino tutti solo di portarsela a letto e avere droga gratis, un dramma interiore sviluppato facendola disilludere su quanto capiti attorno a lei.
Liquid Sky è un film veramente difficile da catalogare, film di questo tipo ne esistono davvero pochi, ha una sua fisionomia che lo rende a tratti irresistibile e in altri momenti qualcosa di allucinato e non sempre chiaro nelle sue ambizioni e intenti , ripetitivo e a volte anche noioso quando assistiamo ai dialoghi a volte privi di senso della galleria di freak.
Un film di stampo femminista girato da un regista russo di origine ebraica trapiantato in America.





giovedì 24 ottobre 2019

Decoder

Titolo: Decoder
Regia: Muscha
Anno: 1984
Paese: Germania
Giudizio: 4/5

FM (componente del gruppo Einsturzende Neubauten) scopre che all’interno della catena di fast-food “H-Burger”, viene diffusa della musica (Muzak) che condiziona fortemente i comportamenti e i gusti dei giovani avventori. Sconcertato, registra e studia le caratteristiche di questa musica ma è solo dopo gli incontri con William Burroughs e i pirati della comunicazione guidati da Genesis P.Orridge, che FM riesce a “decodificarla” e a produrre un “anti-muzak” che induca la gente a ribellarsi al potere. I servizi segreti e la stessa multinazionale degli hamburger iniziano a braccare minacciosamente il fastidioso pirata, il quale nel frattempo diffonde, aiutato dalla sua posse, la “musica della rivolta”, producendo ovunque effetti devastanti per l’ordine e la morale pubblica. E alla fine la rivoluzione…

Il sogno dell’underground è quello di fare la rivoluzione. Si tratti di rivoluzioni violente o pacifiche, concrete o simboliche, collettive o individuali, ogni controcultura nella sua evoluzione, prima o poi, manifesta il desiderio di una trasformazione radicale del vissuto.
Decoder è uno di quei film a cui sono arrivato tardi purtroppo. Un film manifesto molto importante per l'epoca, per la commistione di generi (cyber punk, dramma, un certo tipo di horror) per le tematiche, per lo stile, la forma, le voci, la musica, l'impiego praticamente di qualsiasi maestranza in maniera sperimentale e in alcuni casi precursore di un certo tipo di stile e contro cultura.
Basato approssimativamente sugli scritti di William S. Burroughs, che recita anche nel film, sembra avere diversi elementi in comune con il film di Gillian uscito l'anno successivo BRAZIL, un film anarchico con un'idea originale e una messa in scena molto atipica e interessante. La rivoluzione arriva nell'underground proprio scoprendo una musica che diffonde una strana sinfonia confondendo e condizionando i giovani. Una generazione di nuovo controllata da un governo che sembra dover monitorare usando tutti gli strumenti che possiede ma che solo una parte di noi è in grado di captare, vedere e sgominare.
Il resto come negli incubi cronemberghiani che siano occhiali o come per Palahniuk una nenia, l'obbiettivo è sempre quello di captare un intero progetto di controllo delle menti e dei corpi, un processo ben più ampio, che vuole coinvolgere tutti partendo dai livelli più bassi (l'idea del "H-Burger" è geniale).
Potrebbe essere il film manifesto di ogni complottista sul controllo mediatico e il potere delle multinazionali dove se non altro pone anche qualche base su come è nato il cyber punk, per questo precursore come film, con il sodalizio tra punk e una sottocultura industriale che mixa idee anarchiche e hackeraggio

Mecanix

Titolo: Mecanix
Regia: Rémy M.Larochelle
Anno: 2003
Paese: Canada
Giudizio: 3/5

In un mondo comandato da strane creature, pochi umani sono ancora in vita, ma ridotti in schiavitù. L’unica cosa temuta dalle “macchine” è l’embrione, l’origine di ogni cosa e l’unica cosa che può salvare gli esseri umani.

Mecanix è un mediometraggio molto malato e disturbante di un autore che sembra un braccio di ferro tra Jimmy ScreamerClauz e Flying Lotus, passando per Svankmajer, planando su Fukui strizzando l'occhio a Lynch e facendo ogni tanto tappa occasionale in quel capolavoro totale che è Blood tea and red string
Pochi soldi, tanta immaginazione e inventiva e l'uso sapiente nell'utilizzo dei mezzi, dalla stop-motion, alla fotografia fino alle note dolenti di una musica (se così possiamo chiamarla dal momento che è composta perlopiù da lamenti e voci distorte) disturbante e deleteria, in grado di mettere a dura prova la vostra resistenza parlando di un'opera che dura sessanta intensissimi minuti.
In realtà poi parte della storia e del ritmo sembrano essere come l'automazione e il lavoro in fabbrica, un girotondo caotico, un cerchio infernale dove le creature bio-meccaniche che lo controllano torturano gli ultimi umani rimasti in cerca dell'embrione dell'universo attraverso delle pene in gironi infernali che sembrano ripetersi all'infinito.
Movimenti che ritornano, umani reale che strisciano e creature in stop-motion, l'inferno, la vivisezione e gli esperimenti dello scienziato folle, in tutto questo il vero cuore pulsante dell'opera se per gli umani è l'embrione per i mostri sono gli ingranaggi che mandano avanti il mondo delle creature bio-meccaniche.
Un'opera complessa e molto straziante, che diventa un urlo disperato, un film per pochi, una metafora di dove stiamo andando per criticare un certo tipo di capitalismo ma anche la sovranità di alcuni esseri che pensano di poter fare ciò che vogliono con la massa dei più deboli che non hanno il coraggio di ribellarsi.
In fondo l'opera di Larochelle è pura estetica, si apre a così tante interpretazioni, metafore e altro che seppur un incubo allucinato alla fine lascia molto di più di quelli che non sembra.

martedì 2 luglio 2019

Escape Room


Titolo: Escape Room
Regia: Adam Robitel
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Sei persone di diversa provenienza si vedono recapitare un misterioso pacchetto, che contiene un ancora più misterioso puzzle a forma di cubo. Una volta risolto, questo produce un biglietto d'ingresso per l'esclusivo complesso di escape room della Minos, stanze chiuse da cui si può uscire solo risolvendo un enigma. La Minos, mette inoltre in palio un premio di 10mila dollari per chi riuscirà a venirne a capo. C'è il maniaco delle escape room che parteciperebbe anche gratis, c'è la reduce delle guerre in medio Oriente segnata dalle cicatrici, il ragazzo che non capisce perché sia finito a partecipare, il genio della fisica timida al punto da sfiorare l'autismo, il camionista che teme di essere sostituito in futuro da IA dedicate alla guida e il broker egoista, narcisista e arrogante: chi tra loro sopravvivrà a un gioco molto più mortale del previsto?

Escape Room è uno di quei film fatti a tavolino per sfruttare un'idea nemmeno tanto male.
Siamo in tempi duri per l'horror commerciale dove ogni idea diventa una facile scappatoia per un manipolo di sceneggiatori col fiuto per gli affari e il marketing a discapito di una storia che parte bene ma già dal secondo atto si arena sui dei buchi di sceneggiatura che lei stessa a fatto così tanta fatica a costruirsi.
Un gruppo di persone completamente diverse che per qualche strana e immotivata ragione (questa poi è ridicola) hanno un elemento o un fatto singolare che le rende complici.
Robitel aveva diretto un horror anch'esso commerciale ma indubbiamente interessante con un'atmosfera coinvolgente e un'attrice di tutto rispetto Taking of Deborah Logan.
Un film che parlava di malattia diventando una specie di provocazione ai film sulle possessioni con il risultato che aveva brividi da vendere e un paio di scene davvero inquietanti.
Poi c'è stata la parentesi INSIDIOUS e infine questo ESCAPE ROOM.
L'idea di un thriller con venature horror dove per andare avanti bisogna risolvere intricati indovinelli è interessante e il cinema da questo punto di vista a fatto certamente di meglio (CUBE, Exam, Circle, IDENTITA). Qui dal secondo atto ad esempio è proprio il ritmo a non seguire più una logica. I personaggi sembrano tutti impazziti e dei mezzi geni come McGuyver oppure cercando di essere misteriosi con il risultato opposto, le location cambiano troppo di fretta e non hanno neppure molto senso se non quello di inseguire una linea estetica a cui ultimamente il cinema in mancanza di idee offre così in maniera del tutto gratuita. In più il perchè alla base della scelta delle vittime è da arresto e il climax finale chiude facendo peggio di quanto ci si poteva aspettare. Rimane comunque la mano di un regista che tecnicamente dimostra un certo talento e ripeto anche nel suo esordio aveva dato prova di saper costruire un horror con un'interessante atmosfera. I due film successivi sembrano aver creato quel mestierante al soldo delle major sostituendolo invece con quel'autore ispirato che al suo esordio sembrava dotato di un certo talento.

giovedì 11 aprile 2019

Onyricon


Titolo: Onyricon
Regia: Joe Massot
Anno: 1968
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

La vita del professor Collins è piuttosto grigia e solitaria, perciò quando lo scienziato si accorge che la sua vicina di casa è giovane e graziosa comincia a fantasticare su di lei. Non osa proporle nulla di concreto e si accontenta di imbastire storie incredibili con la propria immaginazione.

Onyricon è un film folle e bizzarro, oggetto d’arte deliziosamente di serie B, figlio di una cultura yippie e in fondo un esercizio di stile di Massot che trovando l'espediente della storia si butta in un caleidoscopico viaggio psichedelico di colori e forme.
Il linguaggio è forse il mezzo più semplice. Sulle note del sitar e di mistici strumenti indiani percossi, soffiati, agitati da un George Harrison ispirato tutto di trip cosmici e sensoriali la fruizione del film prima di tutto passa dall'udito. Anche se sembra ruotare su se stesso (il muro come metafora di una divisione politica e ideologica) il regista inglese cattura alcuni fotogrammi che sembrano riportare alla pop art, al Morrisey dei primi anni, una Jane Birkin che sfoggia tutto il suo fascino e la sua bellezza e un finale dove il nostro scienziato dovrà mettere da parte gli intenti sessuali per salvarle la vita, dal momento che la povera Penny Lane, il nome è profetico come quasi tutte le scelte nel film, incinta è stata abbandonata dal ragazzo e sta pensando di togliersi la vita.
Un film assolutamente da vedere per tutti gli amanti di un movimento psichedelico in cui la cinematografia si è imposta in maniera solida, dando alla luce centinaia di film sorprendenti come questi che seppur non hanno ottenuto successo di critica e pubblico, hanno l'obbiettivo di creare linguaggi, dare vita a forme, fotografia, scenari nuovi e in grado di ampliare il nostro immaginario.

Uuquchiing


Titolo: Uuquchiing
Regia: Kevin Nogues
Anno: 2018
Paese: Francia
Festival: Torino Undergound Cinefest
Giudizio: 3/5

Camille è totalmente smarrito. I giorni sono seguiti da altri giorni in un tempo metronomico, che trascorre tra il suo lavoro in fabbrica e le visite regolari ai suoi nonni. Una sera, mentre sta cenando a casa loro, viene trasportato nel suo futuro, a poche ore di distanza dal presente. Camille, però, non ricorda nulla.

Nogues in sala spiegava che il titolo del suo corto gli era venuto in mente guardando un documentario sulle volpi e la citata sembra essere una delle più rare da vedere.
Più o meno è quello che succede nella vita di Camille.
Provate a immaginare come può essere svegliarsi in un posto senza sapere come ci si è arrivati, vuoti di memoria anticipati da una scossa fastidiosissima (causato da problemi neurologici forse), un padre che sta morendo di Alzheimer e la difficoltà nel non capire cosa sta succedendo nella propria vita. In tutto questo tra un lavoro alienante, una ragazza affascinante e un gruppo di amici che sembrano non prendere sul serio il problema, Camille per non impazzire dovrà prendere una scelta. Poco da dire su un corto realizzato con un incredibile attenzione tecnica, un lavoro sul sonoro in grado di ampliare la sensibilità nostra e di Camille su quanto stia succedendo e in 22' muoversi da una parte all'altra spiazzando e ribaltando luoghi e geografie e rimanendo con un espressione incredula di chi ha paura di svegliarsi magari nel luogo che meno si aspetta o con la paura di poter fare qualche gesto inusitato.


mercoledì 23 gennaio 2019

Felt



Titolo: Felt
Regia: Jason Banker
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Amy è una giovane donna che sta provando a superare sia un trauma passato sia le aggressioni che subisce quotidianamente dagli uomini che la circondano. L’unica via di fuga sono per lei un progetto artistico sempre più scandaloso e degli alter ego che la isolano dai pochi amici rimasti ma che almeno le placano il dolore. L’incontro con Kenny, un ragazzo dolce e premuroso, le darà per un po’ l’illusione di un futuro migliore.

Non ho mai visto così tanti cazzi come in questo film. O meglio uno su cui gravita tutta la storia e su cui si concentra parte del trauma della protagonista.
L’attrice e co-sceneggiatrice sembra abbia riversato nel film la sua esperienza di vita e il suo modo di elaborare il trauma dovuto ad una violenza sessuale avuta in precedenza.
Il mio amore per il cinema indie non finirà mai. Aspettavo, certo non trepidante, il secondo film di Bunker dopo il già recensito Toad Road.
Di nuovo l'incubo e di nuovo l'orrore, qui nella sua quotidianità spostandosi da caverne dove assaggiare droghe sintetiche, a parchi, case sugli alberi e una città dove ormai non si ha più vergogna di nulla.
Bunker racconta l'orrore del mondo giovanile ormai privo di valori e completamente allo sbando. Le azioni e i comportamenti anti sociali di Amy fanno davvero impressione durante la visione diventando al limite dell'eccesso e al confine con ciò che è lecito mostrare.
Bunker avvezzo al genere, regala forma e dimensione con un budget molto ridotto e facendo ricorso a pochi elementi, ma studiati alla perfezione, tantissimi dialoghi che ad una prima impressione sembrano improvvisati ma solo in parte, i diversi e grotteschi costumi di Amy e infine la sua passione per l'arte fetish (ma è azzardato definirla così).
Un film che nell'ultimo atto, il rapporto con Kenny, colpisce meno duro ma Bunker è uno tosto e il finale non potrà che distruggere in senso positivo quanto seminato da Kenny.

lunedì 24 dicembre 2018

Nuraghes – S’arena


Titolo: Nuraghes – S’arena
Regia: Mauro Aragoni
Anno: 2016
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Gli incubi perseguitano Arduè, qualcosa dall’inferno cerca di comunicare con lui. Il ricordo di sua figlia si fa vivo ogni notte e il rimorso per non averla salvata lo tormenta da troppo ormai. Una volta scoperto il nome dell’assassino, il guerriero Arduè, accompagnato dal maestro Bachis, affronta un lungo viaggio per poter partecipare a un segreto e sanguinario torneo in un’arcaica arena di sabbia in mezzo al verde, dove il bronzo si mischia alla carne e gli sciamani reclutano i migliori guerrieri dell’isola. Sarà li che Arduè affronterà ogni singolo combattente per arrivare in cima e sfidare l’uomo che gli ha tolto tutto.

“Nuraghes ci conduce in un viaggio visionario” spiega il regista “che reinterpreta alcune leggende sarde creando però una nuova mitologia. Sulla pellicola mostreremo una Sardegna come non si è mai vista. Il film prende spunto dalle nostre origini, certo, ma non sarà un documentario, non racconterà nel dettaglio la storia della nostra terra. Vogliamo, con questo lavoro, raccontare una nuova mitologia, il declino di un’epoca oscura dove gli uomini possono diventare immortali, dove gli dei esistono e i demoni possono corromperti”.
Il corto diretto da Aragoni fa tanto parlare delle scene nell'arena quando secondo me sono l'elemento più convenzionale e meno interessante della storia.
Il contorno è curioso dove sembra risorgere una mitologia, un folklore popolato da demoni, giganti e guerrieri. Un action fantasy che in 24' riesce a condensare tanti elementi, con uno spirito tamarro alla base che riesce tuttavia a non farlo mai sembrare ridicolo (mi ha ricordato il corto teaser di MORTAL KOMBAT)
Una storia di vendetta caratterizzata da location impressionanti come i nuraghi per quanto pulsano di una potente carica evocativa resa al contempo speciale proprio dai ruderi e dall'archeologia di superficie.



Ant Head


Titolo: Ant Head
Regia: David Lynch
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

David Lynch. Dopo la terza stagione di TWIN PEAKS sembra che l'unica passione a parte il cinema sia la musica con le collaborazioni con il compositore Angelo Badalamenti.
In tutto questo si ritaglia però un suo personale continuum legato alla sperimentazione in particolare legata ai cortometraggi.
Ant Head è l'ultima "malata", complessa e delirante opera che ci mostra per tredici minuti un pezzo di formaggio tutto in bianco e nero divorato da alcune instancabili formiche.
Per sua stessa ammissione «un video corto con le mie amiche formiche con del formaggio, etc..»
in cui a fare da sfondo alle immagini, due brani altamente disturbanti anch'essi, tratti dall'album Thought Gang.
Che dire. Un altro parto malato, una camera fissa che sembra avere l'unico scopo di comunicare sensazioni disturbanti ponendosi come un prodotto audiovisivo con l'unico intento di comunicare sensazioni, emozioni diverse e reazioni molteplici.
A mio avviso uno dei lavori meno interessanti dell'artista che ha saputo regalare soprattutto con il cinema, un nuovo linguaggio e una filmografia che a distanza di anni, riesce ad essere sempre più innovativa e ricca di sfumature e significati nascosti.


domenica 9 dicembre 2018

One i love


Titolo: One i love
Regia: Charlie McDowell
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Ethan e Sophie non sono una coppia felicissima, perché lui una volta l’ha tradita; ma ce la mettono tutta per ricostruire il loro rapporto: per questo vanno da uno strano psicologo, che non trova di meglio che spedirli in una villa isolata per un rigenerante weekend.
Inutile dire che ci sarà ben poco di rigenerante, e che la villa isolata è l’archetipo cinematografico dei guai paranormali. Nello specifico: un altro Ethan, un’altra Sophie.

One i love è l'ennesima dimostrazione che si possono girare dei bei film con un budget limitato e con una storia interessante e abbastanza originale senza dimenticare due attori affiatati.
Cosa fareste se per risolvere i vostri problemi coniugali aveste la possibilità di andare nella casa di fronte e trovare un sosia del vostro partner ma più divertente ed energico nel sesso? ( ovviamente vale sia per l'uno che per l'altra) E se poi questa fatidica coppia decidesse di incontrarvi per parlare dei vostri problemi in uno strano menage?
Diciamo che McDowell la gioca sporca e il climax finale del film come altri macro dubbi sappiate che non vuole rivelarli (un particolare che i registi devono saper sfruttare molto bene).
Potete scervellarvi in ambito psicologico magari cercando di riflettere sul dialogo iniziale, oppure potrete fare tutte le considerazioni possibili e anche in quel caso non avrete risolto il mistero perchè in fondo è proprio nel non rivelare che il film riesce a trasmettere quell'ansia e quell'atmosfera restando comunque perfettamente bilanciato fra il lato divertente, ironico e quello misteriosamente inquietante.
Una commedia psicologica con riferimenti fantascientifici e una buona coppia di attori. Praticamente tutto girato in un'unica location.


sabato 10 novembre 2018

Invocation of my demon brother


Titolo: Invocation of my demon brother
Regia: Kenneth Anger
Anno: 1969
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Cortometraggio sperimentale sull'immaginario omoerotico. Contiene alcune scene di performances dei Rolling Stones

Anger da sempre ha cercato di imporsi con una sua precisa e sperimentale idea di cinema.
O meglio una sorta di arte delirante e ossessiva che sembra essere la nota costante della maggior parte dei suoi cortometraggi, con il compito di impressionare, provocare e perchè no, buttare pure qualche seme trattando la magia nera e l'occultismo come tratterebbe Andy Warhol la nuova pubblicità del 21°secolo.
Il risultato ancora una volta mostra gli sforzi, l'eccesso e a volte la deriva attraverso cui l'artista cerca di dare forma ai suoi demoni personali investendoli e caricandoli di significato per impressionare il pubblico come in questo caso Lucifero e Sua Satanica Maestà.
Da sempre fan e succubo di Aleister Crowley che cita e omaggia in diversi lavori, cerca ancora una volta nel suo linguaggio sperimentale, quella misteriosa simbologia esoterica appartenuta al Gran Maestro. In 12' è concentrato tutto il suo universo che mescola musica, Rolling Stones, religione magica, il fondatore della Chiesa di Satana californiana Anton LaVey e il criminale Bobby Beausoleil, complice del pluriomicida americano Charles Manson.
Il corto in sè seppur con un ritmo incredibile e alcuni suoni e mescolanze suggestive soffre come spesso accade nei lavori di Anger di essere troppo confusionario.
Anger appare nei panni di un officiante chiaramente ispirato ad Aleister Crowley




giovedì 18 ottobre 2018

Nights eats the world


Titolo: Nights eats the world
Regia: Dominique Rocher
Anno: 2018
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Sam si sveglia una mattina e si ritrova a vivere in un incubo: un esercito di zombie ha invaso le strade di Parigi e lui è l'unico sopravvissuto. Mentre contempla il suo triste futuro e come sopravvivere, apprende che potrebbe non essere l'unico sopravvissuto in città.

Il sotto filone horror sugli zombie o gli zombie movie sono ormai abbastanza abusati, per alcuni un fenomeno fatto e finito, per me fonte inesauribile di idee purchè scritte bene e con tante metafore ancora da scandagliare.
Bisogna ammettere che nonostante tutto negli ultimi anni qualche eccezione c'è stata confermando come per altri sotto filoni, di come alla fine siano sempre le storie e la realizzazione a renderle forti e interessanti.
Dicevo appunto che qualche caso c'è stato come Night of the something strange o Les Affames o ancora bisogna andare in Oriente.
I francesi di solito hanno la fama di essere abbastanza originali e spesso e volentieri sanno spiazzare senza lesinare sullo splatter o sul gore.
La ricerca di Rocher è partita da un assunto piuttosto discutibile, ma interessante, ovvero quello di limitare l'uso dei mezzi e di ogni sorta di atmosfera accattivante o di ritmo frenetico.
Nel film molte scene sembrano essere pensate e studiate quando invece sono dei topoi di non sense eppure questa continua prolissità del film e delle azioni wtf di Sam creano degli assurdi così grossi che tutto il film assume intenti che non ci è mai dato di sapere, salvo la sopravvivenza come macro tema, da sempre di questo genere.
La minaccia zombie o meglio di un'invasione è pressochè assente o inesistente come se a deciderlo fosse proprio il protagonista a partire dal suo palazzo o dall'ascensore dove uno di questi è nascosto.
Diciamo che anche i co protagonisti non aiutano molto anzi disorientano ancora di più su quali scelte intraprendere
Un film che non mi è dispiaciuto, è strano, a tratti bizzarro, ma si chiama fuori da tutti i film di recente sul filone che invece sono inclini agli inseguimenti, le lotte e la violenza.