Visualizzazione post con etichetta Muere monstruo muere. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Muere monstruo muere. Mostra tutti i post

lunedì 20 aprile 2020

Muere monstruo muere


Titolo: Muere monstruo muere
Regia: Alejandro Fadel
Anno: 2018
Paese: Argentina
Giudizio: 3/5

L'ufficiale di polizia rurale Cruz indaga su di caso inquitante: un corpo di una donna è stato trovato senza testa in una regione remota dalle Ande. David, il marito dell'amante di Cruz, Francisca, diventa il primo sospettato e viene mandato in un ospedale psichiatrico locale. David incolpa un "Mostro" del crimine dall'aspetto inspiegabile e brutale. Cruz, nel frattempo, incappa in una misteriosa teoria che coinvolge paesaggi geometrici, motociclisti di montagna e una voce interiore, ossessionante, che si ripete come un mantra: "Muori, mostri, muori"...

Muere monstruo muere è un film ipnotico quanto surreale, folle e ambizioso. Una metafora sul femminicidio, un poliziesco, quasi un noir o un thriller fantastico. Una creatura (in Animatronic in assoluto la cosa più bella della pellicola come i paesaggi) si aggira per le Ande argentine (fotografate magnificamente) avendo una sorta di base in una grotta sotterranea, comparendo in piccoli e sperduti villaggi strozzando e decapitando le sue vittime lasciando morsi di denti innaturali e una strana sostanza verde/giallognola vischiosa che sembra interessare tutti finendo manco a farlo apposta con la voglia di annusarla e infine assaggiarla.
Il capro espiatorio, la vittima sacrificale scelgono non a caso il diverso, colui che simboleggia una sorta di ignaro succube per il mostro che sembra lasciargli una nenia in testa in un loop che lo lascia ammutolito e inerme condannato alle forze dell'ordine.
Come per Untamed-Regiòn salvaje il film mescola sogno e delirio, realtà e incubo, con diverse follie sessuali che se nel film della Escalante erano rappresentate da una sorta di ibrido tentacolare sci fi metafisico, una creatura aliena, qui è più o meno lo stesso soltanto che il mostro sembra una sorta di Jabba the hutt con fattezze antropomorfe e una testa senza occhi con al posto della bocca un enorme vagina dentata e come coda una lunga prominenza capace di allungarsi all’occorrenza, che finisce in un’equivocabile riproduzione dell’organo maschile.
Pur avendo una trama stratificata e che nell’ultimo atto diventa complessa e difficile da analizzare, il film ha proprio lo scopo nel suo muoversi lento e con gesti ed espressioni quasi minimali di proiettarci in un universo risolutamente allucinatorio, fatto da meandri mentali da cui sarebbe futile cercare l’uscita dove si perpetuano una volta che l’indagine sulle decapitazioni di massa femminili, che è il filo conduttore di questo labirinto atmosferico e psichico, trova una fine.