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martedì 2 dicembre 2014

Starred Up

Titolo: Starred Up
Regia: David Mackenzie
Anno: 2013
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5

Eric è un diciottenne recluso in una casa di correzione, dovendo scontare una pena comminata in seguito ad alcuni episodi di piccola delinquenza. Anche dietro le sbarre non riesce a controllare il suo carattere violento e indisciplinato Quindi viene sottoposto a varie punizioni e, infine, a una misura raramente applicata in Gran Bretagna: il trasferimento in un carcere per adulti. Succede che venga internato nello stesso stabilimento penale dove è rinchiuso anche suo padre. In breve la relazione tra figlio e genitore, che anche in passato era stata difficile, diventa ancora più complicata. Finché un giorno un terapista comportamentale, che svolge servizio volontario nella prigione, prende contatto con Eric. Il giovane, pur inizialmente restio, poco a poco si inserisce in un gruppo di discussione con altri detenuti. E quindi accetta di condurre una revisione critica della propria vita e delle proprie azioni.

Il duo Mackenzie O'Connell funziona egregiamente in questa sofferta analisi di un multiproblematico rapporto padre-figlio tra i muri della prigione.
Infatti ritrovarsi tra le stesse mura per i due innesca in entrambi, il giovane ribelle ed incontenibile, il padre più calmo ma non meno letale, sentimenti antitetici che spaziano dal desiderio di ristabilire le basi minime per una ricostituzione di un dialogo, alla rivendicazione di vecchi torti subiti o rimorsi per comportamenti od omissioni giudicati imperdonabili come gli abusi nel caso di Eric.
Senza concedere inutili scene sentimentali, qualcuna c'è ma doverosa è mai gratuita, il regista ci mostra subito questo ragazzo e la sua visione del mondo senza stare a soffermarsi su flashback o dialoghi ridondanti ma arrivando invece subito al cuore caldo della vicenda.
Diciamo che il mio giudizio prende tanto in esame il finale del film, purtroppo la parte più telefonata e meno interessante della storia, ma che alla fine mostra senza abbassare i toni, una redenzione che passa attraverso la paura e la forza come strumenti e veicoli su cui misurare la propria identità in un ambiente sociale sempre più terribile e pericoloso.
In alcune scene mi sembrava di rivedere BRONSON come in altre IN THE NAME OF THE FATHER per l'aria che tira in prigione e per la maniera tutt'altro che commerciale o paternalistica con cui Mackenzie da tono e spessore alla vicenda.
Il contributo maggiore del film comunque è legato all'ottima sceneggiatura ad opera del debuttante Jonathan Asser che si è ispirato alla propria personale esperienza di educatore a contatto con i criminali che scontano pene presso il carcere britannico di Wandsworth. La scrittura appare autentica e credibile nel descrivere, senza ipocrisie e moralismi, la particolare condizione psicologica e i comportamenti dei reclusi. Infatti non sorprende che una delle parti più interessanti del film sia proprio il rapporto tra l'educatore ed Eric.