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mercoledì 19 novembre 2014

Why don't you play in hell

Titolo: Why don't you play in hell?
Regia: Sion Sono
Anno: 2013
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

Muto e Ikegami sono due gangster che si odiano ma Ikegami è innamorato di Michicko, la figlia attrice di Muto che la madre Shizue vorrebbe vedere apparire in un film. Dopo essere stato scambiato per un regista, il giovane cinefilo Koji chiede al regista indipendente Hirata di scegliere Michiko come protagonista del suo prossimo lavoro ma la situazione prende presto una piega sbagliata.

"Io stesso non credo di capire perfettamente il cinema. Sto ancora cercando di capire cos'è"
Un film totale in tutti i sensi. Forse una delle più grandi sorprese di questi ultimi anni.
Nell'universo di Siono a farla di certo da padrone sono le contaminazioni tra i generi di cui questo film ne è sicuramente un esempio lampante nella sua efficacia e nel suo concetto di Metacinema.
L'opera anarchica dell'outsider giapponese è interpretabile sotto diversi punti di vista.
A partire dalla critica verso le grosse produzioni che con i loro effetti speciali stanno distruggendo il cinema, alle stesse tecniche accomodanti e a volte prepotentemente estetiche (e qui nel calderone ci butta dentro tutti) facendole convergere in un'unica location che sarà anche lo spazio stretto nel quale far detonare tutte le sue voglie e bizzarrie cinematografiche.
In più non si capisce bene se strizza l'occhio o si è stufato del fatto che spesso e volentieri le produzioni occidentali colgano nell'Oriente solo gli aspetti kitchs.
Il 37° film dell'autore giapponese entra di petto dentro gli stessi cardini del soggetto e della sceneggiatura, diventando un motore di propulsione verso il futuro della settima arte, un lungometraggio saturo, in continua deflagrazione cinematografica, sempre dinamico e fuori controllo.
Sono, come i Fuck Bombers, sono in fondo tutti decisi a spingersi ben oltre per realizzare la loro opera d’arte, anche se ciò comporta stringere patti con la yakuza e gettarsi, cinepresa alla mano, in mezzo a sanguinolente battaglie all’arma bianca.
Allo stesso tempo il film ha un ritmo e un gioco a incastro davvero intricato in cui ancora una volta tutti i personaggi riescono ad essere incredibilmente caratterizzati e ognuno di loro assolve una precisa funzione.
Wdypih è un film corale, strutturato sovrapponendo i classici due piani temporali di certi film a tema criminale e connotandolo con tutti gli eccessi che gli passano per la testa diventando e immergendosi nel pieno exploit delirante, dove a farla da padrone è il rosso del sangue che copioso copre buona parte delle inquadrature.
Al di là del fatto che Sono riprende un copione di quindici anni prima, sembra in questa allucinata pellicola, divertirsi come non mai in un divertissement su decenni di cinema action, nipponico innanzitutto, come gli yakuza eiga di Fukasaku Kinji, esplicitamente citati nei dialoghi, o il visionario Suzuki Seijun, di cui Sono Sion riprende l'uso dei colori primari accecanti (la sequenza della bambina che torna a casa e trova un lago di sangue su tutte) o ancora l'eccesso grandguignol delle produzioni Sushi Typhoon di oggi.
"Sono il Dio del cinema"dice uno dei protagonisti durante il film e Sono scherzando, si conferma come uno dei più eversivi, innovativi, inteligenti e coraggiosi autori moderni.