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martedì 9 giugno 2015

Bedevilled

Titolo: Bedevilled
Regia: Cheol-soo Jang
Anno: 2010
Paese: Corea del Sud
Giudizio: 3/5

Per fronteggiare una forte crisi depressiva, Hae-won decide di andare a trovare un'amica dell'infanzia, Bok-nam, che vive a Mundo, una desolata isola sperduta a sud di Seoul. Là troverà una comunità maschilista che sfrutta la debolezza fisica delle donne per usurparle e ridurle a vittime incapaci di ribellarsi. La convivenza tra le due donne viene così inframmezzata da momenti di serenità, dove i ricordi del passato portano nuova energia al presente, a scene di violenza inaudita. Quando Bok-nam sospetta il marito di violentare la figlioletta, tenta di scappare dall'isola assieme a lei ma il marito se ne accorge e riempie di botte entrambe. Così tanto da uccidere la bambina e da lasciare moribonda la moglie. A quel punto, dopo l'ennesimo sopruso psicologico, Bok-nam decide di vendicarsi eliminando tutti gli artefici della sua sofferenza.

Bisogna ammettere che i coreani in fatto di fotografia e compostezza delle immagini nonchè sulla scelta delle inquadrature continuano a fare passi da gigante.
L'opera prima dell'assistente alla regia di Kim Ki-duk parte davvero molto bene inquadrando Seul con tutti i suoi limiti e difetti, un microcosmo in fondo alla deriva, per poi spostarsi su un'isola affascinante e già da subito inquietante.
E'un film di opposti.
Vendetta/Remissione, Città/Campagna, Paura/Audacia, quello in cui ancora una volta ad esplodere forte e senza effetti melensi, è il tema abusato ma che fa sempre presa: la vendetta.
Un'ingiustizia atavica quella che si nasconde nel maschilismo patriarcale della società coreana dentro e fuori le città, sparsa in tutti i luoghi rurali e guidato da tremende leggi arcaiche.
Se la prima parte esplora e indaga i soprusi quotidiani e mischia diversi target generazionali per sottolinerare la normalità di alcuni assurdi, è la seconda parte che purtroppo si trasforma in un crudo e grezzo revenge movie femminista, cosparso di sangue e nel climax finale di alcuni buchi di sceneggiatura esplodendo in un piccolo vuoto che davvero, amando il genere, non mi aspettavo.
Il film di Chul-soo Jang è un profondo incubo, psicologico prima e fisico dopo.

Quello psicologico però affascina, è dichiaratamente debitore di Ki-duk su alcune scelte e particolarità, è intenso, violento, ma allo stesso tempo necessario per cercare le cause attraverso cui tutto sembra ricadere su Bok-nam, un'isola prigione che rende estremo ogni rapporto umano e in cui gli stupri e la pedofilia non vengono condannati ma accettate come pratiche comuni.