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lunedì 9 agosto 2021

Pool (2018)


Titolo: Pool (2018)
Regia: Ping Lumpraploeng
Anno: 2018
Paese: Thailandia
Giudizio: 2/5

Day, un art director insicuro e sottopagato, ha appena finito di girare una pubblicità in una piscina olimpionica deserta. Incaricato della pulizia e dello svuotamento della vasca profonda sei metri, prima di cominciare vuole godersi il silenzio e la tranquillità del posto. Senza pensarci molto su, si addormenta su un materassino. Poco dopo, si risveglia con una spiacevole sorpresa: qualcuno ha già svuotato la vasca e lui non può uscire. Per di più, è senza le sue siringhe di insulina. Come se non bastasse, un alligatore è nelle vicinanze.
 
The Pool è un film ambizioso per un paese che in quegli anni si è fatto avanti con diverse pellicole prevalentemente legate all'horror, al soprannaturale e al poliziesco. Un b movie di qualità, un film di fatto girato in un'unica location, la piscina appunto, dove ad un certo punto cominciano delle fasi di gestazione legate alla produzione e alla sceneggiatura che devastano quanto di buono il film lasciava presagire dopo il primo atto. Troppa carne al fuoco, un alligatore che diventa secondario in più punti. Una lotta contro le proprie ambizioni, un cane messo in scena così male che nella scena in cui muore si vede il costume indossato dallo stuntman. Una serie di trovate sempre più esasperate che sfociano in una scena di totale non sense quando il protagonista e la sua compagna, rimasti intrappolati nella piscina vuota, decidono di mangiare le uova dell'alligatore facendolo incazzare ancora di più (perchè in fondo l'alligatore non era cattivo ma voleva salvare i suoi cuccioli). Dopo una svolta narrativa di questo tipo non si può che fare il tifo per la bestia e sperare che la coppia muoia male nonostante lei sia incinta

sabato 23 novembre 2019

Meat Grinder


Titolo: Meat Grinder
Regia: Tiwa Moeithaisong
Anno: 2009
Paese: Thailandia
Giudizio: 3/5

Buss è una signora ridotta al lastrico e tormentata di continuo da un passato difficile: in seguito a una manifestazione poi sedata dalla polizia, la donna trova in un angolo nascosto del suo locale un uomo morto. Una volta fatto a pezzi il cadavere e macinato, Buss lo cucina e lo serve ai suoi clienti, con risultati sorprendenti che però la obbligano a cercare vittime fresche per portare avanti il suo nuovo business culinario.

Meat Grinder come Dumplings e altri film orientali ci ricordano come i nostri parenti lontani sappiano essere cruenti in maniere a volte a noi sconosciute, infrangendo tabù, sovvertendo le regole, distruggendo il lecito e approfondendo il proibito, annegando bimbi in bacinelle d'acqua, torture come non si vedevano da tempo e tanta carne umana da sfondo e da usare come portate per i commensali ovviamente all'oscuro di tutto in un tripudio di sangue e violenza davvero d'effetto.
Senza essere mai eccessivamente forzato come invece altri film e registi sanno essere, Meat Grinder cerca la sua vena salvifica nel dramma famigliare, nella povertà, negli stratagemmi per sopravvivere, nell'isolamento e nella solitudine, nei silenzi e nella quotidianità degli orrori ormai divenuti una componente della vita reale e perciò accettati.
La Thailandia ha vissuto un suo piccolo momento idilliaco nel cinema, sapendo giostrarsi alcuni film interessanti per poi abbandonare la nave mettendo da parte la settima arte se non con horror adolescenziali abbastanza avvilenti.
Qui non c'è humour ma il livello di gore è furibondo come la maschera della sua protagonista sempre sull'orlo dell'esasperazione è costretta a vivere a stretto contatto con gli incubi dell'infanzia, l'incesto, le molestie, gli abusi e poi un rapporto strano, perverso e complesso con la figura maschile.
Buss è perfino più violenta di Dae-su Oh, ormai sembra aver abbandonato la vita reale destinata a portare a termine una vita di orrori indicibili dove ormai sembra aver azzerato ogni emozione e sentimento, diventando una sorta di automa che tortura, uccide e sacrifica per sopravvivere senza stare a dare altri sensi come l'orgoglio, la vendetta, il piacere personale.
Buss uccide e basta, guardando le vittime dopo avergli mozzato gli arti, vedendoli sanguinare appesi ad una corda senza battere ciglio per poi forse provare un minimo senso di orgoglio nelle facce dei commensali quando si cibano dei resti umani.
Meat Grinder è viscerale, pieno di sangue, di frattaglie, pieno di liquidi e di sangue, mostrando crudeltà senza fronzoli e soprattutto riesce nel difficilissimo compito di farci provare empatia per Buss giustificando le orribili mattanze dopo quello che le è stato inflitto.




martedì 30 aprile 2019

Ong Bak 2


Titolo: Ong Bak 2
Regia: Panna Rittikrai
Anno: Thailandia
Paese: 2008
Giudizio: 2/5

Thailandia, XV secolo: Lord Sihadecho e sua moglie sono uccisi durante un ammutinamento. Loro figlio, il piccolo Tien, riesce a sfuggire, ma è catturato da alcuni mercanti di schiavi. Quando cerca di ribellarsi, viene gettato in una pozza con un coccodrillo, contro cui è costretto a combattere per il solo divertimento dei ricchi. Il suo coraggio e l’intervento di Chernang, capo dei banditi della Scogliera dell’Ala di Garuda, lo sottraggono a morte certa. Sotto la protezione del formidabile guerriero, Tien sarà allevato per conoscere tutti gli stili di arti marziali: il kung fu cinese, il ninjitsu e l’arte della spada giapponesi, il muay thai tailandese. Una volta cresciuto, partirà alla ricerca degli assassini dei genitori…

Ong Bak è stata una saga di tre capitoli abbastanza interessante per farci scoprire uno stunt man come Tony Jaa e un certo tipo di cinema di arti marziali orientali. Soprattutto per il cinema thailandese questo genere rappresenta un'importante risorsa economica tale da renderlo epico il più possibile come il sequel in questione.
C'è una certa storicità in questo capitolo che lascia perlomeno sgomenti soprattutto sul taglio amatoriale con il quale pathos e cast seppur abbiano cercato di darsi da fare falliscono miseramente.
Dal punto di vista tecnico, la scenografia e il lavoro di attrezzistica rimangono forse gli aspetti migliori contando le scene d'azione e soprattutto le acrobazie che qui crescono a dismisura rispetto al precedente capitolo, anche perchè tutta la vicenda è ambientata nei paesini thailandesi a dispetto di location molto più moderne come poteva apparire Bangkok.
Tony Jaa ( a dimostrazione di quanto un attore povero appena conosca il successo perda la testa) ha fatto capricci da star, ha gonfiato il budget, si è fatto prendere da gravi crolli nervosi, ha minacciato ricatti, è addirittura scappato scomparendo nella giungla per poi ritornare, piangere in TV, e infine riuscire a concludere il tutto con l’aiuto di Panna Rittikrai, suo mentore, già sceneggiatore e coreografo del primo Ong Bak e regista dello spettacolare Born to fight


mercoledì 15 febbraio 2017

Mechanic Resurrection

Titolo: Mechanic Resurrection
Regia: Dennis Gansel
Anno: 2016
Paese: Thailandia
Giudizio: 3/5

Arthur Bishop, uno dei sicari più esperti nell'uccidere facendo sembrare le morti accidentali, ha deciso di mettersi a riposo. Benché abbia rifiutato una richiesta di ingaggio, viene costretto ad accettare nel momento in cui la donna di cui si è innamorato viene sequestrata. Dovrà compiere tre omicidi se vuole sperare di rivederla viva.

E'stato davvero un colpo leggere Gansel come regista per un sequel di un film con Jason Statham. L'autore tedesco è colui che ha portato sul grande schermo L'ONDA e WE ARE THE NIGHT un film di vampiri al femminile davvero ben fatto e violento.
Quindi fa strano vederlo dirigere un fisic du role che recita con la mascella cercando di essere carismatico e interpretando film d'azione tutti uguali fatti con lo stampino.
E nonostante tutto come sequel "Resurrrection" non aggiunge molto, inserisce Jessica Alba a fare quello che le riesce meglio e Tommy Lee Jones a fare la marionetta in una performance simpatica e nulla più. Certo a livello tecnico si vede la differenza e il film a parte le esagerazioni, che superano il primo capitolo, si avvale di scene pirotecniche e funamboliche divertenti quanto impossibili puntando sul dinamismo, gli scontri a fuoco e passando dai tetti di Rio de Janeiro, nel prologo in cui il nostro si lancia su un deltaplano per sfuggire ai nemici, passando per il carcere malesiano, i grattacieli di Sidney e infine la roccaforte bulgara compiendo missioni diverse e sempre più pericolose a metà tra MISSION IMPOSSIBLE e OCEAN'S ELEVEN
Un divertissement senza un minimo di complessità, il rapporto e il confronto psicologico tra mentore e discepolo del primo capitolo qui non esiste e il contributo dell'amica thailandese del nostro "eroe" è abbastanza noioso e ridondante quasi quanto gli intenti del nemico di turno per costringere Bishop a fare i colpi.


martedì 14 febbraio 2017

Headshot

Titolo: Headshot
Regia: Pen-Ek Ratanaruang
Anno: 2011
Paese: Thailandia
Giudizio: 3/5

Tul sta per vedere il suo mondo distrutto. Gli è stato inviato un pacchetto di foto e di dati, che esamina e poi mette via tempestivamente, dentro il trituratore. Si rade la testa, indossa le vesti di un monaco, e si apposta nella tenuta appartenente all'uomo della foto. Poi, prende una pistola e spara un proiettile nel collo dell'uomo. Altri colpi vengono sparati, e uno di loro finisce nella testa di Tul. Tutto diventa nero. Quando si sveglia tre mesi dopo, tutto è invertito e lui si ritrova dalla parte opposta. È un danno cerebrale bizzarro, o una qualche forma di contrappasso karmico?

Pen-Ek Ratanaruang è uno stranissimo outsider thailandese. Il suo cinema ancora adesso non credo di aver capito dove voglia e che traiettoria voglia prendere, ma nel suo complesso e indecifrabile cammino, ho potuto ammirare alcuni suoi film sconosciuti senza mai aver avuto una benchè minima distribuzione.
LAST LIFE IN THE UNIVERSE era un buon traguardo anche se l'autore ha fatto di meglio con il successivo INVISIBLE WAVERS sempre con il suo attore feticcio Tadanobu Asano.
In Headshot cambia di nuovo tutto. Regole, scenario, genere, creando un concentrato che abbraccia crime-movie, indagine poliziesca, arti marziali, noire, una specie di tecnica che più volte richiama il mockumentary e altri segmenti già visti e altri no, oscillando tra il dramma intimista e il thriller anfetaminico.
Un film strano e anomalo che ho trovato spesso fine a se stesso e autocelebrativo a differenza di altre opere dove la narrazione e la trama avevano un'intensità maggiore.
E'un thriller cupo e disilluso che mostra triangolazioni, corruttori, un paese marcio minato alla base da una corruzione inestirpabile. Il regista ancora una volta punta sul fascino nel non detto, nell’inspiegabile serie di obbiettivi e problematiche che Tul si ritroverà ad affrontare dal momento in cui la sua vita viene stravolta e capovolta, decidendo di passare dall'altra parte criticando fortemente un sistema che divide nettamente la categoria buoni e cattivi, che continua un discorso sul revenge-movie e sembra voler ribadire che se la giustizia non aiuta, allora Tul da poliziotto può trasformarsi in un sicario per conto di un organizzazione segreta. Amen


mercoledì 3 dicembre 2014

Protector 2

Titolo: Protector 2
Regia: Prachya Pinkaew
Anno: 2013
Paese: Thailandia
Giudizio: 2/5

La Thailandia è sede dell'incontro di pace tra i presidenti di Katana Ovest e Est, Paesi che combattono tra loro una guerra sanguinosa. L'evento manda in fibrillazione il mondo della malavita, in particolare il boss Mr LC, che progetta un piano diabolico che coinvolge l'elefante sacro protetto da Kham.

Pinkaew come tutte le macchine per fare soldi ottiene ancora più danari dalle produzioni rimischiando nel calderone magico degli stereotipi thailandesi, in campo di cinema di arti marziali, quello che aveva già filmato e mostrato nei precedenti titoli, peraltro quasi tutti uguali.
Protector 2 non convince da nessun punto di vista, banalmente l'uso e il ricorso alla CGI e al 3D mostra ancora una volta quanto questo stratagemma venga sempre più mosso da scopi puramente commerciali, oltre che all'aborrito wire work, si avvale di una post-produzione qualitativamente imbarazzante, finendo per svuotare di pathos le scene action e allontanare ancor di più Jaa dall'iperrealismo di Uwais, anziché avvicinarsi a lui.

martedì 2 dicembre 2014

Protector

Titolo: Protector
Regia: Prachya Pinkaew
Anno: 2005
Paese: Thailandia
Giudizio: 2/5

Mai rubare gli elefanti a un esperto di arti marziali, le conseguenze potrebbero essere terribili. La storia di The Protector racconta l'impresa di Kham, giovane combattente alla ricerca dei suoi elefanti, destinati al Re della Thailandia, ma rubati da un gruppo di criminali che, per ottenerli, hanno anche sparato a suo padre. Per recuperare i due esemplari, che Kham tratta come fossero membri di famiglia, il giovane dovrà arrivare fino in Australia

Ritorna Tony Jaa diretto dallo stesso regista del notevole ONG BAK, film che ha portato fama internazionale all'attore facendo scoprire le sue incredibili doti e portando l'attenzione generale del cinema di genere sull'action thailandese quasi sconosciuto.
Ora il problema di The Protector è proprio quello di insistere su alcuni clichè della cinematografia di arti marziali che poco aggiungono alla banale struttura che niente aggiunge alla trama.
In questo caso come anche nella saga precedente, si ritorna all'elefante, come pretesto dal momento che in Thailandia gode di enorme prestigio ed è un animale sacro. Pinkaew proprio avendo un budget alto, un buon cast, commette proprio quegli errori che non dovrebbe ripetendo come in un copia/incolla, le stesse regole e struttura del suo cinema, senza osare o puntare su nulla che non sia già stato detto.
Un peccato soprattutto quando anche i combattimenti sanno di già visto.

domenica 29 settembre 2013

Bangkok Loco

Titolo: Bangkok Loco
Regia: Pornchai Hongrattanaporn
Anno: 2004
Paese: Thailandia
Giudizio: 3/5

Bay è un formidabile batterista, depositario della sacra arte del "Tamburo di Dio", tramandatagli dal proprio maestro prima che venisse sconfitto da Ringo Starr, a sua volta depositario della sacra arte del "Tamburo del Diavolo", in un duello di batteria all'ultima rullata. A pochi giorni dal proprio primo concerto ufficiale, Bay viene accusato di omicidio ed è ricercato dalla polizia. In più, in giro corre voce che ci sia un tale di origine olandese, a suo tempo istruito da Ringo Starr, pronto a sfidare Bay in un duello tra le due discipline di drumming

Bangkok Loco fa parte di un periodo molto fertile del cinema dnotomista in cui si sperimentava parecchio e questo film ne è una prova evidente.
Bizzarro, demenziale, ma spesso composto di un umorismo efficace, per un certo senso potrebbe essere paragonato contando che è uscito due anni prima, del film TENACIOUS D E IL DESTINO DEL ROCK. Soprattutto nel passato dei due protagonisti, quando da bambini furono mandati in un tempio ad imparare l’arte della batteria divina al fine di combattere ogni 10 anni nella sfida tra il batterista di Dio e quello del Maligno.
Qui le intuizioni sono gli elementi a fare da padroni in una pellicola coloratissima dotata per certi versi di una follia arcobalenica e cromatica, e all’ironia che scivola dalla geniale/surreale spesso presente in film del genere.
Il film sembra non voler terinare mai il suo continuum di elementi a volte grotteschi e weird, prosegue con assoli di batteria che si trasformano in massacri da macelleria a colpi di mannaia, fughe in mezzo a ragazze in bikini che lavano le automobili e gemelle siamesi in divisa che raccolgono escrementi dalla strada.
Ovviamente va preso per quello che è. Bisogna dimenticare quando ci si avvicina a queste contaminazioni di generei, il nostro cinema europeo o quello americano, avvicinandosi per certi aspetti più ad un concetto bollywoodiano per dare un'idea.


lunedì 30 luglio 2012

Bangkok Adrenaline


Titolo: Bangkok Adrenaline
Regia: Ron Smoorenburg
Anno: 2009
Paese: Thailandia
Giudizio: 2/5

Quattro ragazzi arrivati da poco in Thailandia si trovano in debito con un gangster locale.
Nel disperato tentativo di salvarsi rapiscono un bellissima ereditiera per ottenere un riscatto.
Ma scoprono che invece l’hanno salvata da un tentativo di omicidio architettato dal padre di lei, che metterà sulle loro tracce un'armata di assassini che loro saranno costretti a combattere

L’ultima tamarrata in stile thai confezionata da alcuni amanti del genere, è un prodotto manifatturiero e ci pensa su due volte prima di prendersi sul serio.
Essendo il tipico esempio di cinema americano trasportato in oriente, si discosta di netto dalla nutrita filmografia di genere degli ultimi film ambientati in Thailandia sulla tematica delle arti marziali.
In questo caso si ride, i dialoghi evidenziano gli interessi del popolo yankee verso il divertimento spiccio e la storia è un super-pretesto per arrivare quasi subito a puntare tutto sull’azione senza troppi convenevoli.
Se non contiamo gli assurdi della sceneggiatura (il boss iniziale e la cifra abnorme che perdono al gioco, solo per fare un esempio) fino al cambiamento drastico di storia che dopo il secondo atto devia di netto dagli intenti iniziali.
Per quanto Smoorenburg si sia sforzato e abbia cercato alcune soluzione, solo alle volte brillanti, il risultato non basta, e dopo il rapimento tutta la serietà svanisce come una bolla di fumo.

martedì 27 marzo 2012

Narok


Titolo: Narok aka Hell
Regista: Tanit Jitnukul/Sathit Praditsarn
Anno: 2005
Paese: Thailandia
Giudizio: 3/5

Una piccola troupe televisiva (in trasferta) ha un terribile incidente stradale causato da un colpo di sonno del guidatore e dalla demenza della controparte… Il gruppo è trasportato d’urgenza in ospedale, ma, nonostante le condizioni critiche, gli amici si risvegliano in un mondo infernale popolato da demoni e supplizianti assortiti…

L’inferno dantesco con tutti i suoi cerchioni visto dai thailandesi. In realtà già solo questo fatto e tutto l’impegno e l’audacia che ci hanno messo merita un punto in più anche se il risultato scade alle volte prepotentemente nel trash più paradossale con alcuni effetti speciali probabilmente tra i più brutti della storia del cinema orientale.
Metallo bollente fuso in bocca, scuoiamenti perpetui, corpi segati con lame di legno vetusto, pancie battute con mazze , arrotolamenti di budella e quant’altro sono solo alcuni dei divertimenti che la pellicola macina continuamente.
I due registi ci credono e cercano invano, dal momento che è proprio la nota dolente del film, di restituire una sorta di spiritualità ai protagonisti salvando i puri di cuore e condannando gli avidi e i corrotti.
In più la parte sul dramma famigliare sembra fare da paiolo con la povertà di sentimenti che invade il nostro sfortunato cinema nostrano e anche in questo caso contando che il lato gore e onnipresente, alcuni cali di tono rallentano e riducono non di poco il lato horror della pellicola.

mercoledì 29 febbraio 2012

Born to fight


Titolo: Born to fight
Regia: Panna Ritthikray
Anno: 2004
Paese: Thailandia
Giudizio: 2/5

Un gruppo di atleti di fama internazionale si reca in visita di beneficenza presso un villaggio sito al confine thailandese/birmano; il gruppo s’imbatte qui in un esercito di miliziani in possesso di un missile nucleare, che chiede il rilascio di un boss della droga

Se non è Prachya Pinkaew allora si parla di Rittihiraky. Entrambi registi e coreografi hanno il merito e il vanto di aver lanciato il cinema d’azione thailandese. Il merito è sicuramente delle capacità del secondo come coreografo e maestro indiscusso di tai-boxe e muay –thai di credere e scommettere nell’assoluta enfasi degli atleti. Nessun effetto nelle scene d’azione. E’ questo il merito di tutta la schiera di film che da ONG BAK,BANGKOK DANGEROUS, RAGING PHOENIX punta tutto su alcuni atleti appena sfornati dalle migliori scuole e scene di combattimento mozzafiato e con un ritmo serrato senza essere da videoclip.
Il limite ancora una volta è dato dalla sceneggiatura veramente scritta in pochi minuti. Scontata e con alcune prese di posizioni tamarre le quali cercano di commuovere quando invece non fanno altro che risultare inverosimile e dalla lacrima facile. Infatti mentre nel successivo BKD la trama era funzionale ai combattimenti qui la drammaticità alle volte senza volerlo diventa comicità per l’esasperazione troppo ricercata.


martedì 21 febbraio 2012

Bangkok Knockout


Titolo: Bangkok Knockout
Regia: Panna Rittikrai
Anno: 2010
Paese: Thailandia
Giudizio: 3/5

Nove amici che si fanno chiamare The Fighting Club, abilissimi nelle arti marziali, sostengono un provino per quello che credono sia un lavoro da stuntman a Hollywood. Il Fighting Club vince, e tutti festeggiano, ma poi si scopre che si tratta di combattimenti illegali tra gladiatori a uso e consumo di miliardari scellerati, in cui si scommette con le vite dei familiari e degli amici dei lottatori.

Presentato in concorso al Far East Film 2011 nella sezione 'Thailand', Bangkok Knockout è un film d’azione di una potenza esplosiva. Pochi cazzi, Rittikrai ha votato l’anima alle coreografie e al cinema d’azione. La questione è che in questo caso anche se la storia è un mero pretesto per presentare una squadra di talentuosi stunt-man, il film non si arresta un attimo nella sua folle corsa verso incontri sempre più dinamici e mirabolanti grazie alle acrobazie di veri e propri fenomeni.
E’ così senza chiamare in cattedra il pupillo Tony Jaa si assiste ad un film funzionale per il genere, pieno di citazioni (alcune passabili altre davvero trascurabili) e un cast in cui non mancherà lo stesso Rittikrai a spaccare il culo ai novelli come a dire che il vecchio regime è sempre il migliore.
Uno dei più bei film di arti marziali dell’anno.