Parthenope è una incantevole giovane donna nata dalle acque che seduce ogni uomo che incontra, persino il fratello Raimondo, suo primo e indimenticabile amore. Parthenope è anche la sirena al centro del mito fondante della città di Napoli che, come scriveva Matilde Serao nelle Leggende napoletane, "vive, splendida, giovane e bella, da cinquemila anni, e corre ancora sui poggi, erra sulla spiaggia, si affaccia al vulcano, si smarrisce nelle vallate". E la protagonista di Parthenope di Paolo Sorrentino fa esattamente questo, perdendosi continuamente e attirando a sé scrittori omosessuali, docenti universitari, prelati addetti ai miracoli e boss della camorra. Ma il più devoto resta Sandrino (col diminutivo che Sorrentino affida ai suoi alter ego), amico fin dalla perfetta estate in cui lui e la sua sirena, e Raimondo con loro, "sono stati bellissimi e infelici".
I film di Sorrentino mi sembrano sempre più delle riflessioni filosofiche. Dei film eleganti, sobri, scevri, di fatto un esibizione di garbo e gusto dove viene concesso tanto anche troppo.
E' un'opera seducente dove Celeste Dalla Porta assurge e si identifica perfettamente con il ruolo della sirena, infallibile e affascinante quando ondivaga e curiosa. Peregrina attraverso le mille facce di Napoli, destando scrittori ubriachi, professori universitari che defenestrano gli studenti in cerca di qualcosa che non sembra appartenere loro. Con quella seduzione naturale che porta scompiglio e confusione, malattia e risanamento, Parthenope diventa al contempo una metafora di se stessa, Eros e Thanatos.