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venerdì 14 marzo 2014

Grande Bellezza

Titolo: Grande Bellezza
Regia: Paolo Sorrentino
Anno: 2014
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Roma si offre indifferente e seducente agli occhi meravigliati dei turisti, è estate e la città splende di una bellezza inafferrabile e definitiva. Jep Gambardella ha sessantacinque anni e la sua persona sprigiona un fascino che il tempo non ha potuto scalfire. È un giornalista affermato che si muove tra cultura alta e mondanità in una Roma che non smette di essere un santuario di meraviglia e grandezza.

La Grande Bellezza è un capolavoro di struggente attualità e malinconia.
Prima di tutto Sorrentino non parla di Roma e basta, ma della nostra condizione esistenziale come italiani, disfatti e atterriti da una croce morale che poco ha da spartire con la crisi economica.
La Grande Bellezza è il film più italiano degli ultimi anni e proprio partendo da questa analisi che ancora non mi è chiaro, cos'abbiano capito da questo film gli americani premiandoci con "l'Oscar".
Nella sua spietata e lucida critica, l'ultimo e più ambizioso film di Sorrentino, riesce a esasperare alcuni passaggi della nostra società, semplicemente filtrandola attraverso gli occhi del suo/nostro protagonista.
Si passa dalla solita sinistra finto-impegnata, al bisogno di ricorrere alla chirurgia estetica per riuscire in questo modo a "sorridere", ad essere ora più che mai schiavi dell'apparenza finalizzata a se stessa e arrivando a prendere coloro che più soffrono questa crisi generazionale e lo fa forse infliggendoci il colpo più doloroso: i bambini prodigio e la loro impossibilità di "riscattarsi"nel presente.
Infine travolge come un'ondata anomala e senza fermarsi investendo preti, suore dissacrate, donne dipendenti dai commenti dei propri autoscatti su Fb, scrittori di teatro, dandy e intellettuali che si auto-riscattano con una semi-normalità che non ha nulla di concreto.
Vivere di eccessi, di fasti improponibili citando Proust e Niccolò Ammaniti (fantastica la summa del non-sense) e continuando a vivere rimanendo ancorati con il passato, in uno squallore disgraziato, che ammorba come un tumore sempre più evidente l'essenza stessa dell'italiano medio.
Tutto insieme allo sguardo quasi sempre "notturno" della capitale, come riflesso dell'incapacità di accorgersi della Grande Bellezza, della semplici cose che a Roma si trovano in ogni angolo, ma non vengono più captate lasciandole logorare nel tempo come il nostro bellissimo e unico Colosseo.
Jep è il nostro Mastroianni invecchiato che senza aver perso lo stile e il fascino, che esercita in modo sensazionale, ci accompagna tra gli sfarzi della "bella vita", in ciò che resta di un manipolo di vecchi borghesi e un'aristocrazia tramontata come gli anni della Dolce Vita.
Ora senza stare a dare credito ai ringraziamenti e alle citazioni e affinità del film (che Sorrentino ha citato e ringraziato) quello mi che ha sorpreso di più della sua poetica, al di là dell'eccellente lavoro tecnico e attoriale, è proprio la filosofia di Jep, individuo più che mai attuale e iconico nel suo genere.
Il pessimismo attuale, l'insulsa opacità della vita notturna, l'apparenza, il mito di rimanere sempre giovani.e tanti altri aspetti, sono riusciti con una tale bellezza e leggerezza a rendere questi passaggi nell'uomo reali e sconcertanti. E'impossibile non potersi scontrare con il suo personaggio, provando empatia, unita a rabbia e frustrazione, e in alcuni punti, forse anche un leggero odio per la sua disarmante lucidità nella critica e soprattutto nella potenza di mettere a nudo tutte le nostre debolezze ma anche alimentando un acaratteristica solo nostra come l'ironia(cit:Sull'orlo della disperazione, non ci resta che farci compagnia, prenderci un po' in giro)
Con Jep scopriamo e diamo voce a tutto il nostro malessere, come nella bellissima scena in cui altro non fa, che scoprire le carte, mettendo in luce tutte le vergogne di un manipolo di vecchi boriosi. (cit:Non volevo essere semplicemente un mondano, volevo diventare il re dei mondani. Io non volevo solo partecipare alla feste, io volevo avere il potere di farle fallire!")
La paura più grossa è quella che il film possa apparire agli occhi dei meno critici come "un semplice lavoro di stile", mentre la cosa più bella, è che sicuramente non verrà capito da una buona parte del nostro pubblico ma questo è l'elemento che più apprezzo di Sorrentino, a parte il film in cui si è confrontato anche lui con lo stereotipo preferito degli americani, ovvero il tema della vendetta.
La Grande Bellezza è una delle più grandi critiche degli ultimi anni, nel nostro cinema, della nostra società.
Roma in quanto capitale è sempre più schiava di se stessa, abbandonata ai propri accessori e tenuta assieme dall'inutilità del vivere, come collante di un malessere sociale sempre più evidente.
Servillo si supera, un connubio di totale catarsi e spietato malessere sociale e intellettuale che non permette pause o errori, ma punisce con la severità del dialogo e i toni che non regalano niente a nessuno.
E'così per colmare il vuoto dell'esistenza, si viaggia, tra feste, interviste ("parlami di questa frequenza"), si fanno trenini tristissimi che non portano da nessuna parte e si continua, come in culto che non finirà mai, a parlarsi addosso e rimanere sempre ancorati al passato per la paura di smuovere un presente spaventoso.
La frase finale è disarmante nella sua profezia e nel significato che si cela dietro le parole:"Ho cercato La Grande Bellezza, non l'ho trovata : è tutto solo un trucco"