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martedì 19 luglio 2011

Alice-Něco z Alenky


Titolo: Alice-Něco z Alenky
Regia: Jan Svankmajer
Anno: 1988
Paese: Cecoslovacchia
Giudizio: 4/5

"Alice" è un'interpretazione macabra e inquietante della fiaba di Lewis Carrol con un'unica (e qui la vera invenzione) attrice in carne ed ossa: la bravissima Krystina dal cognome impronunciabile che incarna la personalità di Alice con incredibile ingenuità e tenerezza, ma anche con cinismo e grotteschi voltafaccia.

Tradotto in varie forme come ad esempio  QUACOSA SU ALICE, il film del cineasta artista a tutto tondo (scultore, poeta, pittore, nonché padrino e precursore della stop motion nonché uno dei migliori registi al mondo d’animazione capostipite della scuola di Praga) dopo aver diretto il convincente JABBERWOCHKY nel ’77, continua con il suo interesse per Carrol unito alla sua vena macabra e grottesca della vita e soprattutto della società.
Nel suo cinema ci sono tanti nomi e tanti omaggi alla visionarietà del suo mondo come ad esempio Magritte, Kafka e Edgar Allan Po, Lunch e su tutti Bosch.

Questa Alice che noi vediamo nel film rappresenta una svolta nelle rappresentazioni dell’amatissimo libro di Carrol.
Alenska è curiosa, ambigua come l’universo che la circonda composto da qualsiasi tipo di oggetto che nell’immaginazione prende forma secondo la propria fantasia. Ma è realmente un sogno?
Svankmajer a volte provoca o cerca di lasciare un finale aperto per dare così la possibilità allo spettatore di trovare una propria rappresentazione. Il soggetto si rifà poi ad entrambi i libri dando così la possibilità al regista di attingere da più materiale inserendone poi delle parti assolutamente personali.
Il piccolo universo c’è tutto dal bianconiglio, mai così tetro e grottesco, un pupazzo che passa quasi tutto il tempo a ripetere gli stessi gesti e cercando di cucire il ventre squarciato da cui esce segatura che matematicamente si rimette in bocca. Lo stesso diventa poi qui a differenza del libro il carnefice per opera della regina che gli indica i cortigiani da uccidere.
Il cappellaio matto e la lepre marzolina così come il topo hanno una parte relativamente breve rispetto ad altre interpretazioni. Il primo qui è uno schiaccianoci di legno che passa il tempo a scambiare di posto in tavola con la lepre che senza farlo apposta segue sempre la via più lunga. Il brucaliffo dopo il bianconiglio è il più spettacolare soprattutto per la forma costituita da un calzino con gli occhiali e la dentiera.
Sono proprio i denti, le forbici, i coltelli, le carte, gli oggetti aventi lame o in grado di tagliare ad essere un elemento ricorrente nella pellicola come a voler ribadire come tutti quanti siamo spesso,  con sempre più facilità, pronti a tagliare le teste dei nostri avversari, a tagliare le comunicazioni e i rapporti tra gli individui.
In effetti tutto il film è pervaso da personaggi che non fanno altro che comportarsi in maniera inquietante soprattutto nei confronti della protagonista che come nella scena del topo che cerca di cucinargli sulla testa reagisce immediatamente come a non volersi assolutamente collocare come un essere inferiore a quel buffo teatro di personaggi sempre in corsa contro il tempo.
Il punto sta proprio qui nel dare un quadro diverso più improntato sulla fuga onirica di una bambina sola, mica tanto indifesa,curiosa e forse un po’ depressa dal momento che la scena emblematica dello schiaffo della sorella all’inizio ritorna con i remi da parte del bianconiglio come a ribadire che ci sono cose che ancora non può fare e una gerarchia di ruoli da rispettare.
L’ambiente poi gioca un altro ruolo importante isolandola continuamente, impadronendosi di lei e facendola addirittura diventare una statua da cui poi lei esce rompendo il guscio che la trattiene(scena personalissima inserita ad hoc dal regista).

Dal punto di vista tecnico il film è impeccabile. L’utilizzo della stop-motion è formidabile così come la capacità di dare una forma a qualsiasi cosa trasformando e ribaltando tutto come d’altronde un degno surrealista dovrebbe saper fare. Nel caso del regista ceco il risultato non può avere rivali.
Ritratto più oscuro con stanze asettiche e in alcuni casi una totale mancanza di musica per dare enfasi ai rumori.
Il maestro surrealista così conferma un talento visionario unico ripreso poi da tanti, citato e tenuto molto in considerazione da alcuni grandi cineasti come il signor Terry Gilliam.
Sicuramente il suo film migliore rispetto ad altri lavori ancora più sperimentali carichi e pervasi da un altro tipo di cinismo.