Titolo:
Killer Joe
Regia:
William Friedkin
Anno: 2012
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Killer Joe vive in Texas ed è il classico omone a cui si
fa ricorso quando insorgono irrisolvibili problemi con qualcuno. Fisico
scolpito, espressione sempre impostata, sguardo ambiguo e determinazione da
vendere, Joe incute molto ma molto timore, per lui la parola data ha un valore
inestimabile e non perdona ai suoi interlocutori alcun errore. Lui detta le
regole, tu le rispetti, perché lui può tutto dato che realizza le tue fantasie
criminali.
Ci sono due storie e due passaggi diversi nell’ultimo
grottesco film di Friedkin.
Il primo descrive una classica situazione ai limiti in
cui una famiglia chiede ausilio al noto killer.
Nell’altra storia il killer s’insinua nella casa della
famiglia diventandone un membro a tutti gli effetti.
Se da un lato la seconda parte rimanda ad alcuni film e
ad alcune triangolazioni che mi hanno ricordato anche VISITOR Q di Miike
Takashi, dall’altra diventa molto funzionale nella sua visione cinica e pervasa
da uno humor nero davvero pungente.
L’idea nasce dalla sagace penna del premio Pulizer Tracy
Letts, dramma teatrale prima, film oggi.
Con Joe si ha strada libera per disegnare l’ennesimo
killer professionista. Il problema è che dietro c’è un autore di un certo tipo
e la struttura che da a questa idea è assolutamente originale.
Il ritmo è spesso travolgente, i personaggi sono
caratterizzati molto bene, le interpretazioni sono funzionali alla struttura
del film e quello che ancora una volta più ci piace del regista è il suo amore
per tutti quegli elementi sporchi, sadici, tragicomici, drammatici e
iper-violenti. Il microcosmo americano e in particolare il Texas come folle e
disarmante, risulta efficace nell’inquadramento della realtà e di tutti i suoi
difficili e sicuramente improbabili protagonisti.
Il dramma grottesco non è facile da portare su grande
schermo ma Killer Joe, forse mostra per la prima volta il vero volto di
McConaughey, è a tratti addirittura poetico e romantico come la prima cena
intima tra vittima e presunto carnefice.
Verso il finale il film cambia ancora di più mostrando la
complessità della trama che sembrava invece lineare con le aspettative viste
negli atti precedenti.
Anche se con qualche forzatura e qualche dialogo di troppo,
si riprende assolutamente nel finale aperto lasciando lo spettatore libero di
decidere e di interpretare la follia di Dottie.