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venerdì 19 dicembre 2014

10 Canoe


Titolo: 10 Canoe
Regia: Rolf De Heer
Anno: 2006
Paese: Australia
Giudizio: 3/5

Racconto del racconto di un racconto. Un gioco di scatole cinesi che inizia con un carrello aereo sulla palude australiana, attraversa foreste di alberi altissimi e terra fangosa, passando per specchi d'acqua coperti di ninfee su cui si riflette il cielo al tramonto. La voce narrante è quella di un aborigeno che si dice ormai parte delle infinite gocce d'acqua di quella palude, crogiuolo dei suoi antenati. Di passato in passato, la storia è quella di un suo avo che, mentre insegna al nipote l'arte di costruire canoe, gli tramanda le vicende della loro famiglia. Amori, passioni, gelosie, guerre, religioni e stregonerie.

10 Canoe è una fiaba, o un racconto ancestrale, o ancora meglio un documentario che racconta una fiaba ispirata da una vecchia fotografia in bianco e nero scattata nel 1936 dall'antropologo Donald Thomson, raffigurante un gruppo di 10 aborigeni Yolngu che vogano in canoa sulle sponde della palude di Arafura, un'area palustre situata a circa 400 km a est della città di Darwin.
E' questa la trama del film di De Heer che dopo lo scioccante ALEXANDRA'S PROJECT e soprattutto dopo THE TRACKER ritorna a parlare di indigeni con un racconto nel racconto.
Al di là dell'uso della voce narrante fuori campo che può piacere o non piacere, e di alcuni aspetti della narrazione troppo didascalici, sono i corpi degli aborigeni a parlare insieme a potentissime immagini che delineano un panorama sconosciuto e solitario, uno dei pochi luoghi lasciati incontaminati dall'uomo.
Interessane anche il fatto di aver lasciato il linguaggio originale sottotitolato, in modo tale da rendere ancora più forte il racconto e rendere più funzionale tutta una serie di componenti che ancora di più ci fanno entrare in empatia con i protagonisti e dal punto di vista tecnico aggiungerei la bellissima fotografia, il ritmo e la narrazione scandita dalle stagioni
Dayindi, il ragazzo che ascolta la storia dell'anziano, rappresenta la nuova generazione che deve subito scoprire le regole della civiltà, altrimenti rischia di fare l'errore che prima di lui hanno fatto altri, ricevendo una dura lezione.
Il film però non nasconde un certo umorismo, forse sconosciuto a noi occidentali, in cui sono soprattutto gli attributi e la forza fisica ad essere presi di mira dai componenti della tribù, come nella scena in cui l'anziano viene preso in giro sulla sua presunta impotenza.
L'amore, l'invidia, la gelosia, i taboo, le distanze generazionali, sono solo alcuni dei temi che vengono trattati nel racconto.
Durante la conferenza stampa cio’ che colpisce è la pacatezza e grande umiltà del regista, ancora scosso e commosso nel rispondere alla domanda “Che cosa ti ha lasciato questa esperienza?”. Egli ha infatti vissuto per due anni, una settimana al mese, con il popolo raccontato dalla pellicola, e ha diretto, non senza difficoltà, un cast interamente composto da attori non professionisti, cosi verosimili nel guardare in macchina durante il film, cosi orgogliosi di gridare al mondo la loro storia.