Titolo: Birth of a Nation
Regia: Nate Parker
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
Fin dalla nascita Nat porta sul corpo i
segni che, secondo la cultura africana, servono a designare un capo.
È il 1909, e Nat vive in una piantagione di cotone in Virginia
insieme alla madre e alla nonna, dopo che il padre è dovuto fuggire
per aver compiuto un atto di ribellione verso un mercante di schiavi.
La proprietaria della piantagione intuisce nel bambino
un'intelligenza spiccata e decide di insegnargli a leggere usando
come testo la Bibbia. Nat diventerà un predicatore per la comunità
degli schiavi della piantagione e gli schiavisti bianchi gli
affideranno il compito di predicare l'obbedienza ai sottoposti neri,
tenendo a bada ogni loro eventuale velleità di insubordinazione.
Ogni anno l'America ci ricorda qualche
scempio del passato tirando fuori qualche scheletro dall'armadio.
Che si parli di rapine culturali
(colonizzazione), schiavitù, apartheid, etc, l'America cerca sempre
il modo per cercare di pagare i propri debiti mostrando personaggi e
leader carismatici di colore.
Quindi soprattutto quando ci sono gli
Oscar o il Sundance, alcuni registi, ma di solito l'intenzione è
delle produzioni, cercano di creare un film ad effetto perchè
commuova gli Academy Awards e faccia fare bella figura al popolo
bianco che si interessa delle minoranze afroamericane.
Sono diversi i film negli ultimi anni
impregnati di sentimenti e valori come a cercare di invertire quello
spirito reazionario e guerrafondaio che distingue la forza militare
più potente del mondo.
Sembra che la buona stella di Parker
non abbia brillato molto. Il giovane regista infatti alla sua opera
prima riesce a dare prova di un enorme talento e di saper usare e
condurre molto bene la regia in un film peraltro complesso e pieno di
personaggi e location. Purtroppo proprio alla vigilia dell'uscita
nella sale americane ci fu una sorta di inversione di tendenza, con
la notizia dell'accusa di stupro commissionata al regista ai tempi
dell'università - dalla quale peraltro l'accusato fu prosciolto con
regolare processo - sufficiente a provocare la disaffezione del
pubblico e soprattutto quella degli addetti ai lavori preoccupati di
investire soldi e prestigio su un lungometraggio che per i motivi
appena riferiti potrebbe essere escluso dalla corsa agli Oscar.
Motivi questi che slegati dal contesto cinematografico, rimangono
emblematici per mostrare dal punto di vista mediatico quanto alcune
informazioni o notizie possano incidere sulla distribuzione e sul
botteghino oltre che i festival.
Vincendo al Sundance, il film
sceneggiato dallo stesso Parker cita volontariamente e per diversi
motivi il capolavoro di Griffith, il kolossal innovativo ed
esplicitamente razzista sul dramma familiare sullo sfondo della
Guerra Civile volto a celebrare l'operato del Ku Klux Klan.
In questo caso però pur rifacendosi a
quell'immaginario, il film negli intenti ne ribalta polemicamente
significato e punto di vista, assegnando a NateTurner, lo schiavo che
si ribella, e trovando nella parola del Cristo la legittimazione
della sua vendetta, il compito di risvegliare la coscienza del suo
popolo. Ma Parker rincara la dose del suo antagonismo nel momento in
cui facendo di Nate il solo e unico depositario del messaggio
cristologico (concetto che "The Birh of a Nation" esplicita
nella sequenza in cui Nat sfida a colpi di versetti lo spregiudicato
e corrotto pastore della contea) attribuisce alla rivolta degli
schiavi capeggiati dal protagonista la bandiera del primato
spirituale e religioso togliendolo metaforicamente ai membri del Ku
Klux Clan del film di Griffith.