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lunedì 1 maggio 2017

Birth of a Nation


Titolo: Birth of a Nation
Regia: Nate Parker
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Fin dalla nascita Nat porta sul corpo i segni che, secondo la cultura africana, servono a designare un capo. È il 1909, e Nat vive in una piantagione di cotone in Virginia insieme alla madre e alla nonna, dopo che il padre è dovuto fuggire per aver compiuto un atto di ribellione verso un mercante di schiavi. La proprietaria della piantagione intuisce nel bambino un'intelligenza spiccata e decide di insegnargli a leggere usando come testo la Bibbia. Nat diventerà un predicatore per la comunità degli schiavi della piantagione e gli schiavisti bianchi gli affideranno il compito di predicare l'obbedienza ai sottoposti neri, tenendo a bada ogni loro eventuale velleità di insubordinazione.

Ogni anno l'America ci ricorda qualche scempio del passato tirando fuori qualche scheletro dall'armadio.
Che si parli di rapine culturali (colonizzazione), schiavitù, apartheid, etc, l'America cerca sempre il modo per cercare di pagare i propri debiti mostrando personaggi e leader carismatici di colore.
Quindi soprattutto quando ci sono gli Oscar o il Sundance, alcuni registi, ma di solito l'intenzione è delle produzioni, cercano di creare un film ad effetto perchè commuova gli Academy Awards e faccia fare bella figura al popolo bianco che si interessa delle minoranze afroamericane.
Sono diversi i film negli ultimi anni impregnati di sentimenti e valori come a cercare di invertire quello spirito reazionario e guerrafondaio che distingue la forza militare più potente del mondo.
Sembra che la buona stella di Parker non abbia brillato molto. Il giovane regista infatti alla sua opera prima riesce a dare prova di un enorme talento e di saper usare e condurre molto bene la regia in un film peraltro complesso e pieno di personaggi e location. Purtroppo proprio alla vigilia dell'uscita nella sale americane ci fu una sorta di inversione di tendenza, con la notizia dell'accusa di stupro commissionata al regista ai tempi dell'università - dalla quale peraltro l'accusato fu prosciolto con regolare processo - sufficiente a provocare la disaffezione del pubblico e soprattutto quella degli addetti ai lavori preoccupati di investire soldi e prestigio su un lungometraggio che per i motivi appena riferiti potrebbe essere escluso dalla corsa agli Oscar. Motivi questi che slegati dal contesto cinematografico, rimangono emblematici per mostrare dal punto di vista mediatico quanto alcune informazioni o notizie possano incidere sulla distribuzione e sul botteghino oltre che i festival.
Vincendo al Sundance, il film sceneggiato dallo stesso Parker cita volontariamente e per diversi motivi il capolavoro di Griffith, il kolossal innovativo ed esplicitamente razzista sul dramma familiare sullo sfondo della Guerra Civile volto a celebrare l'operato del Ku Klux Klan.
In questo caso però pur rifacendosi a quell'immaginario, il film negli intenti ne ribalta polemicamente significato e punto di vista, assegnando a NateTurner, lo schiavo che si ribella, e trovando nella parola del Cristo la legittimazione della sua vendetta, il compito di risvegliare la coscienza del suo popolo. Ma Parker rincara la dose del suo antagonismo nel momento in cui facendo di Nate il solo e unico depositario del messaggio cristologico (concetto che "The Birh of a Nation" esplicita nella sequenza in cui Nat sfida a colpi di versetti lo spregiudicato e corrotto pastore della contea) attribuisce alla rivolta degli schiavi capeggiati dal protagonista la bandiera del primato spirituale e religioso togliendolo metaforicamente ai membri del Ku Klux Clan del film di Griffith.