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venerdì 20 gennaio 2012

Exit trought the gift shop

Titolo: Exit trought the gift shop
Regia: Banksy
Anno: 2010
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Thierry Guetta è il gestore di un negozio di vestiario vintage con la passione per le videocamere. Di origine francese ma da tempo residente a Los Angeles, Thierry filma tutto quanto gli capiti nella vita, dalle vicissitudini familiari, alla clientela del suo emporio, fino a delle candid camera amatoriali da lui stesso improvvisate. Verso la fine degli anni Novanta, mentre si trova in Francia per far visita alla famiglia, Thierry scopre con somma sorpresa che suo cugino è il famoso street artist Space Invader, colui che da tempo riempie le strade più frequentate di Parigi e delle altre capitali europee con dei mosaici raffiguranti le figure squadrate del celebre videogame. Da quel momento, Thierry decide di avvicinarsi al mondo della street art con la sua videocamera e di filmare da vicino tutte le guerrilla performance di questi artisti clandestini. Oltre a Space Invader, Thierry riesce ad avvicinarsi anche a Shepard Fairey, autore del celebre ritratto bicromatico per la campagna elettorale di Obama. Solo il misterioso artista britannico Banksy pare sfuggire al suo sguardo, finché un giorno, mentre l'artista si trova a Los Angeles per preparare la sua prima mostra, “Barely Legal”, è lui stesso a mettersi in contatto con Guetta.

Banksy è uno dei più rivoluzionari artisti della street-art. Continua a non farsi vedere(e ha ragione) e dopo aver visto l’evoluzione di questo documentario ha scelto di non farsi mai più intervistare.
La sua prima frase è una sorta di log-line su questo lavoro “un documentario su un uomo che voleva fare un documentario su di me”.
Lui, uno dei più interessanti provocatori degli ultimi anni capace di stupire e attirare l’attenzione dei mass-media non solo con le immagini ma anche con veri e propri episodi di guerriglia-artist come si evince dall’episodio in cui espone un finto cadavere all’uscita di una giostra a Disneyland dimostra il coraggio e la pazzia dell’artista. In quel particolare caso vedere come risponde il colosso per bambini quando cerchi di fare uno sgarro simile è davvero impressionante.
Questo documentario che a sua volta documenta la vicenda e l’abbandono dell’ideologia della street-art o meglio di quelle che molto probabilmente diventeranno due scuole diverse di pensiero in termini di profit e no-profit e anche una polemica e una linea di pensiero su cosa si vuole dall’arte e che cosa lega alcune persone a rischiare e mettersi in gioco per denunciare in maniera spesso scherzosa ma anche feroce tutti gli assurdi della contemporaneità e del consumismo.
Banksy non voleva che succedesse quello che invece Thierry (ribattezzato Mr. Brainwash dagli stessi “amici” artisti della strada)è riuscito a creare.
La critica che io assolutamente approvo nei confronti di un certo tipo di arte contemporanea viene secondo me approfondita molto bene da questo lavoro. Il sunto è quello della creazione di un “mostro” da parte degli stessi street-artists poiché infatti la trasformazione di Thierry Guetta in Mr. Brainwash è il sunto su un uomo che non sapendo come sbarcare il lunario diventa prima un cameraman frenetico e compulsivo, poi artista pop ricercato solo perché filma i lavori di altri e infine vero e proprio arista con i dovuti limiti(un’incapacità che si modella apposta sui gusti dei ricchi borghesi di merda che non capiscono un cazzo di street-art ma che vanno fieri di poterli esporre accanto a opere di artisti affermati).
Sembra quasi che l’equazione stia a significare che la street-art ha proprio creato il suo esatto contrario favorevole alle logiche commerciali del mercato ovvero la tanto temuta pop-art come viene approfondita e sviluppata proprio da Mr. Brainwash.
Un prodotto davvero interessante per scoprire un universo che si prende la sua rivincita durante la notte rischiando molto per dare dei messaggi di contro-cultura assai interessanti.
La svolta per Guetta è proprio quella che gli vale la condanna ovvero mercificare tutti gli aspetti dell’arte rendendola industria e riducendola a becera mercificazione, l’esatto opposto di quello che invece il grande artista pensa e agisce.
La struttura è semplice in parte biografica, in parte interviste e per tutto il resto episodi e vicissitudini che coinvolgono alcuni tra gli esponenti di spicco.
 Il film di Banksy è appunto un “disaster movie”, come recita la sua tagline, perché è vero che ogni nuova forma artistica nasce dalla distruzione di qualcosa di preesistente che porta a nuovi sensi e significati.