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martedì 10 febbraio 2015

Dumplings

Titolo: Dumplings
Regia: Fruit Chan
Anno: 2004
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Ching è una stellina del mondo dello spettacolo, ormai quasi del tutto dimenticata dal suo pubblico, che si appresta a muovere i primi passi lungo il viale del tramonto ma, anziché arrendersi, decide di fermarsi e tentare di compiere un ultimo tentativo per portare indietro le lancette dell'orologio, anche e soprattutto per riaccendere il fuoco della passione ormai spentosi nel marito, Lee, il quale invece approfitta del suo fascino da uomo maturo per correre dietro a gonnelle assai più giovani....

Dumplings è un prodotto  che ha saputo allo stesso tempo riscuotere pareri positivi e suscitare non poche polemiche ma soprattutto è stato un film poi condensato in un medio nel film corale a tre episodi THREE EXTREMES del 2004 e che vedeva niente poco di meno che tre outsider di tre diversi paesi orientali farsi la guerra per chi riuscisse a partorire i soggetti più malati. Credo che la vittoria l’abbia vinta il regista dal punto di vista della scelta narrativa ovvero l’idea di raggiungere l’eterna giovinezza mangiando feti.
Un’idea cruda e particolarmente malata che ha saputo conquistare un ampia fetta di pubblico tra chi come me, non può fare a meno di queste storie per creare congetture e dare ancora più voce e spazio a elucubrazioni malate.
Dumplings, ravioli, è una disturbante critica all' edonismo di massa, una riflessione sull' incapacità di accettare il tempo e la caducità del nostro aspetto esteriore, per cui ognuno a suo modo rincorre questo falso mito prendendosi le più crude e spaventose responsabilità. L’unico problema per cui a mio parere il medio era ancora più funzionale è perchè toglieva alcune sotto-trame che a mio avviso penetrano di meno nella psiche dello spettatore e della personalità delle due protagoniste, con il fascino plastico e kitch di Bai Ling e la sensualità di Miriam Yeung che ogni volta che porta alla bocca un raviolo e che sentiamo masticare crea un effetto malato e perverso che lo spettatore non può completamente deviare dalla sua psiche.

Chan poi è un regista di Hong Kong su cui bisognerebbe soffermarsi un attimo per alcuni film della sua ristretta ma importante filmografia (fatta eccezione per la marchetta che gli è servita per farsi un po di soldi ovvero l’americano DON’T LOOK UP) e che sembra non lesinare alcuni disturbanti metafore e paradossi della società, in particolare quella cinese.