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venerdì 26 aprile 2024

Duro del Road House


Titolo: Duro del Road House
Regia: Rowdy Herrington
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Un laureando in filosofia si diverte a fare il buttafuori in un locale notturno malfamato, il "Double Deuce". A un certo punto però il lavoro diventa sempre più pericoloso per via degli scagnozzi di un boss malavitoso. Alla morte di un suo amico il buttafuori-laureando porrà fine con un sanguinoso scontro alle prodezze del boss
 
Il duro del Road House doveva essere quel tipico esempio di cinema muscoli & arroganza, dialoghi tagliati con l'accetta, maschi alpha e mazzate a gogò. E' così è stato mettendo tra l'altro un attore che non aveva proprio quel fisic du role adatto a questo cinema di genere. Eppure fecero una cosa interessante. Scrissero una bella storia che seppur non abbia sotto trame o chissà quali peripezie di sceneggiatura faceva il suo e pure molto bene. Alla fine come molte pellicole di quegli anni venne dapprima ignorato per poi diventare un cult. Ci sono tanti elementi che contribuiscono alla resa del film dal cast alla presenza di Ben Gazzara come nemico e boss della cittadina e mafioso locale (non a caso un italo americano che si crea da solo u piccolo impero per poi venir distrutto dalla solidità e complicità di un gruppo di americani che credono nell'ideale di giustizia) ad un Sam Elliot sempre decisivo e in grado con quella faccia da schiaffi di fare la differenza e non ultima Kelly Lynch che a livello di bellezza rasentava la perfezione.
Un film che invecchia bene da lasciare in una botte e guardare ogni tanto per notare con quanta grazia riusciva a bilanciare dramma ed action movie

sabato 1 agosto 2020

Mery per sempre

Titolo: Mery per sempre
Regia: Marco Risi
Anno: 1989
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Un insegnante di quarant'anni appena divorziato accetta di lavorare nel carcere minorile Malaspina. L'uomo cerca di instaurare un nuovo rapporto con i giovani detenuti, ma i suoi sforzi vengono ostacolati dai più riottosi di essi e dal direttore della prigione che non approva i metodi permissivi del nuovo venuto. Alla fine però i fatti danno ragione all'insegnante.

Risi a parte aver sondato il malessere giovanile con RAGAZZI FUORI e IL BRANCO con il film in questione ha cercato di fare un certo tipo di cinema politico e di denuncia soprattutto negli ultimi anni anche se il suo capolavoro rimane Ultimo Capodanno tratto dal romanzo di Ammaniti.
Un regista che ha saputo parlare di drammi sociali, diseguaglianze, corruzione, mafia e politica e poi ha girato quella commedia grottesca davvero ironica e recitata da una galleria di attori tutti in parte. 
Qui la location è il carcere minorile, i temi sono il disagio giovanile, l'accettazione del diverso (Mery) interpretata da Alessandro diventata poi Alessandra Di Sanzo.
Risi riesce a fare un ottimo lavoro in un film per certi versi neorealista con un cast misuratissimo e funzionale alle esigenze con quei ragazzi che troveremo anche nei film successivi e dando grande margine di sfogo a Michele Placido. La bravura del regista consiste nel proporre situazioni anche di per sé scabrose come quando il professor Marco Terzi bacerà proprio Mery in bocca e momenti assai pesanti come gli scontri tra i detenuti o la scena in cui Natale sporca con il pennarello il viso del professore (scena per altro molto lunga e lenta) con allusioni e tocchi misurati che lo rendono un piccolo miracolo tra i film che trattano questo fenomeno. 
Il degrado di Palermo è connotato da un pessimismo di fondo che accompagna la narrazione delle varie vicende di questi ragazzi costretti per motivi diversi a dover convivere all'interno del carcere Malaspina del capoluogo siciliano. 
Un luogo poco accogliente a giudicare dagli interni nonché dalla violenza a tratti smisurata delle guardie carcerarie. Finale drammatico con la morte di Pietro che non vediamo ma con l'happy ending di quella lettera di trasferimento strappata.

mercoledì 1 luglio 2020

Robot ninja


Titolo: Robot ninja
Regia: J R Bookwalter
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Leonard Miller è un disegnatore di talento. "Robot Ninja", il personaggio del suo comic, ha dato fortuna al suo editore e sta anche conoscendo un remunerativo adattamento sullo schermo in una serie TV, ma a lui, che non possiede i diritti d'autore, ne è venuto in tasca ben poco al punto che il lavoro stesso gli sta venendo a noia. Una sera, incappa in due teppisti che stanno aggredendo una ragazza e il drammatico episodio lo spinge a dare un taglio netto alla sua monotona esistenza. Con l'aiuto del pur riluttante amico dottor Goodknight, Miller si confeziona un costume da giustiziere ispirandosi a "Robot Ninja" e - protetto da una tuta nera completa di maschera di metallo munita di un visore ad infrarossi e di un modulatore per camuffare la voce - intraprende una spietata e solitaria battaglia contro la criminalità che infesta di notte i quartieri di Rigdway.

Viva gli anti eroi o coloro che intuiscono già da subito che la realtà, quella vera, prende a calci in culo tutti, ancora di più nerd sfigati improvvisati e vestiti da buffoni.
Il b-movie girato con un low budget estremo coglie gli aspetti più grotteschi della farsa dell'eroe misurandosi fin da subito con un film drammatico, con una regia dignitosamente ignorante ed ingenua che spoglia il suo protagonista con l'andare avanti della sua folle vendetta di ogni dignità possibile portandolo a spararsi in faccia appena intuisce che semplicemente non potrà farcela.
Un'opera indipendente e amatoriale che riesce però a sfruttare una certa dose di dramma, combattimenti, arti mozzati, splatter e gore efficaci a gogò e altri strumenti funzionali a dare corpo e spessore alla vicenda. Molto poco ninja e niente affatto robot, Miller sembra una via di mezzo tra il Vendicatore Tossico e un Power Rangers molto sfigato preso di mira da un Henenlotter e un un Yuzna sotto acido mentre guardano STREET TRASH.

Erik il vichingo


Titolo: Erik il vichingo
Regia: Terry Jones
Anno: 1989
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Il vichingo Erik organizza una spedizione verso il Valhalla, l'Olimpo degli dei finnici, per chiedere alle divinità di porre fine all'età di Ragnarok, dissipare l'oscurità e consentire al suo popolo di vedere nuovamente la luce del sole.

Indubbiamente i Monty Pyton hanno saputo fare di meglio nella loro limitata ma importante filmografia. Erik nasceva dal bisogno di confrontarsi con un universo completamente diverso, una mitologia e una simbologia che non appartenendo agli inglesi ha sempre saputo creare un certo interesse, parlando di Ragnarok, Inrama, Vichinghi, mostri, combattimenti, divinità e tutto il resto.
Jones ha perlomeno saputo scimmiottare bene parte della materia nordica inserendo sicuramente alcuni elementi e spunti interessanti (le divinità bambine) oracoli che sembrano creature mostruose, una comunità hippie che sembrano i diretti discendenti di Atlantide. Il tutto cercando di unire seriosità almeno nelle scene di combattimento (la morte di Thorfinn) riflessione (la morte iniziale di Helga e il dramma morale del protagonista) e ironia e parodia, gestendo come poteva ma non senza lesinare, effetti che sconfinano nel trash per quanto concerne la variopinta galleria di effetti speciali.
Un filmetto simpatico, leggero, che riesce nonostante i suoi enormi limiti a sforzarsi quantomeno di raccontare una storia sulla cultura norrena con rimandi mitologicamente validi, una recitazione spesso esagitata ma con alcune caratterizzazioni interessanti e un ritmo incessante.

lunedì 20 aprile 2020

Burbs


Titolo: Burbs
Regia: Joe Dante
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Ray Peterson si reca a trascorrere un periodo di vacanze in solitudine nell'abitazione che possiede alla periferia della città. Il giovane ambisce alla pace e alla tranquillità, ma ben presto si accorge di strani eventi che avvengono nella casa dei vicini.

Instant cult. Burbs che purtroppo non sapevo esistesse si è rivelata quella black comedy con tantissimi rimandi, spunti spiazzanti, aria grottesca, atmosfera a tratti surreale, ipnotico, con delle musiche di Jerry Goldsmith fantastiche e accattivanti.
Un piccolo gioellino sulla curiosità, sullo spiare i vicini e non avere nessuno scrupolo a frugare nell'immondizia o ad entrare in casa loro senza permesso. Un vicinato che come definisce Corey Feldman in una battuta quando la ragazza le chiede di andare al cinema lui con sedia birre e patatine si piazza fuori dalla porta di casa rispondendo che non c'è niente di meglio che assistere alla vita vera in diretta di quello che potrebbe capitare nel proprio circondariato.
Il ritmo e l'azione, la detective story con cui Dante fa avanzare la pellicola, nel suo prendersi poco sul serio è grandiosa, dimostrando ancora una volta uno dei talenti più incompresi di Hollywood, un autore e regista, nonchè sceneggiatore, decisamente straordinario e precursore di tante tematiche care all'America. In questo caso la premura di esibire un orticello perfetto affinchè gli altri lo vedano, sembrare gentili per poi dietro le finestre della propria abitazione dire la peggio.
Tutto è deciso ad aumentare nel film con tragedia finale e happy ending regalando dei buoni colpi di scena, intrattenimento e azione a gogò, idee e spunti originali e politicamente scorretti e una certa dose di horror presente più nell'atmosfera che nelle scene in sè.
Un film magnificamente interpretato tutto in una deliziosa strada con cinque case con giardino a fare da protagoniste dove prendono forma fissazioni e paure per i nuovi e diversi vicini che solo perchè rimangono appartati, sembrano segnati da una sorta di maledizione che manco a farla apposta verrà scandita come gli incubi deliranti di un giovane Tom Hanks protagonista.


mercoledì 22 gennaio 2020

Città delle bestie incantatrici


Titolo: Città delle bestie incantatrici
Regia: Yoshiaki Kawajiri
Anno: 1989
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

Da mille anni la razza umana e quelle dei mostri del lato Oscuro, combattono una guerra segreta ma fortunatamente alcuni soggetti definiti "illuminati" sono riusciti a stipulare un trattato di pace, tuttavia il trattato in questione sta per scadere ed una nuova guerra è alle porte...

Kawajiri di cui ho recensito tutte le opere è un regista straordinario, un precursore e un innovatore che ha saputo dare enfasi e prestigio all'animazione passando da un genere all'altro senza troppi problemi, regalando perle rare, cult di tutto rispetto che ancora oggi rimangono pietre miliari.
Noir, horror, fantasy, poliziesco, hard boiled, grottesco, erotico, thriller. Ci sono così tanti generi e sotto generi nelle sue opere che servono a dare sostanza, atmosfera, in un viaggio oscuro e decadente nei meandri della civiltà popolata da creature inquietanti e mostri sotto fattezze umane.
Ricco di azione e avventura, il film sbaraglia ogni tabù mostrando violenza a profusione con arti squartati e sangue in grosse quantità e scene erotiche fortemente esplicite.
La fotografia, i colori della notte, pervadono l'opera dandole sempre un equilibrio perfetto tra l'atmosfera opprimente che si respira, i continui colpi di scena e combattimenti, gli inseguimenti, i sacrifici e infine poi un'animazione tetra più che convincente.
Uno dei più bei film d'animazione horror per adulti che a trent'anni di distanza non fa una piega rimanendo spettacolare e incisivo sotto tutti i punti di vista.



lunedì 30 dicembre 2019

Batman(1989)


Titolo: Batman(1989)
Regia: Tim Burton
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

A Gotham City l’eccentrico milionario Bruce Wayne conduce una doppia esistenza: di giorno è un filantropo impegnato in cause benefiche, mentre di notte diventa Batman. Il giustiziere mascherato da pipistrello affronterà però il nemico più pericoloso quando Jack Napier, braccio destro di un boss della malavita, precipita in una vasca d’acido e si tramuta nell’iconico Joker.

Quando lessi una delle tante biografie su Burton mi colpì un elemento. Sul set del film in questione trovandosi di fronte ad una produzione che fino ad allora non aveva mai visto, il regista pianse.
Forse fu quella ammissione di fragilità e paura ha dargli quella forza tale da far diventare il film del '89 ancora ad oggi il miglior Batman di sempre con le eccezioni dovute rispetto ai film di Nolan.
Parlando di un cinecomic che provava a fare i primi passi cimentandosi con effetti speciali ancora limitati, Burton è stato l'unico a fondere la fiaba e l'atmosfera cupa e accattivante del cavaliere oscuro con un film semplicemente stupendo, un meraviglioso e seducente labirinto oscuro in grado di spaventare, far commuovere, lasciare basiti per le scene d'azione e gli inseguimenti e con una coppia di attori semplicemente perfetta e affiatata.
In particolare il Joker ritratto molto simile alla descrizione dei fumetti infatti, tutto quello che gli interessa è lo spettacolo e la sua aria apparentemente da buffone crea il villain perfetto.
Joker da questo punto di vista rispetto al Joker di Nolan, ma con le ambizioni del Joker di Philips, è uno showman che mette al centro del palco la morte, che è in fondo la cosa che più attira il pubblico, infatti non c’è un atto criminale che Joker compia senza un pubblico (la penna...è davvero più potente della spada!). E finisce così anche per eclissare lo stesso Batman interpretato dal miglior Batman di sempre ovvero Michael Keaton. Senza contare che ancora ad oggi il film invecchia molto bene, troppo forse, bisogna dare i meriti al regista e alla produzione di aver avuto il coraggio di investire su un cinecomic e di aver saputo lavorare sulle suggestive scenografie da Oscar che creano un’atmosfera tenebrosa e inquietante rendendo Gotham City una sinistra metropoli neogotica dominata dall’urbanizzazione.

domenica 15 dicembre 2019

Arma letale 2


Titolo: Arma letale 2
Regia: Richard Donner
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

I due sergenti di polizia di Arma letale, il buon pater familias nero e il giovane con manie suicide, vengono incaricati di vegliare sull'incolumità di un supertestimone. Ma costui è nel mirino dei suoi ex datori di lavoro, una gang di sudafricani che spacciano droga in Usa, coprendosi con l'immunità diplomatica.

Sequel del film che è riuscito ad imporsi incassando una cifra spropositata. Donner ritorna con gli stessi elementi, aumentando l'alchimia tra i due agenti, introducendo cattivi internazionali, una sorta di femme fatale e infine un personaggio come il testimone interpretato da Joe Pesci che tornerà negli altri due sequel (anche se con un personaggio che spesso scimmiotta se stesso come in Mio cugino Vincenzo a differenza dei ruoli scorsesiani). Lo sceneggiatore, che non è più lo stesso, immette ancora più violenza, alternando come sempre, anche se a volte in maniera disfunzionale, toni drammatici e comici e soprattutto non osando caratterizzare meglio alcuni personaggi, soprattutto i villain o lo stesso Pesci, lasciandoli come macchiette come in tanti altri cugini polizieschi americani.
Di più non serve per avviare e consolidare una macchina che funziona senza troppi sforzi sfatando quella sorta di maledizione spesso legata ai sequel, senza far rimpiangere il primo.

domenica 27 ottobre 2019

Ore 10-Calma piatta



Titolo: Ore 10-Calma piatta
Regia: Phillip Noyce
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Una coppia di coniugi in crociera prende a bordo un naufrago, che afferma di essere l'unico scampato alla strage per avvelenamento di cibi guasti dell'equipaggio di uno schooner.

Quando si parla di cattivi antagonisti Billy Zane da che ho memoria è uno dei volti del male. Cinematograficamente funziona benissimo come altri del suo calibro: Clancy Brown su tutti, Michael Ironside, Miguel Ferrer, Kurtwood Smith, Hans Gruber, Jamey Sheridan, Billy Drago, Sid Hays, William Atherton, e tanti altri ancora.
Ora prestare soccorso a Billy Zane non può che portare grane. Il film di Noyce, regista importante quanto altalenante, è un thriller che non ci si stufa mai di vedere.
Un piccolo saggio su come girare un thriller con pochi elementi e tanta astuzia.
Ingrana da subito, ambienta tutto in due barche con tre personaggi e come sfondo solo e soltanto la tragedia, una pregressa e l'altra in arrivo. Il film ha un ingranaggio minimale, non sbaglia una virgola, possiede un ritmo veloce e serrato, con una recitazione ottima, l'evolversi della tragedia in modo avvincente e l'uso perfetto degli stereotipi.
L'incubo che ha delle fattezze e degli intenti ben definiti come il naufrago che fionda subito il film in un vero e proprio incubo dove l'empatia con la povera Kidman è totale come difficilmente capita in altre situazioni.

giovedì 24 ottobre 2019

Fà la cosa giusta

Titolo: Fà la cosa giusta
Regia: Spike Lee
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

In un quartiere "nero" di Brooklyn, tutto sembra tranquillo. I disordini razziali di quindici, venti anni prima sembrano dimenticati. Ma basta una giornata di caldo torrido per esacerbare gli animi. La pizzeria italiana viene razziata. Il proprietario si vendica.

I joint di Spike Lee sono delle esperienze imperdibili per ogni cinefilo che si rispetti.
Parliamo di uno dei grandi maestri impegnato con un cinema molto impegnato e con importanti analisi lucide sul fenomeno discriminatorio degli afroamericani in America nel corso di almeno una trentina d'anni. Il film in questione è una pietra miliare nel cinema di denuncia. Un film tra i più importanti del regista.
Un'opera impegnata e densa di situazioni, un termometro bollente per sondare una temperatura di fuoco che sta lentamente per esplodere. I meriti di Lee si captano dal suo sguardo che è sempre lì come a dire "nessuno può permettersi di prendermi per il culo" e il film ogni volta sembra una riflessione allargata su questo concetto da parte dei neri d'America. La sceneggiatura funziona, è perfetta in quanto reale, potente che sfugge da ogni demagogia diventando un'acuta e funzionale analisi sociologica del razzismo dilaniante del paese e del fatto che alcuni luoghi comuni non sono e non verranno mai messi da parte o dimenticati o sorpassati perchè figli di un'ignoranza cosmica insita nell'essere umano.
L'autore con i suoi joint è sempre sul pezzo, pronto a dirti di quanto le cose continuino sempre di più a far schifo, che la storia non insegna niente e che troppi americani sono populisti, figli di un'ignoranza che mandano avanti come una sorta di rituale marcio e razzista.
Il dramma che sbatte in faccia l'autore con questo film è un cazzotto che arriva sparato dritto in faccia, il regista non è certo uno a cui piace andarci leggero, Lee, che come spesso capitava ai grandi registi e maestri che erano anche dei precursori, avevano già fatto tutta la loro feroce disamina sui conflitti razziali in America, anticipando le sommosse losangeline  scatenate dal pestaggio a Rodney King descrivendo un microcosmo di quartiere mai così reale.

Goku midnight eye

Titolo: Goku midnight eye
Regia: Yoshiaki Kawajiri
Anno: 1989
Paese: Giappone
Serie: 1
Episodi: 2
Giudizio: 4/5

Goku Furinji è un abilissimo investigatore privato, tra i migliori nel suo mestiere. Presto però deve  indagare su Genji Hyakuryu, noto mercante d'armi, e durante uno scontro con i suoi uomini si salva a stento perdendo l'occhio sinistro. Aiutato da un misterioso individuo, si risveglierà scoprendo di poter vedere ancora: il bulbo oculare gli è stato sostituito con uno cibenetico avanzatissimo che, permettendogli di connettersi a qualsiasi sistema informatico del mondo, lo rende ipoteticamente un Dio...

Sempre dall'Oriente con un'altra perla nipponica. Due episodi per un perfetto cocktail
poliziesco, sci-fi, action, cyber-punk, thriller, ed action movie con tante scene violente e alcune scene di sesso abbastanza spinte per l'anno di uscita.
L'idea alla base permette a Kawajiri di potersi avvalere di una sceneggiatura davvero ben strutturata, piena di ritmo, di riflessioni interessanti, in grado per tutta la sua durata (due episodi da 45')di coinvolgere lo spettatore facendolo passare da una situazione all'altra in un quadro noir e quasi spettrale dove dalle scelte di look e di forma notevoli, il film dalla sua per fortuna non ha particolari regole o target da rispettare inserendo sparatorie, squartamenti, scontri violentissimi e un linguaggio che non nasconde la sua vena esplicita. Kawajiri ha sempre uno stile molto tetro, scuro e macabro che si ricollega ad altri suoi film d'animazione da vedere assolutamente come MANIE-MANIE (l'episodio dell'uomo che correva), CITTA' DELLE BESTIE INCANTATRICI, NINJA SCROLL, VAMPIRE HUNTER D-BLOODLUST, ANIMATRIX, Highlander(2007).
Nei suoi due episodi Kawajiri fa un salto in avanti rispetto ai suoi precedenti lavori, affinando meglio la tecnica, ma soprattutto dando alla storia quel tratto da noir urbano che complice anche le raffinate inquadrature, riesce a dare equilibrio e ritmo a tutti i generis inseriti.

martedì 2 luglio 2019

Pet Sematary(1989)


Titolo: Pet Sematary(1989)
Regia: Mary Lambert
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Da un romanzo di Stephen King. La famigliola di un dottore si stabilisce in un villaggio del Maine. Poco dopo l'arrivo, il gatto di casa è ucciso da un camion. L'animale è sepolto nel locale cimitero che tutti ritengono stregato. La notte seguente infatti, il gatto ritorna, trasformato in malevola creatura.

Ancora una volta come lettore e fruitore del cinema del maestro del brivido mi ritrovo a dover fare i conti con le vecchie e le nuove trasposizioni
Sostengo che il film di Lambert così come la versione di Wallace e la mini serie di Garris abbiano in comune il fatto che tutte cerchino di essere il più verosimili possibili con i romanzi a dispetto di scelte e capolavori come quelli che hanno portato Kubrick a dirigere SHINING e che confermano di come anche la libera trasposizione sia sinonimo di ottimo risultato quando alla base ci sono le idee giuste.
Il film di Lambert pur essendo molto più televisivo, rispetto al remake del 2019 non perde e non trasfigura le regole principali, cercando di dare importanza al tema della morte e del lutto e non cercando di trovare facili sentieri per avere più carne al fuoco possibile come nella recente versione.
Pur non potendo contare su un cast brillante, il film dalla sua riesce a mantenere un equilibrio tra atmosfera e colpi di scena proprio nel suo cercare di smarcarsi da trappoloni eccessivi che come nel remake del 2019 ne hanno sancito uno dei limiti principali.
Senza stare a fare l'ennesima comparazione tra romanzo e i due diversi film, Pet Sematary non potrà mai disturbare come il romanzo toccando quei fasti che le parole e l'immaginazione pesano più di qualsiasi immagine, quel grandissimo trattato sulla morte, sul dolore, sull'elaborazione del lutto che dalle pagine del maestro del brivido prendeva vita nella nostra immaginazione,
ma di certo il coraggio con cui con i limiti del tempo si è cercato di rendere il film malato e disturbante non possono che aggiungere pregi all'opera che proprio per l'adattamento del 1989 la sceneggiatura venne curata dallo stesso King che qui si ritaglia un cameo nel funerale.


sabato 8 giugno 2019

A spasso con Daisy


Titolo: A spasso con Daisy
Regia: Bruce Beresford
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Stati Uniti, Georgia, 1953. Miss Daisy è una settantaduenne ebrea vedova che vive in una grande villa con una cameriera di colore. Suo figlio Boolie, dopo che lei è finita nel prato dei vicini in seguito a una semplice manovra con la sua Packard, non vuole che continui a guidare e le impone uno chauffeur. Si tratta del sessantenne Hook, saggio uomo di colore che dovrà sopportare le intemperanze verbali della signora.

Trattare il tema di un'amicizia tra una burbera signora ebrea e il suo autista di colore in tempi bui e difficili dal 1948 al 1973 è stata un'idea ottima per cercare di parlare di amicizia quando tutto faceva presagire il contrario in un'epoca di grosse mutazioni sociali.
L'opera di Bresford, mestierante di Hollywood che firma qui il suo miglior film, parla di colore della pelle, schiavitù, diritti e doveri, ruoli all'interno della società, tutti temi che devono molto della loro riuscita dalla scrittura e dalla stesura della piece teatrale che vinse addirittura un premio Pulitzer.
La Tandy e Freeman abbelliscono due ruoli molto lontani ma uniti dai sentimenti e da quella che seppur contagia il film per tutta la sua durata, una certa melassa sentimentale, non esagera tirando fuori tutti gli scheletri dell'armadio di un lungo dialogo sul razzismo e sulle minoranze etniche tutti i mali di un paese che si è sempre detto democratico e aperto al dialogo. Un film che riuscì a vincere molto al di là delle ottime e splendide caratterizzazioni dei due protagonisti, di aver predicato virtù e tolleranza riuscendo a trattare i sentimenti giusti per un film che ha conquistato ogni tipo di target e pubblico.



lunedì 3 giugno 2019

Duro del Road House


Titolo: Duro del Road House
Regia: Rowdy Herrington
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un laureando in filosofia si diverte a fare il buttafuori in un locale notturno malfamato, il "Double Deuce". A un certo punto però il lavoro diventa sempre più pericoloso per via degli scagnozzi di un boss malavitoso. Alla morte di un suo amico il buttafuori-laureando porrà fine con un sanguinoso scontro alle prodezze del boss

Il duro del Road House è un film abbastanza stupido e con tanto testosterone ritagliato apposta per un sex symbol del momento quale era Swayze.
Come tanti prodotti di questo tipo che in quegli anni andavano di moda (purtroppo ancora ora), il film ha una messa in scena notevole dove la maggior parte degli sforzi sono stati concentrati nelle scazzottate che di certo non mancano.
Rimane come sempre doveroso specificare come alcune stupidità non smettano mai di esistere (Dalton è il bello e dannato di spirito umile che studia filosofia e promuove dei valori e dei buoni sentimenti ma appena può massacra tutti di botte..) sembra quel classico mito yankee che il cinema ha sempre cercato di insegnare e potare come modello di conquista nel mondo.
A salvare il film non è di certo la regia di Herrington, mestierante di Hollywood, basti pensare che con questo film arriva a firmare il suo prodotto migliore, ma sono invece i co protagonisti a fare la differenza come Ben Gazzara nel ruolo del villain e Sam Elliot nel ruolo dell'amico o sarebbe meglio dire, della vittima sacrificale.
Tutto il film comunque è schiacciato da una trama che nella sua banalità non prova a cercare di fare la differenza, dialoghi incredibilmente maschilisti e uno svolgimento nella trama di una banalità colossale dove l'ironia manca del tutto ma il talento di Gazzara salva il resto.

mercoledì 23 gennaio 2019

Black Rain


Titolo: Black Rain
Regia: Ridley Scott
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Nick viene coinvolto insieme al giovane collega Charlie in un caso più grande di lui. Dagli States l'azione si sposta in Giappone ad Osaka, per indagare sulla mafia locale nota come Yakuza. Nonostante la frizione tra i metodi nipponici e dei due yankee, la sinergia darà i suoi frutti. Ma Osaka non è New York.

Black Rain non è un vero e proprio cult ma un film che mi aveva fatto conoscere allora Andy Garcia regalandogli un personaggio che è diventato leggenda, un Douglas quasi sempre fastidioso ed esagitato, e una storia che riesce a siglare "amicizia" tra due paesi in lotta da sempre.
Un poliziesco con quel taglio non proprio noir ma con un'atmosfera e una scenografia e una città, Osaka, incredibile con tutti quei fumi per le strade, quelle luci al neon e quelle moto anni 80' così come tutto il resto che riesce a dare quel tono malinconico e struggente dei film.
Venendo ai limiti che non sono pochi, ci sono a volte delle musiche pedanti, il personaggio di Nick è davvero ai limiti del ridicolo.
Il film ha dalla sua una messa in scena impeccabile, dei dialoghi che funzionano e a volte degli scivoloni quando inciampa nello stereotipo o nell'ironia che non riesce a fare quello che deve (la scena della nonnetta che insegna a Nick a mangiare con le bacchette è iconica per numerosi aspetti) e alla fine tutto si riduce alla solita vendetta con la strage finale che chiude un'indagine meno macchinosa di quanto sembri.




giovedì 30 agosto 2018

Club of the laid off


Titolo: Club of the laid off
Regia: Jiri Barta
Anno: 1989
Paese: Cecoslovacchia
Giudizio: 4/5

Vecchi manichini abbandonati passano le loro povere vite spezzate in un vecchio magazzino abbandonato. Nuovi manichini vengono portati al magazzino. Anche loro sono vecchi, ma di una generazione più giovane. I due gruppi devono vivere insieme, il che non è affatto facile per loro.

Uno dei discepoli di Svankmajer, caposaldo della stop motion, si stacca leggermente dagli intenti del maestro, rimanendo sempre in chiave politica ma studiando una bella metafora sui conflitti di coppia, lo scontro generazionale e la difficoltà a vivere assieme ad altre persone nello stesso ambiente che poi non è di nessuno.
Manichini sporchi, logori, a tratti sorridenti, inquadrati e narrati nella loro routine e quotidinità fatta di cose semplici come capita alle scimmie più evolute.
Grazie ad un inquietante quanto suggestivo uso del sonoro con questi suoni portati a volte all'esagerazione, scricchiolii e quan'altro, per aumentare il senso di fastidio e creare ancora più malessere tra i personaggi che si incontrano, si scontrano e porteranno ad un inevitabile declino dei rapporti sociali.
Tra le tematiche politiche non è un caso che il regista sia cecoslovacco scegliendo e prediligendo uno stile di vita del passato ancorato su regole e valori come quello di sottrarsi al consumismo imperante che vede invece le nuove generazioni completamente invischiate.
Il risultato non può che essere un conformismo anestetizzante.



martedì 8 novembre 2016

River of Death

Titolo: River of Death
Regia: Steve Carver
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Nel cuore della foresta Amazzonica, uno scienziato tedesco, insieme ad un gruppo di irriducibili nazisti sfuggiti alla cattura, sogna di restaurare la grandezza del Terzo Reich tentando di creare un esercito di superuomini mediante crudeli esperimenti biogenetici condotti su alcuni indios scelti come inconsapevoli cavie. Ma sulle tracce dello scienziato sono un avventuriero in cerca di una favolosa città perduta, un suo ex collega passato dalla parte dell'Occidente, una donna che lo ha visto uccidere il padre durante la guerra e un fisico al quale hanno rapito la figlia giunta sul posto per studiare le cause di una misteriosa epidemia che sta facendo strage tra le popolazioni indigene.

Diciamo che questo film mi stuzzicava perchè all'interno c'era Donald Pleasance, attore che dopo WAKE IN FRIGHT mi ha colpito particolarmente anche se in questo film non è assolutamente sfruttato a dovere. Poi l'ambientazione, il taglio antropologico e l'avventura che si prospettava mi avevano stuzzicato pensando di trovarmi di fronte ad un piccolo film di genere che al suo interno mischiava tanti sottogeneri come di fatto cerca di fare senza i risultati sperati.
Purtroppo River of Death per colpa di uno script prevedibile e pasticciato, dall'incipit troppo lungo nei campi di sterminio fino alle scene nella foresta che in alcuni casi sembrano quasi amatoriali, non riesce ad essere evocativo e un bel film d'avventura come riescono invece altri contemporanei in quegli anni, tra tutti Spielberg. Un peccato perchè anche dal punto di vista delle comparse, delle tribù e di tutto quello che si poteva commisurare, il film prende una strada in discesa che ne sancisce uno svolgimento come dicevo prevedibile e un finale troppo scontato.
Il protagonista poi è troppo tamarro e antipatico, non riesce nemmeno sforzandosi a creare un barlume di empatia nello spettatore.


giovedì 24 marzo 2016

Baoh

Titolo: Baoh
Regia: Hiroyuki Yokoyama
Anno: 1989
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Il gruppo DRES, un'organizzazione criminale che si occupa di bioingegnerie applicate a scopi bellici, sviluppa in segreto, attraverso numerosi esperimenti su cavie animali e umane, una potentissima arma biologica, un letale parassita vermiforme da impiantare nel corpo di una sfortunata cavia. Quando avrà compiuto il suo ciclo evolutivo, il parassita deporrà le uova nel corpo dell'ospite, che sarà veicolo del contagio prima di essere ucciso dalle secrezioni acide delle larve. Durante il suo sviluppo all'interno del corpo colonizzato, il verme conferisce all'ospite un potere di rigenerazione di organi e tessuti danneggiati virtualmente infinito oltre a una incredibile serie di abilità sovrumane che lo trasfigurano anche nell’aspetto. L'unica possibilità di uccidere il portatore infetto è distruggergli la testa e il cervello.

La cosa interessante e per certi versi originale di un certo tipo di animazione nipponica è quello di non concedere mezze misure quando si trattano alcuni temi e un'animazione possiamo dire adulta.
Baoh continua un discorso che ai giapponesi è sempre stato a cuore come quello degli esperimenti, della bomba atomica, delle conseguenze impreviste e delle mutazioni.
Tratto da un fumetto e dallo stesso autore di "Le bizzarre avventure di Jojo", Hirohiko Araki.
Per essere una storia di orrore e fantascienza con un uso massiccio della violenza con squartamenti e altro e avendo come protagonisti una bambina e un minore, Yokoyama non si è davvero risparmiato. In un'ora sono concentrati molti elementi e tanta azione e da quando Baoh si trasforma ed esplode sembra di essere tornati a quella ferocia che contraddistingueva OAV come Devilman o altro, siglando di fatto come i giapponesi fossero ai vertici della violenza animata, allora come mai.


giovedì 16 luglio 2015

Cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante

Titolo: Cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante
Regia: Peter Greenaway
Anno: 1989
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 5/5

Il luogo della vicenda è un ristorante frequentato da clienti molto diversi: un signorotto volgare e violento accompagnato dalla moglie indifesa e dai suoi scagnozzi, ma anche un signore bene educato che legge spesso e volentieri. L'educato e l'indifesa avranno una focosa passione mentre il marito medita una crudele vendetta.

Greenaway non è sempre dissacratorio.
E'un esteta poliedrico dell'immagine proveniente dalla pittura.
Mi ricorda Tarkovsky per quel suo modo di dipingere ogni inquadratura e farla sembrare un quadro perfetto e finito, capace di comunicare più significati allo stesso tempo.
Scandito in otto giorni con tanto di prologo ed epilogo, è un film di simboli in cui il cibo e l'elemento elementare, quello da cui si plasma e con cui si finisce per marcire.
E'un simbolo a fare da sfondo ad una società tragica, in cui dominano volgarità, violenza e prevaricazione. Un film politico tessuto di estetismi al limite dell'eccesso con tonalità e gelatine fortissime che smussano i toni decisamente osceni e squallidi della pellicola.
Una tavola che non sembra mai finire, ma invece in modo grottesco formulata con un diverso spessore rispetto a LA GRANDE ABBUFFATA, in cui qui a differenza del capolavoro di Ferreri (ma anche qui di capolavoro si tratta) è una classe ben diversa, arricchitasi con ogni sorta di malefatte senza celarle ma andandone fiera che si abbuffa tra lussi sfrenati deridendo clienti e sentendosi invincibile.
A livello di forma è semplicemente indiscutibile e spettacolare.
Intramontabile e sempre denso di significati e interpretazioni colti e mai ingenui.
Un film di opposti che attraversa la psiche dello spettatore sottoponendola ad un'abbuffata di significati e regalando un finale magico ed eclatante.
Greenaway è probabilmente uno che o si ma a o si odia.

Pur non amando alla follia tutti i suoi film, sono rimasto come molti appassionati di buon cinema, ammirato ed estasiato di fronte ad un banchetto originale, diversificato e appagante come questo.

sabato 16 novembre 2013

Tango & Cash

Titolo: Tango & Cash
Regia: Andrei Konchalovsky
Anno: 1989
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Due poliziotti della narcotici dal carattere opposto: Ray Tango veste un doppiopetto inappuntabile, è occhialuto e distinto come un yuppie; Gabe Cash è un capellone in jeans e dai metodi piuttosto sbrigativi. Devono lavorare insieme per smantellare un traffico di droga, ma il boss sul quale indagano li fa imprigionare. I due amici riescono a evadere dal penitenziario attraverso le fogne.

Tra i buddy cops più famosi, una standing ovation a parte, è sicuramente costituita da questo cult, di noi cresciuti a Coca Cola e film yankee con tanto strapotere Usa e Occidentale.
Ora Tango & Cash era un film voluto molto dalle major per sfruttare il successo della coppia di attori e quindi volevano un film action molto coatto che assolvesse allo scopo e fu allora prodotto dalla Warner al costo di 55 milioni di dollari. E'strano capire come un regista serio come Konchalovsky, che ha scritto e interpretato per Tarkovskij, sia finito a dirigere questo film.
I soldi viene da pensare.
Un regista diviso tra due potenze che forse non ha mai saputo scegliere definitivamente da che parte stare. S'ignora come e perché il regista si sia imbarcato nell'impresa. Forse per i suoi goffi risvolti ironici e autoparodistici? Si sa che ne uscì per dissensi con i produttori, lasciando che le riprese fossero terminate da Peter McDonald, regista della 2ª unità.
Diventato un cult per le pompose ed esagerate scene action di cui il film è costellato, non è per fortuna così tanto reazionario, anche se lo spirito yankee emerge in alcune scene come quella della macchina in cui il russo dice "Io credo in Perestrojka?" e Cash risponde "Benvenuto in America" oppure "Tango, diventerai la mia puttana!"questo forse è un pò meno patriottico.
Non ebbe seguiti come forse speravano i produttori credendo di aver creato una coppia sulla falsa riga di ARMA LETALE o forse 48 ore.
Il risultato è un concentrato di intrattenimento senza pause e con dei dialoghi davvero sboccati e tamarri. Comunque piace e rivederlo dopo un botto di anni in una serata senza pretese intellettuali adempie al suo scopo. La sufficienza è di parte.