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giovedì 16 maggio 2024

Fifth Thoracic Vertebra


Titolo: Fifth Thoracic Vertebra
Regia: Park Sye-young
Anno: 2022
Paese: Corea del Sud
Giudizio: 4/5

Un materasso, su cui sta crescendo una misteriosa muffa, viene passato da un proprietario all’altro, testimone delle storie, di separazioni, di solitudine, di alienazione urbana. E la mostruosa creatura riesce a entrare, come un parassita, nelle vertebre delle sue vittime. Una coppia che trova casa e che si separerà, un’altra in crisi che si incontra in un love motel, una donna malata terminale che scrive la sua ultima lettera, un conducente che festeggia da solo il proprio compleanno: il filo conduttore è sempre lo stesso materasso.
 
Mediometraggio sperimentale e intimista. Un'opera che esce fuori dagli schemi per idee, messa in scena, montaggio e soprattutto l'uso del sonoro e del sound designer. Un'opera che parla di solitudine, di alienazione, risaltando alcune dinamiche di coppia, mostrando quanto ci si possa arrabattare per conquistarsi un materasso pieno di funghi. Ha dell'assurdo e diversi elementi weird l'opera di Park Sye-young che potrà probabilmente piacere ed essere compresa solo da amanti del cinema di genere. Ci sono delle similitudini con un certo tipo di Tsukamoto e tutta la fase di gestazione del fungo e la sua crescita. Quanto dura la vita di una muffa, essere che è classificabile come fungo? Corta, ci avvisa la didascalia all’inizio del film, alcuni tipi un giorno, altri una settimana, altri un mese ma comunque si tratta di durate estremamente variabili. La stessa creatura che sembra cibarsi o meglio inserire nel proprio corpo quelle vertebre che dovrebbero essere parte di una spina dorsale senza ombra di scoliosi. Eppure quando emerge sembra una ragazzina timida e impacciata una via di mezzo tra un piccolo angelo dell'innocenza e una creatura composta di sporcizia, un ammasso informe e rivoltante, di ife fungine, miceli, filamenti aggrovigliati.
Il fungo è fatto in stop-motion e il finale riesce ad essere poetico come se facesse, in parte, tutta parte di un sogno.

lunedì 13 maggio 2024

Vibroboy


Titolo: Vibroboy
Regia: Jan Kounen
Anno: 1994
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Francesca ruba una statua azteca nelle profondità del Messico. Tornata in Francia, lascia temporaneamente l'ingombrante oggetto alla sua amica Brigitte. Ma è sposata con un bruto patentato, Léon, che rompe la statua, provocando in lui la reincarnazione di Vibroboy, un supereroe nevrotico accoppiato con un maniaco sessuale tecno-primitivo.

Il regista di DOBERMAN gira questo mediometraggio abbastanza folle e peculiare giocando con le statue azteche e i suoi significati trovandovi all'interno niente poco di meno che un fallo gigante.
Lo stile è il solito ambizioso e molto curato soprattutto per quanto concerne la fotografia rugginosa e la scenografia in questa sorta di degradata baraccopoli tutta composta di macchine distrutte come diventerà questa sorta di Vibroboy, una creatura mostruosa composta da pezzi di metallo che lancerà questo oggetto in aria facendolo auto gestirsi e finendo per punire le sue vittime. Tre personaggi, uno stile frenetico e video clipparo dove Francesca, il trans, sembra l'oggetto predestinato, la vittima sacrificale, su cui si riversa la vendetta e la rabbia di Vibroboy per la statua rubata da lei stessa in Messico.

mercoledì 18 ottobre 2023

Meravigliosa storia di Henry Sugar


Titolo: Meravigliosa storia di Henry Sugar
Regia: Wes Anderson
Anno: 2023
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Henry Sugar, un uomo ricco che non ha mai lavorato in vita sua, viene a conoscenza attraverso un quaderno dell'esistenza di un guru, Imdad Khan, che riesce a vedere senza usare gli occhi. I medici e gli specialisti sono inizialmente dubbiosi di questa sua capacità ma poi, dopo averlo messo alla prova, hanno scoperto che il suo talento era autentico. Decide così di imparare questa tecnica per poter imbrogliare al gioco d'azzardo.
 
Nello stesso anno Anderson ci ha dato ben tre opere. Anche se di un mediometraggio si parla Henry Sugar parte da un testo ritrovato in una biblioteca per fare una desamina su un personaggio che ha creato una sorta di evento improbabile e il nostro protagonista che vuole emularlo senza sapere poi come sfruttare la sua stessa abilità. Sicuramente meno ispirato, molto romanzato, con Ralph Fiennes che dopo il Deratizzatore, la terza opera sempre di quest'anno, ritorna alla corte di Anderson con il solito manipolo di attori stellari e la new entry Benedict Cumberbatch che con la sua elegenza british riesce subito a integrarsi nella sue cornici.
Perchè di cornici si tratta, di scene clamorosamente studiate alla perfezione con un reparto tecnico dove la scenografia e la fotografia sono sempre molto incisive spettacolarizzando ogni elemento. Per qualsiasi attore recitare con Anderson deve sicuramente essere un'esperienza esaltante dando la possibilità di esercitare il proprio estro su personaggi così tagliati con l'accetta che sembrano far parte di una compagnia teatrale recitando su un palcoscenico e dimostrando di conoscersi quasi a memoria. Ritorna Roald Dahl dopo uno dei capolavori del regista ovvero Fantastic Mr Fox

giovedì 15 dicembre 2022

Guardiani della Galassia Holiday Special


Titolo: Guardiani della Galassia Holiday Special
Regia: James Gunn
Anno: 2022
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un Holiday Special che si apre in un modo piuttosto peculiare: uno sfizioso flashback ci svela come Yondu fosse intento a schiacciare lo spirito natalizio di Peter fin da ragazzino, rovinandogli per sempre l'amata festività. Nel presente, avvicinandosi il periodo ormai traumatico per il leader dei Guardiani, a Drax e Mantis sovviene l'illuminazione per il perfetto regalo da fargli, ovvero portargli l'uomo di cui più ha parlato nel corso di tutti questi anni, nientepopodimenoche il suo mito Kevin Bacon. Inizia allora un viaggio dai caratteri estremamente trash sul pianeta nostrano, dove il magico duo è convinto di star cercando un eroe leggendario capace di salvare un'intera cittadina ballando e cose simili, non un semplice attore intento a passare un piacevole Natale con la famiglia.
 
Questa sorta di mediometraggio va preso con le pinze contando che la Disney avrà detto a Gunn di essere un pò meno politicamente scorretto per raccontare una fiaba post moderna sullo spirito del Natale infarcendolo (ma non in modo eccessivo) di buoni sentimenti con un colpo di scena finale nuovamente sulle origini e la famiglia di Peter. Per assurdo tutto funziona alla grande fino a quando non entra in scena Kevin Bacon che non riesce proprio ad entrare mai in parte, probabilmente rendendosi conto del momento quanto mai ridicolo e di una farsa che si regge solo grazie alla messa in scena e a qualche interpretazione. Invece le incursioni negli altri pianeti, qualche canzone, almeno non riescono a rendersi così detestabili ma soprattutto le gag e le battute tra Bacon, Drax e Mantis sono da cancellare riuscendo a fare peggio di quanto si potesse pensare.
Alla fine è un abbraccio collettivo, un vogliamoci bene con tanto di regalini finali e buoni sentimenti.

sabato 1 agosto 2020

Art of Fighting-L'occhio di Sirio


Titolo: Art of Fighting-L'occhio di Sirio
Regia: Hiroshi Fukutomi
Anno: 1993
Paese: Giappone
Giudizio: 2/5

Ryo e Robert sono due amici per la pelle con la passione per le arti marziali. E mai avrebbero immaginato che la loro amicizia e la loro passione sarebbero tornate così utili. Tutto inizia sempre dal molto piccolo: un gatto siamese da riportare alla ricca proprietaria, un acrobatico inseguimento sui cornicioni per riacciuffare l'ostinato felino che porta fino ad un appartamento pieno di primitivi armati fino ai denti... E così Ryo e Robert vengono coinvolti in una storia maledettamente complicata al centro della quale si trova il favoloso Occhio di Sirio!

Ennesimo segmento della saga di ART OF FIGHTING. Questo come altri è una specie di costola appassita che cavalcava il successo degli anime a quei tempi, mettendo in scena due protagonisti mai così diversi esteticamente da quelli dei videogiochi per una storia molto semplice e un mediometraggio di 40'.
Anche l'animazione è meno curata, il budget è minore, il ritmo nonostante tutto si sforza di riuscire ad essere incalzante con il risultato che i combattimenti sono flosci tolto forse la sfida finale con il braccio destro del boss, una bionda che sa il fatto suo. Non si salva molto, i dialoghi sembrano improvvisati, l'equivoco iniziale come incidente scatenante è debole e non ha molto senso e poi il solito rapimento della sorella di Ryo nonchè futura ragazza di Robert per ottenere un diamante nascosto in un freezer è semplicemente ridicola.


martedì 7 gennaio 2020

Guava Island


Titolo: Guava Island
Regia: Hiro Murai
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Sull'Isola di Guava un musicista locale è intenzionato a organizzare un festival per tutta la popolazione.

Guava Island è un film che sprigiona così tanto amore, umanità, colori, freschezza, danze e bellezza che fa quasi commuovere nella sua breve durata di un'ora scarsa. Una fiaba metropolitana con sognatori, amori che non finiscono mai, leggende folkloristiche, boss locali e tanta, tanta musica e finalmente il concetto di musical che riesce a configurarsi perfettamente con alcune canzoni di Childish Gambino potenti e frenetiche che poi altro non è che il nome d'arte dell'attore che interpreta il protagonista.
Il film è di un regista americano di origine giapponese in una località tutta africana e con attori del luogo più alcune star che non hanno bisogno di presentazioni. Una combo strana di elementi che si rivela frizzante e funzionale, di fatto regalando un film squisitamente acceso e politicamente schierato. Un film che parte con una favola folkloristica locale d'animazione per poi prendere una piega che dalla quotidianità tira fuori tutta la vitalità e la voce di chi crede strimpellando una chitarra di poter cambiare le cose e creare un mondo migliore.
Deni è il vero protagonista della vicenda il quale sceglie e non potrebbe vivere in un altro luogo, nonostante il regime dittatoriale del boss dell'isola che detiene e controlla tutto. Deni è parte così attiva e integrante della comunità, conoscendo tutti, essendo amico di quasi tutti, con una vitalità contagiosa in una non meglio specificata isola esotica che sembra esteticamente e tecnologicamente rimasta fuori dal tempo. Tutto sembra convergere sul protagonista il quale deve barcamenarsi tra un impiego al porto e una trasmissione radiofonica propagandistica, nella quale è costretto - sempre col sorriso, sempre con le buone maniere - a tessere le lodi e osannare il leader di Guava Island, il boss Red Cargo. Il mediometraggio assume così un contesto socio-politico più ambizioso e complesso che se è vero viene affrontato con una certa facilità e forse prevedibilità degli scenari riesce ad essere sempre calzante nel ritmo e funzionale sia dal punto di vista narrativo che formale.
«Guava Island è il risultato finale di quattro incredibili settimane trascorse a Cuba con alcuni dei più creativi talenti che abbia mai incontrato», ha dichiarato il regista in una nota, «Designer, artisti, musicisti e attori si sono uniti da tutto il mondo per creare questo folle sogno»


giovedì 24 ottobre 2019

Mecanix

Titolo: Mecanix
Regia: Rémy M.Larochelle
Anno: 2003
Paese: Canada
Giudizio: 3/5

In un mondo comandato da strane creature, pochi umani sono ancora in vita, ma ridotti in schiavitù. L’unica cosa temuta dalle “macchine” è l’embrione, l’origine di ogni cosa e l’unica cosa che può salvare gli esseri umani.

Mecanix è un mediometraggio molto malato e disturbante di un autore che sembra un braccio di ferro tra Jimmy ScreamerClauz e Flying Lotus, passando per Svankmajer, planando su Fukui strizzando l'occhio a Lynch e facendo ogni tanto tappa occasionale in quel capolavoro totale che è Blood tea and red string
Pochi soldi, tanta immaginazione e inventiva e l'uso sapiente nell'utilizzo dei mezzi, dalla stop-motion, alla fotografia fino alle note dolenti di una musica (se così possiamo chiamarla dal momento che è composta perlopiù da lamenti e voci distorte) disturbante e deleteria, in grado di mettere a dura prova la vostra resistenza parlando di un'opera che dura sessanta intensissimi minuti.
In realtà poi parte della storia e del ritmo sembrano essere come l'automazione e il lavoro in fabbrica, un girotondo caotico, un cerchio infernale dove le creature bio-meccaniche che lo controllano torturano gli ultimi umani rimasti in cerca dell'embrione dell'universo attraverso delle pene in gironi infernali che sembrano ripetersi all'infinito.
Movimenti che ritornano, umani reale che strisciano e creature in stop-motion, l'inferno, la vivisezione e gli esperimenti dello scienziato folle, in tutto questo il vero cuore pulsante dell'opera se per gli umani è l'embrione per i mostri sono gli ingranaggi che mandano avanti il mondo delle creature bio-meccaniche.
Un'opera complessa e molto straziante, che diventa un urlo disperato, un film per pochi, una metafora di dove stiamo andando per criticare un certo tipo di capitalismo ma anche la sovranità di alcuni esseri che pensano di poter fare ciò che vogliono con la massa dei più deboli che non hanno il coraggio di ribellarsi.
In fondo l'opera di Larochelle è pura estetica, si apre a così tante interpretazioni, metafore e altro che seppur un incubo allucinato alla fine lascia molto di più di quelli che non sembra.

lunedì 21 ottobre 2019

Sound & fury

Titolo: Sound & fury
Regia: AA,VV
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un personaggio misterioso viaggia attraverso un mondo post-apocalittico, alla ricerca di una violenta resa dei conti.

Quaranta minuti di immagini in una ruota furibonda di terrore e distruzione, devastazione e stragi violentissime. Sembra il corto di KILL BILL unito al post-apocalittico di MAD MAX citato almeno all'inizio in maniera palese, spostandosi di epoche come il tremendo IZO di Miike Takashi. Un mediometraggio antologico coloratissimo prodotto dal cantante di musica country Sturgill Simpson il quale impermea tutta la soundtrack del suo prossimo album, intitolato Sound & Fury e lasciando così in modo che siano solo le note musicali a imporsi nella visione senza alcun tipo di dialogo. Tante sono le maestranze coinvolte, tutte funzionali e con nomi che risaltano per la loro importanza dai vecchi sperimentatori che miscelano scelte che rimandano ad un certo passato, AKIRA ad esempio, a nuovi autori abbastanza prestigiosi come Mizusaki e quel Takashi Okazaki di SAMURAI AFRO.
Un cocktail frenetico quasi impossibile da recensire visto che passa tutta come un'esperienza visiva e uditiva coinvolgente con tante epoche e contesti differenti, stili d'animazione all'avanguardia, un ritmo che è una furia e alcune scene splendide di una violenza sconvolgente ma a tratti straordinaria.

lunedì 11 marzo 2019

Transit


Titolo: Transit
Regia: Mariam El Marakeshy
Anno: 2018
Paese: Grecia
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 4/5

Potenti storie di giovani rifugiat* che hanno rischiato la vita attraversando il mare Egeo verso l’Europa, per rimanere intrappolat* nell’isola greca di Lesbo. Piccole forme di resistenza aprono spiragli di speranza

Co finanziato da un canale televisivo turco, Transit è un documentario scomodo, indipendente e low budget che ha il merito di cogliere alcune testimonianze di tutti coloro che si sono trovati intrappolati nell’isola greca di Lesbo senza aiuti dall'Europa in accampamenti che spesso non hanno nemmeno i servizi principali.
Un luogo che "dovrebbe essere" di transito, dal momento che tanti rifugiati non vedono la Grecia e l'Italia come quella Europa che dovrebbe ospitarli e sistemarli, ma una via di mezzo per l'Europa che significa invece Germania o paesi più industrializzati.
Emergono dettagli inquietanti come i salvagenti consegnati dagli scafisti ai rifugiati che in realtà non sono omologati a norma, ai traumi senza parole delle testimonianze di persone e famiglie semplicemente lasciate lì, in mezzo ad un'isola con sogni, rabbia, delusioni e intenti su un futuro che sembra sempre più abbandonato e reso inconsistente da una politica che si dimentica di loro.

domenica 14 ottobre 2018

Scorpio Rising


Titolo: Scorpio Rising
Regia: Kenneth Anger
Anno: 1964
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Un party di giovani ribelli degli anni Sessanta. Giovani che fanno del simbolismo il loro stile di vita. T-shirt, jeans attillatissimo, borchie, giubbotti di pelle nera e la immancabile motocicletta scattante e rumorosa. L'abbigliamento rivela un forte feticismo, soprattutto se in presenza di catene e simboli nazisti che spesso sono legati ad una perversa omosessualità.

"Ho sempre ritenuto il cinema un male. Il giorno in cui il cinema è stato inventato è stata una giornata nera per l'umanità."
Che dire quando ci si trova davanti agli spiazzanti corti di un artista icona della nuova Hollywood come Anger e il suo bisogno fisico di provocare lo spettatore con un suo linguaggio cinematografico contemporaneo colto e mai banale dove il bisogno di scatenarsi nel vero senso della parola con ironia e irriverenza riesce a non cadere mai in nulla di gratuito ma invece risulta una sorta di manifestazione dell'ego e della libertà soprattutto sessuale.
Anger sfrutta e in Scorpio Rising più che mai un suo simbolismo e i suoi rituali che servono a scandire e narrare l'ascesa dei "bikers" e di tutto quello che questa sub cultura ha generato nel bene e nel male come gli Hell's Angels esaltandone le vicende e i gesti quotidiani come rituali pagani.
Scorpio Rising in 30' fagocita simboli, accessori, mode, linguaggi, personaggi e facendolo sforzandosi di mostrare quello che Anger voleva mostrare e diventato un cult praticamente saccheggiato da numerosissimi registi che non hanno potuto trattenersi dal citarlo e omaggiarlo in tanti film a partire da Scorsese, Lynch, Hopper, etc.
Un piccolo gioiello, a suo tempo accusato di oscenità per i brevissimi inserti hard.
Anger tenterà poi di realizzarne una sorta di seguito,di cui ci resta un frammento di soli 3 minuti dal titolo "Kustom Kar Kommandos".

venerdì 12 ottobre 2018

Cord


Titolo: Cord
Regia: Pablo Gonzales
Anno: 2015
Paese: Germania
Giudizio: 3/5

In un mondo post -apocalittico, dove l'inverno non ha mai fine, alcuni superstiti della razza umana vivono sottoterra. A causa delle insalubri condizioni dell'ambiente in cui vivono, il contatto sessuale è diventato pericoloso. La masturbazione è quindi divenuta l'unica esperienza sessuale possibile grazie al perfezionamento di una serie di dispositivi low-tech creati appositamente a questo scopo. In questa desolante realtà, Czuperski (uno dei commercianti di questi dispositivi) e Tania (una sesso dipendente) fanno un patto: lei gli permetterà di sperimentare nuovi dispositivi sul suo corpo in cambio del piacere. Ben presto però, il loro rapporto finirà fuori dal loro controllo.

Sci-fi. Un'unica location. Tre attori. Idee. Stop
L'esordio di Gonzalez è un fantahorror post-apocalittico (sotto genere predominante negli ultimi anni nel cinema di genere anche solo per aver lanciato la possibilità di rinchiudere persone in location isolate dove al di fuori c'è qualcosa che uccide e questa semplice idea ha prodotto migliaia di pellicole spesso e volentieri grazie a budget miseri)
Dovendo dare a Gibson ciò che è di Gibson, qui ritroviamo molti elementi già scandagliati e usati a dovere che rientrano in quella fornace dove sono i dispositivi low-tech a fare da padroni e gli umani sono schiavi della realtà virtuale (scenario che in parte stiamo andando a concretizzare)
L'alienazione, vivere in spazi claustrofobici, il sesso come esperienza virtuale, l'accoppiamento come baratto, il sacrificio, la trasformazione, ci sono ovviamente tutta una serie di elementi squisitamente utilizzati e scandagliati da registi più famosi come Cronmberg e Tsukamoto ma qui il regista utilizza proprio e insisite su questo elemento quello della cavia e le apparecchiature utilizzate con cavi e liquidi che fuoriescono dalla pelle e dalla materia e dove soprattutto si sviluppa un'inquietante rapporto ossessivo tra vittima e carnefice.
Con l'accomunante che come per STRANGE DAYS dava prova che ormai l'umanità per provare esperienze che l'appaghino cerca sempre di più qualcosa di estremo dove diventiamo proprio cavie di qualcosa a cui ci sottoponiamo e che prende il sopravvento su e dentro di noi.
Qui è di nuovo il sesso alla base dove non resta che farsi aiutare da cavi elettrici tatuati nel corpo, strumenti freddi e impersonali (ma efficaci) con cui titillare le zone del cervello responsabili del piacere orgasmico. Mi ha ricordato anche se con intenti del tutto diversi I.K.U e tante altre cose. Drammatico, violento, la ricerca di toccare confini estremamente pericolosi porterà vittima e carnefice ad un epilogo che andrà e sarà del tutto fuori controllo.



lunedì 17 settembre 2018

Genesis


Titolo: Genesis
Regia: Nacho Cerda
Anno: 1998
Paese: Spagna
Giudizio: 4/5

Uno scultore perde sua moglie in un incidente.
Come un Pigmalione addolorato risveglia dalla pietra il corpo del suo amore perduto, ma nello stesso istante in cui questo prende vita l'uomo si trasforma a sua volta in una statua.

Romantico, inquietante e allo stesso tempo molto coinvolgente l'ultimo dei tre mediometraggi girati da Cerda per la sua trilogia sulla morte.
Qui la trasformazione, il bisogno di credere in un miracolo possibile, la resurrezione sono tutti elementi importanti che portano qui al macro tema ovvero quello della metamorfosi. A differenza dei precedenti lavori qui la regia non è per niente sanguinolenta o truculenta lavorando quasi di sottrazione e puntando tutto sull'atmosfera (per tutti i trenta minuti siamo all'interno del laboratorio con una fotografia che verte quasi solo sul bianco e l'azzurro), dove la colonna sonora è la musica classica, dove non ci sono ancora una volta dialoghi ma invece sono proprio le sonorità a dare quel senso di tensione e ansia per qualcosa che lentamente scopriamo ma che solo nel climax finale vediamo manifesta.
La genesi della statua, la sua nascita, i continui e nuovi tentativi, la capacità di non mollare portano lo scultore nel bellissimo finale a poter vedere la creazione un istante prima di trasformarsi interamente in pietra inerte.

martedì 5 dicembre 2017

Goonga Pehelwan

Titolo: Goonga Pehelwan
Regia: Vivek Chaudhary and Prateek Gupta
Anno: 2013
Paese: India
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 4/5

Un documentario che segue l’atleta sordo più bravo dell’India sulla sua improbabile ricerca per raggiungere le Olimpiadi di Rio 2016 e diventa il secondo lottatore sordo nella storia delle Olimpiadi a farlo.

Davvero sorprendente questo mediometraggio indiano.
Il wrestler muto Virender Singh Yadav a parte essere un attore nato e una persona che buca la quarta parete mostrando la sua semplicità, la sua voglia di vivere e soprattutto il suo straordinario talento da lottatore. Virender però è sordo.
Proprio questo "limite" lo porta all'interno di questo documentario ad analizzare le cause per le quali l'atleta non ha mai potuto partecipare alle Olimpiadi per i normododati mentre invece ha solo partecpato alle Paraolimpiadi. Il perchè dal puto di vista burocratico è che l'atleta non sentendo il suono del fischietto non può competere. L'altra versione è che Virender è così forte che avrebbe sicuramente battuto gli atleti normodtati e questa particolarità forse non era ben accetta dal comitato olimpico.
Ancora una volta vengono analizzate diverse tematiche tra cui le disparità di trattamento e le opportunità o gli svantaggi che gli atleti disabili hanno ricevuto dal governo e dalla società.
Virender con il suo appello chiede e vorrebbe giustamente un cambiamento che ossa giovare e sostenere gli atleti disabili attraverso l'inclusione e a vincita di premi in denaro.
L'ispirazione alla base di questo documentario era un articolo di giornale che uno dei registi, Vivek Chaudhary, aveva letto. L'articolo parlava di Virender Singh, un wrestler sordo e muto che, nonostante fosse un Campione del Mondo e Deaflympics Gold Medalist tra le altre cose, non è riconosciuto e non è celebrato dal Paese e dal Governo. Il sogno più grande di Virender e uno degli obbiettivi del documentario è quello di raccogliere supporto e rendere possibile il desiderio di Virender Singh di rappresentare l'India alle Olimpiadi di Rio 2016 possa esaudirsi. Speriamo!


sabato 18 novembre 2017

#Io segno (anche più di Totti)

Titolo: #Io segno (anche più di Totti)
Regia: AA,VV
Anno: 2011
Paese: Italia
Festival: Divine Queer Film Festival
Giudizio: 3/5

Viene raccontato l'universo "oltre il suono" dei protagonisti: la scuola, le passioni, l'integrazione con il mondo udente, il lavoro in radio fino al riconoscimento della Lis come lingua ufficiale.

Con quest'ottimo mediometraggio di '45, la coppia di registi che intravediamo anche all'interno del video, si è occupata di parlare di un universo abbastanza sconosciuto ovvero il mondo della Lis (Lingua dei segni italiana) e di alcuni suoi insuperabili e divertentissimi protagonisti.
C'è un centro a Roma dove un gruppo di ragazzi e ragazze porta avanti un lavoro, delle attività e l'impegno di partecipare ad un progetto solido e ambizioso che ha prodotto fatti con risultati interessanti come la Radio Kaos ItaLis dei sordi e alcuni incontri come quello al bar dei sordi aperto a Bologna dove confrontarsi con altri ragazzi che hanno l'elemento in comune della Lis.
Sono tanti e molto motivati, non hanno paura di raccontarsi anche nelle difficoltà e soprattutto hanno saputo convivere con questa difficoltà senza farsi prendere dall'ansia o dai pregiudizi.
Il quadro che ne emerge, soprattutto al femminile, e di un gruppo coeso e forte che ha deciso di mettersi in gioco partecipando e sostenendo attivamente le attività in tutti i vari settori, dalla scuola, alle passioni, l'integrazione con il mondo udente, il lavoro in radio fino alla battaglia per il riconoscimento della LIS come lingua ufficiale.
In più è un lavoro che spiega di fatto che cos'è veramente la Lis (spiegata appunto dai ragazzi), come funziona e quali sono state le difficoltà iniziali legate alla sordità e le loro esperienze.
Con tante musiche, una regia de facto da videomaker senza grossi guizzi, ma puntando la camera su di loro, il mediometraggio è stato caricato anche su Youtube ed era fuori concorso nell'area cortometraggi all'interno del Divine Queer Festival dopo essere passato per il CineDeaf ovvero il festival Internazionale del Cinema Sordo di Roma
Vincitore del premio speciale della comunità radiotelevisiva italofona, per la capacità di ricordarci che le lingue sono un patrimonio culturale di inestimabile valore e che la loro coesistenza arricchisce tutti favorendo la creatività, la comprensione reciproca e la solidarietà.



domenica 11 dicembre 2016

Wind(2016)

Titolo: Wind(2016)
Regia: Saw Tiong Guan
Anno: 2016
Paese: Cina
Festival: TFF 34°
Sezione: Festa Mobile
Giudizio: 3/5

Christopher Doyle ha condotto un’esistenza a dir poco straordinaria: dopo aver lasciato i deserti australiani per l’oceano, ha viaggiato in tutto il mondo, lavorato come marinaio e scavatore di pozzi e vissuto in un kibbutz. Una vita avventurosa, che l’ha portato a Taiwan, dove, infine, a trentadue anni, ha imbracciato per la prima volta una macchina da presa, divenendo uno dei direttori della fotografia più noti e apprezzati del cinema contemporaneo, collaboratore di registi come Wong Kar-wai, Gus Van Sant, James Ivory e Neil Jordan. In questo film racconta la sua vita seduto di fronte all’obiettivo, fra ricordi, immagini e riflessioni.

Christopher Doyle è un artista poliedrico ed eccentrico.
Il premio vinto e consegnatoli al TFF 34° ha incorniciato un personaggio molto umile e divertente. La sua performance e le sue parole sono state caldamente apprezzate assieme al suo bisogno di parlare e dare valore alla settima arte. Il suo cinema e la sua professionalità come direttore della fotografia nasce da autodidatta da chi non ha tutto pronto ma si lascia immergere nelle scene trovando il punto giusto e la prospettiva dove inserirsi. Ha detto molto nella sua intervista Doyle, partendo dal potere della Cina che ci domina già tutti, delle nuove tecniche digitali, del suo amore per le droghe e l'alcool e per la sua straordinaria e assetata curiosità e voglia di scoprire.
A fare da sfondo una spiaggia, acqua, onde e scogli, il tutto frammentato come i ricordi del regista che si alternano in un b/n suggestivo e funzionale.


lunedì 18 luglio 2016

My hottest year on earth

Titolo: My hottest year on earth
Regia: Halfdan Muurholm
Anno: 2016
Paese: Danimarca
Festival: Cinemambiente 19°
Giudizio: 3/5

Il 2014 è stato probabilmente l’anno più caldo nella storia del Pianeta. Un meteorologo danese decide di lasciare il lavoro con l’idea di viaggiare intorno al mondo per incontrare coloro la cui vita è cambiata completamente a causa di uno dei recenti eventi climatici estremi. Si parte così dalle Filippine devastate da Hayan, il peggior tifone che si sia mai abbattuto sull’arcipelago, per continuare nell’Inghilterra colpita dalla più grave alluvione degli ultimi settant’anni e giungere in Bangladesh, in cui i migranti per cause climatiche sono milioni. L’ultima tappa è la Florida, dove l’innalzamento del livello del mare mette in serio pericolo uno dei paesi più ricchi del mondo

Muurholm come quasi tutti i registi dei documentari vari che circolano per il Cinemabiente o i vari festival, è il protagonista narrante delle vicende. Gira e studia, osservando e monitorando i cambiamenti climatici ponendo spesso domande ai singoli cittadini per fare delle comparazioni rispetto agli ultimi anni e gli incidenti che si sono verificati.
E'un mediometraggio scioccante e di attualità che ancora una volta sottolinea l'emergenza climatica in atto e ormai quasi impossibile da bilanciare.
Il dato certo è che tutti questi fenomeni non riguardano solo più i paesi del terzo mondo ma stanno mandando in cancrena ormai tutte le aree geografiche del mondo.

giovedì 16 luglio 2015

Kung Fury

Titolo: Kung Fury
Regia: Dadiv Sandberg
Anno: 2015
Paese: Svezia
Giudizio: 4/5

Kung fury, detective della polizia di Miami ed esperto di arti marziali, viaggia indietro nel tempo, dagli anni Ottanta alla Seconda guerra mondiale, per uccidere Adolf Hitler, alias Kung Führer, e vendicare in tal modo la morte del suo miglior amico avvenuta per mano del leader nazista. Un errore nella macchina del tempo lo spedisce però in piena epoca vichinga.

C'è ne fossero di mediometraggi così...
Il fatto che sia stato girato grazie ad una campagna di raccolta fondi sulla piattaforma Kickstarter, credo che sia già sinonimo delle difficoltà produttive per lavori di questo tipo.
E pensare che sono stati raccolti più di 600.000$, questo per dire quanto i nerd e gli amanti in generale dei b-movie e di tutto l'universo che gravita attorno al fantasy, abbiano voluto che questo medio si facesse, assumendosi le responsabilità che potesse diventare una porcata come purtroppo tanti infedeli alla materia lo hanno definito.
Sandberg poi è uno sconosciuto ma di quelli che sanno il fatto suo, mischiando e creando un vaso di Pandora gigantesco che in '30 farebbe allibire molti registi contemporanei soprattutto le produzioni hollywoodiane che con milioni e milioni e centinaia di milioni creano puttanate meno credibili di Kung Fury (tipo TRANSFORMERS o boiate del genere la lista è lunga...)
Il fatto poi di aver attinto alla cultura nordica con un Thor decisamente antiestetico, delle tettone tettesche provocanti, dinosauri, un nerd e un poliziotto Triceratopo contro i nazisti è evidente di un divertimento e di una totale assenza di cercare di prendersi sul serio, ma creando un prodotto divertentissimo e funzionale alla parodia di generi.
Si potrebbe continuare citando un’estetica che rimanda ai film anni ottanta, videogiochi arcade, una computer grafica più che credibile che ha permesso al regista di girare il 90% del film nel suo studio grazie all’uso massiccio di greenscreen.
Non è un caso che abbia ottenuto oltre 10 milioni di visualizzazioni in meno di 4 giorni.

Chissà se Sandberg, con un budget più solido, cosa potrebbe essere in grado di creare...

venerdì 19 dicembre 2014

I'm here

Titolo: I'm here
Regia: Spike Jonze
Anno: 2010
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un assistente di biblioteca si trascina attraverso una vita ordinaria a Los Angeles fino a quando un incontro casuale gli apre occhi al potere della creatività e, alla fine, all'amore. Quando questa nuova vita e amore cominciano a cadere a pezzi, lui scopre di avere molto da dare.

Jonze dopo una svariata carriera a girare videoclip e ha regalarci alcuni film indimenticabili, ancora una volta di destreggia nell'insolito, girando un mediometraggio singolare e toccante.
I'm here non è originalissimo, sia nella tematica che nella struttura della storia e nei colpi di scena finali. I'm here è un medio molto intimo che immediatamente mette in secondo luogo l'originalità o meno destando subito interesse soprattutto grazie alla sua carica emotiva che ti fa identificare subito con i personaggi.
Quello che colpisce è lo stile ancora una volta innovativo e alternativo, che mette insieme diverse tematiche morali ed etiche tutte analizzate in una profonda metafora e riflessione sul tema del "dono" anzi del "donarsi" verso chi amiamo.
Con una potenza non solo sprigionata dalle immagini ma soprattutto dalla musica, I'm here è una poesia romantica che conquisterà il pubblico con immagini non solo originali e dotate di quella fragranza jonziana, ma anche e soprattutto di dramma e di reale sofferenza, palesata o celata dietro lo sguardo malinconico del suo protagonista (basta pensare il climax finale e la quasi assenza di musica come ad interrompere un idillio magico tra Sheldon e Francesca).
I’m Here, attraverso la metafora dei robot, è un po’ il grido interiore di tutti noi, quasi a voler chiedere chi non si è mai ritrovato innamorato a tal punto o chi non vorrebbe provare un sentimento simile. E soprattutto cosa sarebbe disposto a "donare"?

mercoledì 19 novembre 2014

Dylan Dog-Vittima degli eventi

Titolo: Dylan Dog-Vittima degli eventi
Regia: Claudio di Biagio
Anno: 2014
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Roma. Notte Adele passeggia col fratello fuori da Castel Sant'Angelo; i due incontrano una donna sfigurata in vestiti d'epoca, che si avvicina a lei e si strappa letteralmente la testa dal corpo. Titoli di testa. Dopo essere finita in ospedale, Adele per capirci qualcosa si rivolge a Dylan Dog e al suo sarcastico assistente Groucho. L'ombroso "indagatore dell'incubo" si appassiona al caso, e con l'aiuto del proprio «quinto senso e mezzo», di una medium, un collezionista e del "vecchio" ispettore Bloch risolve l'enigma.

Diciamo che il primo elemento che incuriosisce di fronte a questo fan-movie, da prendere molto seriamente, è la maniacale cura del dettaglio.
Sembra che finalmente Di Biagio, regista con un film all'attivo e una serie FREAKS!, si sia preso l'onere di restituire il capolavoro di Bonelli al suo fedele pubblico e i suoi fedeli fan, dopo che gli americani con Dead of night avevano fatto il peggio con quel tanto che avevano a disposizione. Praticamente si può dire che con quel budget avrebbero girato l'intera serie di questo fan-movie che invece, è stato prodotto con parecchie difficoltà, due campagne di crowdfunding, e una benedizione da parte di Bonelli, il quale appare pure in un cameo, e la casa editrice di Dylan Dog, che ha chiuso un occhio sulla faccenda del diritto d’autore.
I 30 mila euro raccolti in tutto da Di Biagio e Vecchi sono bruscolini rispetto al costo effettivo del film che hanno girato. Lo stesso regista, in un’intervista a Wired, spiega come, in sostanza, le persone hanno lavorato gratis: «è stato fantastico ma non è un modello sostenibile, non aver potuto pagare le persone è gravissimo ma l’abbiamo fatto perché era l’unica maniera per poter fare emergere noi e tutti quelli che hanno lavorato con noi».
In Italia, dicono, non c’è un sistema, né dal basso né dall’alto, per sostenere questo tipo di produzioni. Assieme alla visionarietà, gli effetti in c.g che fanno la loro figura e per l'attenta fotografia in grado di restituire quella particolare atmosfera, l'opera di Di Biagio è comunque in primis un lavoro di scrittura, una sceneggiatura ben congeniata che dissemina citazioni, richiama alla memoria dettagli preziosi del fumetto, facendo intendere come basta solo accendere la miccia dall'alto e tutto decollerà e si collegherà quasi in modo sistematico, ridando vitalità e clamore a qualcosa che non si pensava potesse avere una messa in scena così potente.


venerdì 18 marzo 2011

Watchman Tales of the Black Freighter

Titolo: Watchman-Tales of the Black Freighter
Regia: Mike Smith e Daniel Del Purgatorio
Anno: 2009
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Un giovane marinaio, unico sopravvissuto della ciurma della sua nave, affronta i flutti per avvisare i suoi concittadini dell'arrivo del temibile Vascello Nero. Nell'albo di Alan Moore e Dave Gibbons serve a sottolineare, capitolo per capitolo, i temi della storia principale.

Tales of the Black Freighter scritta da Alan Moore e Dave Gibbons probabilmente verrà inserito in un mega cofanetto destinato al famoso film come grapich novel. Il mediometraggio d'animazione in questione invece è particolarmente interessante sia dal punto di vista dello stile assolutamente preciso ma soprattutto per la tematica della pazzia che porta il protagonista in un viaggio allucinante destinato ad essere la catarsi della sua stessa malata dimensione.
E' così vanno menzionati i meriti che il cartone riesce ad evocare come la fantastica scena dell'arrivo del vascello nero e l'attacco ai pirati non-morti.