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sabato 14 marzo 2020

Zan



Titolo: Zan
Regia: Shinya Tsukamoto
Anno: 2018
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5

A metà Ottocento, in un piccolo villaggio del Giappone, la quotidianità viene messa a soqquadro dall'arrivo della guerra.

I ritorni quella con la R maiuscola. Tsukamoto per me come Miike Takashi, Sion Sono, rappresentano i più prolifici outsider nipponici mai visti negli ultimi anni. Capaci di rendere omaggio a tutto il cinema di genere e di fatto facendo ciò che vogliono rimanendo fuori dalle regole.
Tsukamoto ha davvero una filmografia intensa, sperimentale, precursore di un certo tipo di sci-fi cyber punk, dimostrando anche come attore di avere enorme talento.
Per la prima volta si confronta con il genere samurai o meglio dire ronin erranti. A differenza dei cinesi non gioca sul wuxia, rimanendo come per Miike fedele ad una storia semplice quanto attenta ad individuare nuovi intenti e obbiettivi da raggiungere sondando come un diapason le pulsioni primordiali dell’animo umano e lasciando in secondo piano la violenza raggiungendola solo in alcune scene catartiche come quella con la banda dei ronin fuorilegge nella caverna e il finale che acquista un sapore magico oltre ad essere una caccia inaspettata. Il jidai-geki messo in scena dall’autore è minimale, catartico nel cogliere una natura e farla esplodere con tutti i suoi colori e lasciarla selvaggia in comunione con coloro che la amano, la popolano e la rispettano.
La narrazione è scarna ed essenziale, tutto il vecchio sapore di un montaggio allucinato, di azioni imprevedibili che scattano come molle da parte di personaggi mai bilanciati come invece appaiono maestro e discepolo nel film sembrano messi da parte. Un lento studio, un incontro con un popolo contadino semplice e rispettoso, l’onore e la fedeltà, insomma tanti preziosi fattori che non vengono mai lesinati o sciorinati solo per dare prova di un esercizio estetico portato a livelli molto alti. Pochi dialoghi, tantissimi sguardi, posture, costumi, semplicità, il nuovo Tsukamoto sembra aver passato settimane sotto cascate di umiltà prima di arrivare a calpestare un altro scenario che dimostra di saper giostrare con un’armonia assoluta.
In soli ’80 minuti il maestro riesce ancora una volta a dare dimostrazione di un talento oltre confine, dove l'autorialità e l’indi possono esprimersi soltanto per mezzo di un controllo artigianale e completo della macchina filmica sapendola gestire, comprendere e dando infine il valore aggiunto come attore.