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venerdì 11 agosto 2023

Orrori di Dolores Roach


Titolo: Orrori di Dolores Roach
Regia: AA,VV
Anno: 2023
Paese: Usa
Stagione: 1
Episodi: 8
Giudizio: 4/5

Dolores Roach viene rilasciata dopo un'ingiusta condanna a 16 anni di carcere e torna in una Washington Heights riqualificata. Dolores ritrova un vecchio amico tossico, Luis, che le permette di vivere e lavorare come massaggiatrice nel seminterrato del suo negozio di empanadas. Quando la promessa della sua ritrovata stabilità viene rapidamente minacciata, "Magic Hands" Dolores è spinta al limite per sopravvivere.
 
Per fortuna che nonostante l'orda di serie e il mio non essere così avvezzo a questo format ogni tanto rimango piacevolmente stupito. Ed è il caso di questa mini serie con una durata molto congeniale per ogni episodio sui 25' e una storia che seppur già vista riesce a miscelare così tanti elementi di genere da farla diventare realistica nel suo elaborato paradosso. Riesce ad essere esagerata e splatter ma anche delicata ed elegante. Parla di cucina e ti fa venire la quolina in bocca ma poi mette in mezzo omicidi seriali e cannibalismo. C'è una storia d'amore e una di reintegro e crescita della protagonista che semplicemente devasta tutti i gregari presenti che le vengono a contatto.
E' così incredibilmente ed esageratamente scombinato da risultare quasi perfetto per come gli ingredienti vengono dosati al punto giusto. Una serie che va con un ritmo e una velocità pazzesca, recitata molto bene da attori quasi sconosciuti e in grado spero di regalare una seconda stagione che se riuscisse anche solo a fare la metà di quanto ha fatto nella prima sarebbe un ottimo traguardo.

martedì 6 giugno 2023

Nanny


Titolo: Nanny
Regia: Nikyatu Jusu
Anno: 2022
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Aisha, un'immigrata senegalese senza documenti, trova lavoro come tata di una ricca coppia di Manhattan. Mentre conquista facilmente l'affetto della loro giovane figlia Rose, diventa una pedina nel matrimonio della coppia. Perseguitata dall'assenza del giovane figlio che ha lasciato in Senegal, Aisha spera che il suo nuovo lavoro le dia la possibilità di portarlo negli Stati Uniti e condividere la vita che si sta rifacendo. Ma mentre il suo arrivo si avvicina, una presenza soprannaturale inizia a invadere sia i suoi sogni che la sua realtà.
 
In Nanny a colpire non è il tema dell'emancipazione, della maternità, dell'immigrazione, della perdita, del sacrificio e del dolore ma quello della servitù e di come sia difficile ora più che mai lavorare come "baby sitter" in una casa di gente benestante con un controllo pervasivo che passa dalle uscite, al cibo da mangiare, ai tempi da rispettare e tutto il resto. Questa sorta di sostituzione al ruolo genitoriale senza potersi affezionare più di tanto alla bambina del caso e dovendo fare soprattutto attenzione affinchè proprio Rose non si affezioni troppo a lei creando disagio nella madre. Una tematica relazionale che seppur vista centinaia di volte il film della Jusu, al suo esordio, riesce a trattare meglio della tematica folkloristica del film, la strega sirena, o del pesante ma abbastanza telefonato colpo di scena del secondo atto. Sicuramente un film sulla cultura afro che deve molto a Jordan Peele e di come abbia rimesso in auge alcune tematiche sulla disparità razziale, le disuguaglianze, il politicamente corretto, la mentalità bigotta e ottusa dei bianchi e molto altro ancora

lunedì 20 febbraio 2023

Soft and Quiet


Titolo: Soft and Quiet
Regia: Beth de Araújo
Anno: 2022
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Emily è un'insegnante elementare di una piccola cittadina di campagna, che si butta nel lavoro perché non può avere figli come vorrebbe. C'è anche un'altra attività che la impegna parecchio: quella di indottrinamento "ariano" di un gruppo di donne più o meno coetanee della città, attraverso un club da lei creato che si chiama "Daughters for Aryan Unity". E così, quello che inizia come un normale pomeriggio di riunione del club, finisce fuori casa, in un supermercato dove le donne rimangono coinvolte in un alterco con due giovani sorelle di origine asiatica.
 
Soft and Quiet è un altro pugno allo stomaco arrivato quest'anno dopo SPEAK NO EVIL.
Siamo su un terreno completamente diverso anche se sempre molto disturbante.
L'esordio di una giovane regista regista brasiliana, una metafora socio politica sul potere di un affresco al femminile, nel quale emergono tutte le paure, le insicurezze, le cattiverie e il sadismo gratuito.
Un film anti reazionario quasi fosse una pellicola alla Gus Van Sant, un piano sequenza di 90'
dove l'analisi penetra ancora più a fondo nella psicologia di questo gruppo di donne di cui la loro leader si presenta con una torta con disegnata una svastica e dentro un cuore di mela che sembra sangue come a sancire in una profezia drammatica ciò che avverrà di lì a poco.
Un film che riesce a caratterizzare molto bene alcuni personaggi svelando sia il carattere psicopatico che quello maggiormente manipolabile (per non dire fragile) delle varie protagoniste, in attesa di un epilogo meno straripante del previsto eppure altamente infame che vede anche il risibile ruolo del compagno di Emily, uno degli unici uomini che compaiono nella pellicola, che fino alla fine prova a farle ragionare sulla piega che sta prendendo la vicenda, sulle conseguenze inattese e gli effetti perversi a cui porteranno le loro azioni

martedì 23 agosto 2022

Black Phone


Titolo: Black Phone
Regia: Scott Derrickson
Anno: 2021
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Nell’America degli anni 70, Finney e Gwen Shaw, orfani di madre e con un padre violento e dipendente dall’alcol, vivono la propria preadolescenza tra l’ambiente domestico opprimente e quello scolastico in cui il bullismo è all’ordine del giorno. Da qualche tempo, una figura misteriosa, detta Rapace, si aggira per le strade della città rapendo ragazzini maschi, di cui non si ha mai più traccia. La polizia non ha nulla per seguire una vera e propria pista, fatta eccezione per i misteriosi sogni della piccola Gwen. Quando anche Finney è rapito dall’uomo misterioso, comincia quella che sembra essere davvero un’impossibile fuga, ma qualcosa di inimmaginabile sta per accadere.
 
Black Phone ha fatto molto discutere quasi come se fosse un horror dalla trama originale o con quel qualcosa sul genere dei rapimenti che ancora non fosse stato detto precedentemente.
Peccato che non sia del tutto così nonostante per me Joe Hill rimanga uno scrittore particolarmente interessante in questo caso in grado di approfondire solo limitatamente una storia peraltro scontata. Sicuramente è un prodotto confezionato bene dove Ethan Hawke trova terreno fertile per dare vita ad uno psicopatico interessante dove a farla da padrone sono sicuramente le maschere e il trucco in grado di dare enfasi all'attore visto che Rapace si vede solo a tratti e non sempre a figura intera, quasi come se fosse una figura intrisa di mistero dove non sempre quello che dice o che fa trova un rimando reale. Soprattutto quando Finney trova il telefono nello scantinato insonorizzato e dove inizia a parlare con i defunti ragazzini.
Per il resto è il solito dramma che si consuma con un ragazzino imprevedibile che riscatta il suo passato da timida vittima di bullismo a carnefice in grado di riscattarsi con una situazione famigliare, come per il killer, drammatica e un padre alcolizzato e violento.

venerdì 24 dicembre 2021

Sweetheart


Titolo: Sweetheart
Regia: J. D. Dillard
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Jenn giunge sulle rive di una piccola isola tropicale e non ci vuole molto a capire che è completamente sola. Sarà così costretta a trascorrere le giornate a tentare di sopravvivere nella natura e alla malefica forza che ogni notte fa la sua comparsa.
 
Sweetheart è un film passato in sordina come sempre e spesso capita all'interno di qualche festival.
E' un esperimento strano, un survivor movie al femminile. Donna contro mostro anfibio, una sorta di street shark capace di fare salti lunghissimi nuotando alla velocità della luce. In tutto questo a parte il resto della ciurma che serve solo come concime per il resto, un buco nell'oceano, una strana voragine tipica da orrore cosmico capace forse di riportare dagli abissi dell'oceano creature leggendarie e fameliche. Sweetheart è lento almeno nell'inizio. L'atollo è piccolissimo, le risorse scarse e Jenn che ancora sta cercando di capire come ha fatto a naufragare in quel posto ed essere l'unica sopravvissuta dopo che il ragazzo con il corallo nel fianco prima di morire chiede proprio a Jen "hai visto anche tu quella cosa". Infilando poi altri due personaggi tra cui il ragazzo di Jen e una lotta impari tra i tre sugli effetti perversi che possono prendere alcune scelte, Jenn vs la creatura sarà il tema e l'intento del terzo atto dove in una trasformazione radicale per l'agguerrita protagonista venderà cara la pelle con tutte le citazioni del caso.

martedì 2 novembre 2021

Halloween Kills


Titolo: Halloween Kills
Regia: David Gordon Green
Anno: 2021
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Il film riprende da dove il suo prequel era terminato: Michael Myers intrappolato nella casa in fiamme di Laurie Strode e quest’ultima in fuga con figlia e nipote. L’intervento però dei vigili del fuoco permette a Michael di liberarsi e ricominciare la mattanza. Nel frattempo la notizia del suo arrivo in città e le continue morti scatenano un’isteria di massa guidata da Tommy Doyle, che comincia a dargli la caccia insieme ad un gruppo di volontari. Al grido “il male muore stanotte” Haddonfield tenta di liberarsi per sempre del mostro conosciuto come l’Ombra della strega.
 
Halloween Kills è una di quelle saghe eterne costrette dal successo al botteghino e dai fan a continuare ad andare avanti all'infinito senza dare mai tregua al povero Michael Myers.
Senza nulla avere nei confronti di David Gordon Green alla fine un buon mestierante di genere, il film parte con degli sbalzi temporali abbastanza tediosi per poi sciorinare la solita filippica sulle leggende, una galleria di personaggi esagerata, il matto come capro espiatorio, e tanti altri difetti i quali rendono la narrazione macchinosa e il montaggio fulmineo quanto soggetto ad una fretta di concludere allarmante. Forse il problema più grande è il fatto che alla base non c'era una storia interessante. Il film è stato fatto di fretta e si vede ma soprattutto si sente. Quando Myers viene attaccato dalla folla viene quasi da fare il tifo per lui vista la barbarie con cui la massa sembra aver raccolto gli insegnamenti indiretti del mostro. E poi Laurie Strode viene a mala pena accennata mentre figlia e nipote nel loro piccolo cercano di fare il loro, per fortuna con la morte finale di una delle due come colpo di scena.

martedì 11 maggio 2021

Lucky (2020)


Titolo: Lucky (2020)
Regia: Natasha Kermani
Anno: 2020
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

La vicenda di una donna aggredita da uno strano uomo che continua a comparirle davanti.
 
Da sempre nell'horror l'home invasion ha saputo portare "oceani"interi al suo mulino.
Un sotto genere, una metafora, un attacco alla famiglia, ai valori di una nazione.
L'home invasion da sempre ha suscitato un certo interesse anche perchè è qualcosa di intimo che succede e si dipana tra le mura casalinghe e quindi crea spesso un'atmosfera claustrofobica per chi è costretto a combattere contro un nemico dentro le mura di casa spesso dovendo difendere anche i propri figli. Solo per alcuni aspetti Lucky della Kermani al suo secondo lungometraggio mi ha ricordato Elle. Se nel film del maestro Verhoeven c'era un darsi al carnefice per una consumazione di corpi e tutta una desamina sull'aspetto erotico e sessuale, qui invece sembra esserci un ciclo a ritroso con il killer che ritorna in loop nonostante la nostra protagonista riesca più volte ad ucciderlo in maniera diversa. Il sogno, la schizzofrenia, la paura di non essere creduta, il cadavere che scompare appena morto. Eppure il vero intento della Kermani è una denuncia sociale che già era sottointesa ed espressa a livelli molto alti con Invisible man (sempre sotto l'ottima Blumhouse), riflettendo sulla paura di rimanere da sole in una società maschilista che sembra sempre sul punto di sottolineare il fatto che la donna in questione se l'è andata a cercare.
Lucky però da un impianto di planting and payoff calzante nel primo atto, finisce senza avere quel guizzo narrativo di diventare un film troppo lento e concettuale e con un climax finale decisamente

martedì 27 aprile 2021

Freaky


Titolo: Freaky
Regia: Christopher Landon
Anno: 2020
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

La diciassettenne Millie Kessler sta cercando di sopravvivere alle sanguinarie aule della Blissfield High e alla crudeltà della folla popolare. Ma quando diventa il nuovo obiettivo del Macellaio, il famigerato serial killer della sua città, il suo ultimo anno diventa l'ultima delle sue preoccupazioni. Quando l'antico mistico pugnale del Macellaio fa sì che lui e Millie si sveglino uno nel corpo dell'altra, Millie scopre che ha solo 24 ore per riavere il suo corpo prima che lo scambio diventi permanente e rimanga intrappolata per sempre nel corpo di un maniaco di mezza età. L'unico problema è che ora sembra un imponente psicopatico, oggetto di una caccia all'uomo in tutta la città, mentre il Macellaio ha il suo aspetto e ha portato la sua voglia di carneficina all'Homecoming. Con l'aiuto della sua amica super sveglia Nyla, del super favoloso Joshua e della sua fiamma Booker, Millie corre contro il tempo per sciogliere la maledizione, mentre il Macellaio scopre che avere il corpo di una teenager è la copertura perfetta per una piccola follia omicida all'Homecoming.
 
Cambio di ruoli. Un'idea di certo non nuova, abusata oserei dire in quasi tutti i generi e in molte forme e sfumature. Eppure qui tra rituali e pugnali del passato che non si possono prendere sul serio, gruppi di gregari simpatici, Vince Vaughn che funziona sempre anche quando gli chiedi di fare la ragazzina timida e complessata, Freaky è a tutti gli effetti un divertissement che mette in secondo piano l'horror per una commedia se vogliamo nera e grottesca.
Un "teen horror" fresco, ironico, con tante battute, forse un pò troppo lunghetto ma con un ritmo che assieme all'atmosfera esilarante e leggermente splatter riesce a fare bene regalando un intrattenimento abbastanza telefonato in termini di colpi di scena, ma con una regia attenta a sottolineare i passaggi più importanti del film con alcuni omicidi grandguignoleschi.

martedì 15 settembre 2020

You should have left


Titolo: You should have left
Regia: David Koepp
Anno: 2020
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Uno scrittore sta scrivendo la sceneggiatura del sequel di un film andato molto bene al botteghino. Per stare tranquillo e poter lavorare senza distrazioni, l'uomo si è trasferito in una casa isolata sulle Alpi, insieme alla moglie e alla figlioletta. Ma una serie di strani eventi comincia a minacciare la sua serenità.

Per un film del genere, Blum credo abbia fatto la scelta giusta puntando su un autore avvezzo al thriller psicologico più che all'horror vero e proprio. L'ultima opera è abbastanza anomala, difficile da catalogare contando che non appartiene al genere delle case infestate ma unisce dramma famigliare, unica location, tre attori fatta eccezione qualche breve comparsa e tutto un gioco sul doppio, sul creare quella parola legata ad un intruso quando poi la faccenda apparirà molto più complessa e stratificata. Tra gli ultimi arrivi di sicuro il film di Koepp non è tra i migliori ma ha diversi pregi come il volersela giocare con una serie di tasselli scomodi, in cui i giochi della mdp e l'intensa performance degli attori riesce in un compito arduo e difficile.
Una famiglia disfunzionale e non parlo della differenza d'età dei genitori, quasi trent'anni, ma per la mancanza di sentimenti sostituiti dal controllo e dalla possessione, lasciato tutto in mano a Bacon (sempre in parte anche se leggermente defilato) al quale viene chiesto di dare quel contributo in più caricandosi il film sulle spalle come padre schiavo delle proprie angosce in perenne lotta contro la logica, le deformità del tempo e la propria schizofrenia che cresce come il senso di colpa legato all'ipotetico omicidio della ex moglie.

sabato 16 maggio 2020

Invisible man


Titolo: Invisible man
Regia: Leigh Whannell
Anno: 2020
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Cecilia si sveglia nella notte e mette in atto la sua fuga dal compagno, il ricco Adrian Griffin, con cui ha una relazione abusiva. L'uomo la insegue persino nella foresta ma la sorella riesce a portare Cecilia in salvo. La donna, traumatizzata, continua a temere che Adrian si rifaccia vivo e l'incubo sembra finire solo quando arriva la notizia della morte di Adrian. La serenità però dura pochissimo, perché inspiegabili fatti avvengono in casa di Cecilia e lei si convince di essere ancora perseguitata da Adrian, divenuto misteriosamente invisibile.

Invisible Man dovrebbe ancora una volta far intuire la capacità della Blumhouse di riuscire a sistemare pasticci difficili e puntare su opere spesso complesse e controverse.
Che Blum abbia preso le redini dei già defunti orrori della Dark Universe è stato solo un bene per tutti e soprattutto per la Universal.
Ora che cosa fa del film di Leigh Whannell un dramma contemporaneo a sfondo sci fi che appoggia le sue radici nell'horror psicologico? Prima di tutto un lavoro meticoloso per quanto concerne la scrittura, un budget modesto come a dire che l'atmosfera e lo sviluppo della storia avranno un peso notevole, una regia che dopo averci regalato Upgrade, mettete pure Whannell a fare qualsiasi cosa e poi una Elisabeth Moss sempre più brava che forse qui comincia a studiare la parte di quando dovrà scappare da Scientology e verrà inseguita dai suoi adepti. Ma il vero colpo di scena, l'idea alla base, è stata quella di invertire il punto di vista facendo in modo che sia la vittima a scappare dal suo stalker invisibile.
Invisible man parte come non me lo sarei mai aspettato e solo verso la prima parte del primo atto ti rendi veramente conto di quale sia la lente con cui il film decide di ingrandire il suo problema.
Ovvero tutto quello che Cecilia denuncerà e a cui ovviamente nessuno crederà.
Due ore di dramma intensissimo con colpi di scena mozzafiato (la morte della sorella) il peso di alcuni personaggi e i loro veri intenti, maschere continue in una galleria dove ad un certo punto non sai dove girarti o nasconderti. Le ambizioni e gli obbiettivi del villain sempre in continua crescita in un viaggio delirante in cui Cecilia vivrà degli incubi di un impatto mai così sofferto e tragico.






venerdì 27 marzo 2020

Hunt


Titolo: Hunt
Regia: Craig Zobel
Anno: 2020
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Dodici sconosciuti si risvegliano all'interno di un parco appartenente alla cosiddetta Tenuta (the Manor), scoprendo di lì a poco di essere stati scelti per essere cacciati in un gioco ideato da un gruppo di persone della ricca. Per rendere il gioco più interessante alle prede vengono concesse delle armi che recuperano da un'enorme cassa posizionata nel bel mezzo di una radura del parco

Zobel all’attivo ha diretto l’interessante Compliance, un film che faceva luce su un fatto insolito negli Usa. Hunt sembra tante cose e ne scopiazza molte altre, un survival-movie con catfight finale senza esclusione di colpi.
Persone sconosciute che partecipano ad un gioco in cui una certa elite borghese gode nel farli fuori “perché deplorevoli” ovvero chi per la caccia, chi perché ha commesso non si sa bene cosa, chi per altri motivi. Tutti vengono scelti come vittime sacrificali per finire massacrati. Abbiamo la final girl cazzutissima che dalla scena della stazione di servizio capisce di non essere in Arkansas ma vicino alla Croazia.
Insomma un film che parte su un aereo, continua in un bosco e finisce in un campo rifugiati e infine in una villa per lo scontro finale.
Hunt di certo non annoia, ma è una tale galleria di luoghi comuni e idee prese da altri film cercando di dargli una parvenza di autorialità imbarazzante. I dialoghi sono così privi di carattere, i personaggi scontatissimi (forse l’unico aspetto positivo e che prima dell’arrivo di Crystal chiunque possa sembrare il protagonista muore malamente) e la trama come il disegno e l’intento da parte dell’elite davvero telefonata all’ennesima potenza. Tra le tante idiozie del film il piano segreto di Crystal che confida ad Athena nel dialogo finale (un gioco degli equivoci che sembra una presa in giro) il massacro della tana dove tutti i membri dell’elite si nascondono per venire sgominati dalla stessa Crystal e tanti altri fattori che cercano di dare spessore al film senza riuscirvi. L’unico motivo per cui non lo boccio completamente è perché non si prende sul serio e regala qualche timido sorriso.

sabato 14 marzo 2020

Black Christmas(2019)


Titolo: Black Christmas(2019)
Regia: Sophia Takal
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Il college di Hawthorne è da sempre un posto tranquillo. Tuttavia, con l'avvicinarsi delle feste natalizie, Riley Stone e le consorelle della Mu Kappa Epsilon dovranno vedersele con uno stalker mascherato che comincia a uccidere le ragazze una dopo l'altra. Man mano che i cadaveri aumentano, Riley e le amiche metteranno in discussione tutti gli uomini che le circondano.

Ricordo un BLACK CHRISTMAS in passato decisamente più splatter dove l’assassino non si vedeva mai.
La versione prodotta dalla Blumhouse mi ha fatto per un attimo pensare al bellissimo esordio di Oz Perkins February, dove alcuni elementi erano parecchio simili come parte dell’isolamento nel college privato (lì era di matrice cattolica) e le protagoniste. Ora mentre l’esordio di Perkins portava al sovrannaturale giocato in maniera davvero ottima e ispirata, la deriva in cui ci conduce Takal ovvero stregoneria+confraternita=liquido nero che rende catatonici e spietati i neo-membri della confraternità sembra quasi una barzelletta. In un film vietato ai minori di 13 anni dove il sangue non compare quasi mai e dove i dialoghi insistono nel ripetere cose che già sappiamo da tempo con tanto bene che posso volere alla nuova spinta di registe donne (che spesso dimostrano di avere più palle della controparte).
Se da un lato le ispirazioni, il messaggio, la carica con cui vengono montate le protagoniste, i tabù da sciogliere, il mistero da celare, poteva essere dosato con più elementi sforzandosi in fase di scrittura e nell’osare idee superiori, la confraternita viene ancora una volta ridicolizzata (come è bene che sia) ma in maniera patetica dove alla fine, mi spiace, il film sembra un poster che si scaglia contro la mascolinità difesa dalle istituzioni, dove il maschio cattivo riesce a vincere sempre e alla ragazza pura di cuore tocca diventare una vittima sacrificale o un capro espiatorio. In alcune scene che hanno quasi del patetico (il balletto dove Riley vede arrivare il suo aguzzino) questo pamphlet femminista che vuole ricordarci come alcune cose accadano e non vengano prese in considerazione purtroppo sprofonda sotto tutte le leggerezze lanciate e raccolte in un finale, un climax dove arriva questa vendetta del manipolo di fanciulle rimaste in vita (sembrava di vedere Avengers-Endgame quando il gruppo di eroine femmine combatte Thanos, ma lì almeno aveva un senso).
Un peccato perché la messa in scena, la recitazione e parte dell’atmosfera erano davvero interessati.
Ho un’idea da vendere alla Blumhouse che vale cento mila volte questa scontatissima trama ed è cazzuta all’inverosimile però trattasi di Pg 18


sabato 23 novembre 2019

Ma


Titolo: Ma
Regia: Tate Taylor
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Maggie e sua mamma Erica si trasferiscono in una cittadina dell'Ohio. Le aspettano rispettivamente una nuova scuola e un nuovo lavoro. Maggie si fa subito degli amici a scuola e con loro, a bordo di un furgoncino, si ferma a un supermercato per comperare degli alcolici in modo da fare festa la sera. Ma sono tutti minorenni e perciò hanno bisogno di un adulto che li comperi per loro. Tutte le persone interpellate rifiutano sin quando proprio Maggie riesce a impietosire una donna di mezza età, Sue Ann. I ragazzi contenti se ne vanno con i liquori a fare baldoria. Ma Sue Ann, al lavoro (è l'assistente di una veterinaria), studia i loro profili su Facebook. La volta successiva, invece di limitarsi a comperare gli alcolici, Sue Ann offre ai ragazzi la possibilità di fare baldoria nello scantinato di casa sua, così staranno comodi e non rischieranno niente. I ragazzi accettano. Sue Ann spiega che ci sono solo poche regole da osservare, tra cui non andare mai al piano superiore. I ragazzi se la spassano e sembra tutto perfetto, ma ben presto si devono accorgere che le cose sono ben lontane dalla perfezione.

"Ma" ho scoperto da poco che è stato praticamente distrutto da critica e pubblico. Il perchè sinceramente non mi è chiaro dato che ci troviamo di fronte ad un thriller con alcune cadute di stile, un finale prevedibile e dei momenti che non sempre tornano ma che porta a casa numerose scene malsane e disturbanti, di quelle che sono così a stretto contatto con la realtà da farti vivere una sorta di disagio intuendo subito che non è affatto così distante dalla realtà (almeno quella americana).
Era da anni che non vedevo un così strano e perverso rapporto tra un'adulta e un gruppo di stronzetti antipatici. "Ma" scopre le carte in maniera abbastanza grossolana e fin qui, se uno pensava di trovarsi di fronte ad un film che facesse della scrittura il suo baluardo, si sbaglia di grosso.
Convince invece in maniera atipica e profonda quando indaga sui rapporti personali, sulla complicità, sul saper comprendere i disagi e andare oltre il confine del lecito, sull'effetto perverso dei social, sul disturbo generato dall'invasività dei messaggi, dei video, di tutti quelli che sono gli strumenti moderni per fare anche del male se usati a tale fine.
Un psycho-thriller che vira nell'horror psicopatologico così è stato definito l'ultimo film di un regista per niente capace come Taylor che qui aveva budget e un cast di attori funzionali per riuscire a fare quel qualcosa di più che invece non avviene.
Un revenge-movie, un capovolgimento del plot alla Craven dove i figli devono pagare per le colpe dei padri, dove il disagio dilaga, la voglia di sballarsi è sempre più consolidata, dove il sotto testo sociale di denuncia al bullismo non sempre convince, ma alla fine forse uno dei meriti più grossi del film. Forse è uno degli unici che a parte regalare alcune buone scene ha tanto ritmo e l'atmosfera all'interno della casa tra cantina e aria di festa dove è lecito andare ed è quasi impossibile resistere aggiungerei e i piani superiori, dove è proibito inoltrarsi si crea quell'alchimia degli opposti funzionale, almeno a non sbadigliare mai e questo, visto l'enorme tasso di horror adolescenziali idioti e ingenui è un passo in avanti.


lunedì 11 febbraio 2019

Down-Into the dark


Titolo: Into the dark-down
Regia: Daniel Stamm
Anno: 2018
Paese: Usa
Stagione: 1
Episodio: 5
Giudizio: 2/5

Un paio di persone rimangono chiuse in un ascensore dentro l'edificio di lavoro

L'idea di far funzionare un lungometraggio all'interno di un'unica location è stato già uno degli intenti in questa antologia horror per la Hulu.
New year, new you, il quarto episodio, era ambientato tutto in una villa con piscina, riuscendo solo in parte a rendersi accattivante e stimolante. Down è più complesso, i due protagonisti a differenza delle ragazze della festa di Capodanno non si conoscono, sono in un ascensore dove il senso claustrofobico aumenta vertiginosamente, è sono costretti a dividere uno spazio ristretto senza niente che possa aiutarli.
Non ci vorrà molto prima che inizi una lenta carneficina che gioca tutto in un rapporto sadico e perverso tra vittima e carnefice dove vengono "scambiati" spesso i ruoli, e soprattutto nel secondo atto si cerca quel colpo di scena che in casi come questi deve essere molto incisivo e in linea con quanto prima mostrato per non risultare invece l'elemento che rischia di deflagrare tutto l'impianto costruito fino a quel momento.
In parte è così. 90' in un unico spazio risulta ancora una sfida ambiziosa. Stamm cambia completamente le carte in tavola mostrando il contrario di tutto e lasciando soprattutto il personaggio di Guy a cercare di essere carnefice, stalker, e infine un succubo che non riesce a cogliere la natura complessa e stratificata di Jennifer.
Un finale piuttosto campato in aria, dove ancora una volta si cerca di valorizzare il fatto che non esista bene o male ma un profondo egoismo di fondo.


mercoledì 6 febbraio 2019

Ghoul


Titolo: Ghoul
Regia: Patrick Graham
Anno: 2018
Paese: India
Stagione: 1
Episodi: 3
Giudizio: 3/5

In una remota prigione militare arriva un nuovo detenuto che il governo ritiene molto pericoloso: è il temuto terrorista Ali Saeed Al Yacoub. Per condurre il suo interrogatorio viene inviata sul posto una donna soldato, Nida Rahim, che ha dimostrato in precedenza abilità e senso del dovere al di fuori della norma, tanto da aiutare le autorità ad arrestare il proprio padre. La giovane agente, però, si renderà conto che il criminale nasconde delle abilità soprannaturali di matrice demoniaca che gli consentono di conoscere i segreti più intimi di tutti i militari nel carcere e di utilizzarli contro di loro. Il terrorista prenderà il controllo dell'intero carcere, ma Nida riuscirà ad affrontare questa nuova missione?

Le mini serie quando hanno temi accattivanti sono le benvenute a dispetto di serie infinite con ad esempio 20 episodi a stagione.
Il tempo è importante. Ghoul si trova tra Netflix e Blumhouse (che stimo sempre di più per il loro coraggio). Il risultato è un prodotto d'intrattenimento interessante sotto certi aspetti, che cattura un taglio internazionale pur essendo un prodotto indiano, una cinematografia, che tolta Bollywood da noi non è ancora molto conosciuta quando invece dovrebbe vista l'enorme capacità di avvicinarsi e indagare il noir, il poliziesco e l'horror.
In questo caso ci sono diversi aspetti che decretano un significativo passo avanti per le produzioni e per cercare di sfruttare il tema della possessione, che andrà sempre di moda, e mischiarlo con un futuro distopico ( che poteva anche non esserci dal momento che risulta slegato in parte dalla vicenda), una scenografia quasi interamente in una prigione e il folklore locale legato alla storia dei demoni Ghoul o Jiin onnipresente anche in Medio Oriente.
Diciamo pure che Graham aspetta un po prima di concedere azione e ritmo in abbondanza.
Il primo episodio parte in sordina facendo incetta di particolari, alcuni utili, altri trascurabili per andare subito a raccontare i personaggi e la piramide sociale presente nella prigione, con tutte le regole e i ruoli che la donna piano piano comincia a ricoprire. In questo caso anche il tema del terrorismo per quanto ultimamente risulti abbastanza abusato è funzionale, come scusa per lo stato ad usare qualsiasi mezzo contro i prigionieri o presunti complici, facendo soprattutto leva sui parenti e sulle minacce.
L'aspetto su cui ruota meglio la vicenda legata proprio alla caratterizzazione della protagonista, una poliziotta cazzuta che pur di aiutare la giustizia arriva a denunciare il proprio padre.
Ci sono diverse sotto storie, alcune delle quali ho trovato macchinose o abbastanza inutili al ritmo della vicenda, che quando parte, sa sicuramente avere un ottimo ritmo, senza mai essere pretenziosa, cercando invece di restare incatenato alle sue radici.
Sinceramente mi aspettavo qualche jump scared maggiore, contando che dalla metà del secondo episodio è quello l'obbiettivo del regista.
La mattanza avviene con alcuni twist finali abbastanza telefonati a parte l'epilogo che ho trovato interessante, crudo e spietato nella sua logica perversa a danno di un'altra logica legata alla corruzione e all'abuso di potere del governo indiano.


Flesh & Blood-Into the dark



Titolo: Into the dark-Flesh & Blood
Regia: Patrick Lussier
Anno: 2018
Paese: Usa
Stagione: 1
Episodio: 2
Giudizio: 2/5

Un’adolescente affetta da agorafobia, non ha mai lasciato la casa dopo l’omicidio di sua madre, che rimane irrisolto. Mentre è sotto la cura del suo adorabile padre alla vigilia del Ringraziamento, Kimberly inizia a sospettare di essere in pericolo e che sono sempre le persone che ami a ferirti di più

Dopo Halloween, stavolta si affonda la lama sulla ricorrenza all-american del Thanksgiving Day, anche se qui l'elemento viene praticamente ignorato.
Questa nuova saga horror, dopo il primo simpatico episodio, non riesce purtroppo, causa uno script troppo inflazionato, ad avere il giusto ritmo per tutti i suoi ottanta minuti.
Lussier anche se finisce spesso su sentieri sbagliati, aveva diretto il divertente Drive Angry, film odiato da tutti, riuscendo in quel caso a dimostrare di saper far funzionare due attori come Cage e la Heard. Qui per assurdo l'unica cosa che funzionano sono gli attori, ma i colpi di scena vengono praticamente intuiti durante il primo atto e il climax finale è ridicolo.
Purtroppo mancano tutti quegli strumenti legati all' inventiva e alla gestione della suspance che a parte il cast, Lussier prende una strada da cui non è possibile imboccare una deviazione, proseguendo in un continuo aprirsi e chiudersi dell’ipotesi principale, finendo per arrivare alla più ovvia delle conclusioni, senza aver mai veramente instillato il dubbio.

New Year, new you-Into the dark


Titolo: New Year, new you-Into the dark
Regia: Sophia Takal
Anno: 2018
Paese: Usa
Stagione: 1
Episodio: 4
Giudizio: 2/5

Nell’era della mania della “cura di sé”, un gruppo di amici millennials si riunisce per la riunione notturna delle ragazze a Capodanno per ricollegarsi e reminiscenza. Ma mentre iniziano a ripassare vecchi ricordi e rivisitare un vecchio gioco “Never, Have I Ever”, riemergono lagnanze e segreti che stanno nascondendo in modo nefasto e sorprendente.

Al di là di qualche twist finale, il quarto episodio della saga Into the dark, di nuovo si abbassa di livello, contando che l'episodio in questione, in 80 minuti, fatica decisamente a decollare.
Quando lo fa, oltre il secondo atto, la situazione è abbastanza chiara e palese.
Il tema della vendetta reciproca non è originale, sfruttare le app e i social per i millenials invece sì, elemento che Takal non sempre però riesce a seguire in maniera astuta, attingendo così da problemi reali alcuni buoni colpi di scena.
La carneficina arriva solo nell'ultimo atto, spostando la dicotomia vittima/carnefice, e lasciando così lo spettatore, che non empatizza con nessuno dei quattro personaggi, ad assistere a questo tira e molla purtroppo già visto.
C'è da dire che anche il cast non aiuta molto a parte la high-school friend Danielle che pur di avere like e conferme chiede alle amiche di rivelare ai suoi follower i loro segreti nascosti in modo da ottenere in questo modo ancora più visualizzazioni e popolarità.
A mio avviso se la scrittura si fosse concentrata maggiormente su questi tumori sociali che rischiano di creare importante ferite nei rapporti sociali e sulla percezione dell'identità, avrebbe giovato.
In più il fatto che sia tutto in un'unica location senza azione se non nel finale diventa davvero lento e noioso.

Pooka-Into the dark


Titolo: Pooka-Into the dark
Regia: Nacho Vigalondo
Anno: 2018
Paese: Usa
Serie: 1
Episodio: 3
Giudizio: 4/5

L'episodio di Into the Dark si concentra su un attore che pare possa dar vita a Pooka, iniziando uno strano viaggio allucinatorio e pericoloso. Quella che all'inizio è solo una distrazione innocente e un lavoro stagionale, per l'attore diventa un incubo quando Pooka inizia a prendere possesso della sua mente.

Tocca al Natale dopo Halloween e la Festa del Ringraziamento. E chi ha dare nuova linfa alla serie se non uno dei registi contemporanei più interessanti. Vigalondo lascia da parte la scifi per concentrarsi su questa storia che riesce a mettere assieme, horror puro, costumi che prendono "vita", salti temporali ed esecuzioni che non ti aspetti.
Grazie ad una buona sound track, un motivetto fastidiosissimo e un montaggio perfetto, una fotografia che esalta i colori soprattutto i rossi nelle scene di sangue, Vigalondo porta a casa l'episodio per ora più valido e accattivante.
L'elemento che più traspare nell'episodio è quello della paranoia che contagia Luke il protagonista e noi con lui che non sappiamo quando una cosa è vera o no, oppure se è stato davvero lui o il costume, il responsabile di alcune trucide mattanze.
In questo tira e molla, passando dall'orrore alla commedia con dei salti da gigante, Pooka finora si dimostra il più serio, quello che va oltre e racconta la paura che può fare un giocattolo per i bambini e soprattutto riesce ad essere un film fatto e finito. Magari qualcuno nel mascherone inquietante rivivrà gli orrori del coniglio di Kelly.
Sicuramente il più coraggioso e maturo finora visto.




The Body-Into the dark



Titolo: Into the dark-The Body
Regia: Paul Davis
Anno: 2018
Paese: Usa
Serie: 1
Episodio: 1
Giudizio: 3/5

“Gli omicidi di un killer sofisticato con una visione cinica della società moderna diventano più difficoltosi quando deve trasportare un corpo nella notte di Halloween, ma tutti sono follemente innamorati di ciò pensando che sia il suo costume da assassino”.

Senza infamia ne gloria.
Il primo episodio della serie Into the dark, con il compito ogni mese di mostrarci una festività diversa.
Vi ricordate Holidays l'horror diretto a più mani del 2016. In quel caso il tempo a disposizione dei registi era una timeline da cortometraggio e l'intento era molto simile, infatti, in quel caso, i temi qui seppur indirizzati al tema della festività (Natale, Pasqua, Halloween, Festa della mamma, San Valentino) cercavano di sviluppare un'idea in particolare, dalla setta alle nuove tecnologie, al desiderio e alla vendetta, e infine al ritrovamento e alla nascita come metamorfosi.
In parte ci auguriamo che sia così anche in questo caso.
The Body gioca con un elemento per tutta la sua durata. L'elemento in questione Wilkes decide di portare le cose ad un livello ancora più alto, trasportando la sua ultima vittima in bella vista, assumendo, correttamente, che i festaioli di Los Angeles, semplicemente, saranno incantati dal suo elaborato "costume".
Alla fine verrà scoperto e la sua diventerà una battaglia di volontà e ingegno.
Davis però non cerca di prendersi mai troppo sul serio, passando da una location all'altra, attraverso una galleria di personaggi abbastanza sopra le righe tra cui cerca di farsi spazio senza riuscirci Ray Santiago. Per ultimo un finale perlomeno divertente che sicuramente ha il merito, come il resto dell'episodio, di alternare gli stati d'animo avvicinandosi più ai toni ironici e grotteschi.

mercoledì 23 gennaio 2019

Upgrade


Titolo: Upgrade
Regia: Leigh Whannell
Anno: 2018
Paese: Australia
Giudizio: 4/5

Grey Trace è un meccanico vecchio stile, rimasto disoccupato quando le auto tradizionali hanno iniziato a diventare obsolete in favore di vetture dotate di intelligenza artificiale alla guida. Sua moglie invece è una donna in carriera dalle rosee prospettive. Grey la convince ad accompagnarlo quando va a riconsegnare un'auto che ha rimesso a nuovo al ricchissimo Eron Kreen, ma sulla strada del ritorno l'IA della vettura della moglie impazzisce e li conduce nei bassifondi, dove vengono aggrediti. La moglie finisce uccisa e Grey paralizzato, ma Eron prende a cuore la sua situazione e si offre di ridargli la mobilità impiantandogli un chip sperimentale, STEM, che è in grado di controllare per lui il suo corpo. Grey accetta e usa la ritrovata mobilità e le capacità del chip per avere vendetta sugli assassini di sua moglie.

La sci-fi quando è scritta bene sa ancora come stupire e intrattenere.
Essendo uno dei generi più difficili e complessi del cinema, spesso sfocia in storie pacchiane, effetti in c.g eccessivi e fuorvianti e infine scenari apocalittici.
Forse è per questo che l'alternativa in parte è diventata il genere post-apocalittico, in cui negli ultimi anni, sono usciti una cifra incredibile di film, molti dei quali validi.
Upgrade è proprio fantascienza invece. Di quella che si prende sul serio, picchia forte e non lascia tregua e finali strappa lacrime o happy ending scontati.
La scifi quasi mai regala finali a lieto fine.
Leigh Whannell è un attore e poi regista che alla seconda opera, si stacca dalla Wan factory dopo quel film insulso, come quasi tutta la saga di Insidious 2, libero di raccontare il mondo che più gli interessa dimostrando un talento incredibile.
Grazie anche ad un cast perfetto, Marschall-Green dopo Invitation mette a segno un'altra grande prova, il film riesce a rimanere sempre a galla con un ritmo e un montaggio minimale, passando per una fotografia e una messa in scena che richiamano tanti bei b-movie e una voglia di raccontare una storia ribaltando, come dovrebbe capitare, tutte le regole nel climax finale.
Sintetizzato come un revenge-movie, il film è molto di più, la storia cresce, si dipana, a volte è distorta e non sempre e meccanicamente perfetta, ma averne di film del genere, in un mercato sempre più inflazionato da prodotti, in cui a farla da padrone, sono i gusti del pubblico.
Upgrade è uno dei migliori film del 2018 sia come action-movie, come revenge-movie e come film di scifi.