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domenica 17 ottobre 2021

Casa dei 1000 corpi


Titolo: Casa dei 1000 corpi
Regia: Rob Zombie
Anno: 2003
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Un gruppo di ragazzi attraversa la provincia americana in auto alla ricerca di luoghi e personaggi bizzarri da inserire in una "guida turistica" delle stranezze. Alla stazione di servizio del Capitan Spaulding, con museo degli orrori annesso, vengono a conoscenza del Dottor Satana, leggendario assassino del luogo. Incuriositi si mettono sulle sue tracce, ma restano bloccati in una casa i cui tenutari sono tutti maniaci assassini, ognuno a modo suo. E il Dottor Satana, è davvero morto come dicono?
 
Zombie al suo esordio. Bisogna ammettere che l'ex leader dei White Zombie e musicista storico ha sempre avuto una propensione per il cinema scandita dai videoclip e dai fumetti porno zombeschi.
Qui di fatto fa quello che gli pare con effetti attempati, un clima generale malsano e di serie b, omaggi a gogò, un patchwork di z-movies, tv da due soldi, rock'n'roll e icone cannibali, un cocktail adrenalinico con personaggi fuori dagli schemi.
Contando che la trama e gli attori sono pedine poco importanti, ciò che si denota fin da subito e una scenografia molto curata, un sound designer a palla e curato minuziosamente, una musica che riesce sempre a risultare perfetta e una crudeltà esclusiva del regista che avremo modo di conoscere in tutta la sua notevole filmografia. Per essere un'opera prima è cruda e slasher al punto giusto, i canoni e gli stereotipi di genere non mancano così come il finale dove Zombie preferisce de facto distruggere ogni sorta di happy ending.

martedì 17 novembre 2020

Monster Man


Titolo: Monster Man
Regia: Michael Davis
Anno: 2003
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Due amici, non troppo "svegli" stanno percorrendo con la loro macchina le polverose strade del sud degli Stati Uniti quando si accorgono di essere inseguiti da un "monster truck", una di quelle enormi jeep. Gli imprevisti durante la fuga saranno diversi e alla fine scopriranno che alla guida della jeep non ci stava un vero e proprio essere umano..

Trash-splatter divertente e azzeccato che mischia le carte d’alcuni generi riuscendo a risultare a tratti davvero esilarante. Riesce a fare paura e a far ridere, rimanendo un affresco di citazioni (su tutte il più saccheggiato è NON APRITE QUELLA PORTA a cui questo film si riallaccia per quanto concerne le location e le tematiche sulle fobie odierne che possono arrivare da lande desolate non troppo distanti da casa).
A differenza però del capolavoro di Hooper questo cerca d’essere meno evasivo e rimane comunque dentro alcuni dialoghi serrati che per la prima mezz’ora appiattiscono il film rendendolo solo piacevole per alcuni volgarissimi dialoghi e l’interpretazione gigionesca del sosia di Jack Black.
Un film che correla più di un elemento con alcune pellicole della Troma.
Il regista è Michael Davis autore d’alcune commediole per teen-ager e del sopravvalutato Shoot’em’up

mercoledì 1 luglio 2020

Carandiru


Titolo: Carandiru
Regia: Hector Babenco
Anno: 2003
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5

A Carandiru, la prigione piú grande del Brasile, il potere è in mano ad assassini, stupratori e drogati. Ma il giorno della rivolta 300 poliziotti fecero irruzione nel carcere uccidendo 111 detenuti disarmati. La storia vera del massacro di Carandiru nell'ottobre del 1992.

Carandiru è stato attaccato duramente dalla critica. Uno dei due importantissimi film di Babenco assieme a PIXOTE racconta le dinamiche del più grande carcere del Brasile nonchè il più affollato, il più degenerato e il più violento. Come un organismo, tutto al suo interno fatica a mantenere un ordine prestabilito, un'umanità feroce e disperata, che lotta per la sopravvivenza quotidiana, tra ordinaria sopraffazione e squarci di solidarietà, violenza onnipresente e rara speranza, secondo regole non scritte di convivenza. Il governo agisce tardivamente e male, l'incidente finale che a reso tragica una delle pagine più vergognose dei penitenziari ci mette molto tempo a decollare prima del doloroso terzo atto.
Un film molto romanzato, dove Babenco si prende tutto il tempo che gli occorre come uno storytelling per ascoltare e vedere le storie dei protagonisti, raccontando senza lesinare violenza e linguaggio con sofisticata leggerezza, matrimoni, tradimenti, screzi e quant'altro, tutto attraverso noi/lui, il protagonista, dottor Drauzio Varella chiamato a controllare i casi di Hiv presenti nella struttura.
Con il teorema del flashback assistiamo alle gesta a volte grottesche e spregiudicate di alcuni personaggi, del loro modo di prendere ciò che vogliono dalla vita vivendo e seguendo precisi codici d'onore.
“Attraverso quale sistema d’esclusione, eliminando chi, creando quale divisione, attraverso quale gioco di negazione e di rifiuto la società può cominciare a funzionare?”. Questa è una della domande centrali che Michel Foucault si pone nella sua trattazione di “A proposito della prigione d’Attica” e che sembra essere a tutti gli effetti la matrice alla base del film, la domanda che continuamente siamo chiamati a porci.




domenica 8 marzo 2020

Bad boys 2


Titolo: Bad boys 2
Regia: Michael Bay
Anno: 2003
Paese: Usa
Giudizio: 2/5

Mike Lowrey e Marcus Burnett, agenti della narcotici di Miami, hanno vite ed inclinazioni diverse ma accomunate dalla scelta di servire la giustizia nella lotta contro il crimine. Questa volta sono alle prese con un grosso trafficante di stupefacenti cubano, Johnny Tapia, che con la sua organizzazione smercia ecstasy a mezza Miami. Tra raduni del Ku Klux Klan e incursioni a Cuba, i due ne vedranno di tutti i colori: non bastassero i criminali, ci si mette anche Syd, che oltre ad essere un'agente infiltrata nella cricca di Tapia all'insaputa del fratello Marcus, è anche troppo sexy perché Mike possa restarle indifferente…

Michael Bay è uno dei peggiori registi della storia. Un cazzaro abile solo a distruggere tutto con blockbuster discutibili dove dominano le macchine e gli effetti speciali. Le sue uniche pillole meno gravi forse rimangono questi due buddy movie e THE ROCK che almeno osava qualcosa pur spettacolarizzando l’America in un film che sullo sfondo aveva tanti ingredienti reazionari.
Il problema di Bad Boys è quello in primis di avere due protagonisti esageratamente ridicoli nel prendersi sul serio, nel tirarsela a tutti i costi e nel non avere un solo elemento da ricordare e una caratterizzazione da manuale della denuncia. Ridicoli loro, tutto il resto è fumo e scorribande, sparatorie inutili, accenni al Ku Klux Klan in modo davvero patetico dove forse l’unico elemento era scoprire un attore come Michael Shannon quando faceva cose brutte prima di passare alla serie A del cinema.
Stormare e Mollà ridicolizzati con personaggi mai approfonditi a dovere e un palcoscenico di maestranze utilizzate male senza avere una sceneggiatura e un’idea di cinema in cui credere.
Passi in alcune scene Lawrence, ma Smith è davvero insopportabile, uno degli attori peggiori della sua generazione, stimato da una pletora di pubblico che non sa cosa significa recitare

domenica 27 ottobre 2019

Animatrix


Titolo: Animatrix
Regia: AA,VV
Anno: 2003
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

1-Il secondo Rinascimento (parte I e II)
La genesi di Matrix: le ultime città della razza umana, la guerra con le macchine e la caduta dell'uomo. Un tour guidato agli archivi di Zion e alla storia di Matrix.
2-Programma
Nel mondo simulato di un programma di addestramento di un samurai, Cis, una donna soldato di Zion, è costretta a scegliere tra l'amore e i suoi compagni nel mondo reale.
3-Record del mondo
Attraverso una incredibile combinazione di volontà, potenza e forza fisica, Dan, lo sprinter detentore del record mondiale, rompe Matrix e riesce a dare un'occhiata troppo breve al mondo reale.
4-Storia di un ragazzo
Seduto nella sua classe il ragazzo riceve un invito personale da Neo per uscire da Matrix. Ma trovare un'uscita sarà più difficile di quanto immaginato.
5-Aldilà
In una tranquilla città dove nulla è quello che sembra Yoko trova un bug nel sistema: una dimora abbandonata dove tutto sembra possibile. Ma arrivano gli sterminatori per procedere al de-bug.
6-Detective story
L'investigatore privato Ash segue la cyber criminale Trinity attraverso lo specchio.
7-Immatricolato
Un piccolo gruppo di ribelli ha catturato un robot e procede a programmarlo per lavorare per la causa. L'insegnamento al robot a preferire Matrix umani alla realtà delle macchine ha troppo successo e l'appetito del robot per i Matrix umani eccede l'abilità degli umani nel rifornirlo.
8-L'ultimo volo dell'Osiris
L'equipaggio dell'hovercraft Osiris deve riportare un messaggio di vitale importanza da Zion.

Animatrix visto il successo planetario della saga è stato un progetto voluto dai fratelli Wachowski che hanno collaborato con tutti gli artisti e alcune sceneggiature vengono direttamente da loro. In nove cortometraggi da dieci minuti in media ambientati tutti nel mondo della saga di Matrix, passiamo da corti che a livello di c.g hanno segnato il tempo e parlo dell'unico episodio girato interamente in c.g, ai meriti e i fasti di Maeda che ha cercato di dare un quadro degli eventi che hanno portato allo scontro con l'inteligenza artificiale.
Shinchiro Watanabe, Andy Jones, Yoshiaki Kawajiri, Takeshi Koike, Kouji Morimoto e Peter Chung. Quasi tutti nomi che non hanno bisogno di presentazioni. Gli artisti chiamati a dare forma e idee alla saga hanno avuto carta libera, un budget molto alto e il rischio di portare a casa un dvd che non riuscisse a livello di costi a pareggiarli e così è stato ma si sapeva. Dal'altro canto la coppia di registi che ha pensato al progetto aveva sicuramente dei "debiti" in sospeso con gli animatori giapponesi autori loro stessi di alcune idee portanti della saga di successo. Quello che poi sempre a livello tecnico si nota è la perfetta unione di generi, di forme, di stili diversi di animazione, dell'uso del disegno in alcuni corti semplicemente delizioso portando il livello tecnico dell'animazione all'eccellenza.





giovedì 24 ottobre 2019

Mecanix

Titolo: Mecanix
Regia: Rémy M.Larochelle
Anno: 2003
Paese: Canada
Giudizio: 3/5

In un mondo comandato da strane creature, pochi umani sono ancora in vita, ma ridotti in schiavitù. L’unica cosa temuta dalle “macchine” è l’embrione, l’origine di ogni cosa e l’unica cosa che può salvare gli esseri umani.

Mecanix è un mediometraggio molto malato e disturbante di un autore che sembra un braccio di ferro tra Jimmy ScreamerClauz e Flying Lotus, passando per Svankmajer, planando su Fukui strizzando l'occhio a Lynch e facendo ogni tanto tappa occasionale in quel capolavoro totale che è Blood tea and red string
Pochi soldi, tanta immaginazione e inventiva e l'uso sapiente nell'utilizzo dei mezzi, dalla stop-motion, alla fotografia fino alle note dolenti di una musica (se così possiamo chiamarla dal momento che è composta perlopiù da lamenti e voci distorte) disturbante e deleteria, in grado di mettere a dura prova la vostra resistenza parlando di un'opera che dura sessanta intensissimi minuti.
In realtà poi parte della storia e del ritmo sembrano essere come l'automazione e il lavoro in fabbrica, un girotondo caotico, un cerchio infernale dove le creature bio-meccaniche che lo controllano torturano gli ultimi umani rimasti in cerca dell'embrione dell'universo attraverso delle pene in gironi infernali che sembrano ripetersi all'infinito.
Movimenti che ritornano, umani reale che strisciano e creature in stop-motion, l'inferno, la vivisezione e gli esperimenti dello scienziato folle, in tutto questo il vero cuore pulsante dell'opera se per gli umani è l'embrione per i mostri sono gli ingranaggi che mandano avanti il mondo delle creature bio-meccaniche.
Un'opera complessa e molto straziante, che diventa un urlo disperato, un film per pochi, una metafora di dove stiamo andando per criticare un certo tipo di capitalismo ma anche la sovranità di alcuni esseri che pensano di poter fare ciò che vogliono con la massa dei più deboli che non hanno il coraggio di ribellarsi.
In fondo l'opera di Larochelle è pura estetica, si apre a così tante interpretazioni, metafore e altro che seppur un incubo allucinato alla fine lascia molto di più di quelli che non sembra.

domenica 29 settembre 2019

Jeepers Creepers 2

Titolo: Jeepers Creepers 2
Regia: Victor Salva
Anno: 2003
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Il Creeper ogni 23 primavere torna a vivere per nutrirsi di carne umana. Stavolta tocca ad una squadra di basket del college di ritorno da una partita. Asserragliati nel bus, giocatori e cheerleaders resistono come possono alla creatura, in attesa che venga loro in aiuto un contadino, cui il demone alato ha rapito un figlio, assieme all'altro suo figlio.

Dopo il buon successo del primo capitolo, Salva ritorna a filmare il sequel, cambiando drasticamente di rotta, allargando il cast e lo schema corale, aggiungendo storie per tornare infine ad una strada desolata nel mezzo del nulla dove far convergere il mostro e la galleria di vittime sacrificali. Con un prologo e un incidente scatenante interessante e per nulla banale, un bambino sacrificato e portato via, passiamo al solito pulmino di giocatori di basket e  cheerleaders che dopo qualche battuta speriamo che muoiano male e in fretta. Se il Creeper del primo capitolo cercava di nascondersi senza attirare troppo l'attenzione in questo caso e un bus invasion con la creatura che uno alla volta porta via e si sazia dei predestinati.
Nonostante alcuni momenti in cui i dialoghi, l'interpretazione e il ritmo non sono così calibrati a dovere, rimane una sorta di sequel abbastanza originale che cerca di divincolarsi dal suo predecessore alzando la posta in gioco e rischiando in tanti momenti riuscendo però ad uscirne a testa alta. La violenza anche qui non manca con alcune scene notevoli e splatter come nel primo capitolo, Taggart in stato di grazia che emula Achab e infine come per la saga di Krueger il male che non si annienta mai ma viene solo rallentato dal momento che il demone, dopo essersela vista brutta, va solo in letargo, insinuando il sospetto di invulnerabilità dell'essere e uno spiraglio per una nuova minaccia in un remoto futuro.

venerdì 9 agosto 2019

Dead end


Titolo: Dead end
Regia: Jean-Baptiste Andre & Fabrice Canepa
Anno: 2003
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Il Natale dovrebbe essere un giorno di festa da passare coi propri cari, come è sempre stato negli ultimi vent'anni, per la famiglia Harrington, ma quest'anno qualcosa cambierà...
In viaggio con la famiglia per raggiungere la suocera, Frank Harrington decide di prendere una scorciatoia. L'incubo inizia. Una misteriosa donna in bianco vaga nel bosco, lasciando un alone di terrore al suo passaggio. Una strana auto scura, con un conducente invisibile, porta gli Harrington in una spirale di morte e follia verso una inquietante destinazione...

Dead end è un piccolo cult che purtroppo ho scoperto tardi. Una favola nera condita da humor, dialoghi taglienti, insoliti e sboccati, falcia ogni luogo comune solito dell'horror e riesce a fare un mezzo miracolo con il limitato budget messo tutto come cachet della coppia di genitori, infatti le prove di Lin Shaye e Ray Wise fanno il braccio di ferro per chi è più bravo.
Deliziosamente girato da una coppia di registi che poi non si è più vista lavorare, il film si prende tutto il tempo, ma nemmeno molto, per lasciar intuire quali potrebbero essere i pericoli facendo quasi e solo ricorso alle interpretazioni (quasi tutte all'interno di una macchina) e al contesto narrativo che seppur abbastanza abusato (le riprese notturne, la strada deserta, gli angoscianti rumori e le strane presenze che vengono dai boschi) riesce ad ottenere risultati insperati.
L'incubo familiare, i personaggi misteriosi, la macchina infernale e poi la scia di morti porta a galla, nella disperazione più totale dei componenti del nucleo, segreti che forse dovevano rimanere tali e con questo il film riesce dove tanti hanno fallito spiazzando fino al climax finale delizioso.
Tra i migliori horror natalizi di sempre.

venerdì 2 agosto 2019

Coffee and Cigarettes


Titolo: Coffee and Cigarettes
Regia: Jim Jarmush
Anno: 2003
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Undici brevi incontri si consumano intorno al tavolino di un bar, tra chiacchiere surreali, silenzi imbarazzati e schermaglie condite da una dose extra di nicotina e caffeina.

Jarmush è da sempre uno di quei registi della New Hollywood in grado spesso di spiazzare con film molto diversificati per generi, codici e narrazione.
Il film in questione è un divertissement fatto di piccoli schetch, non tutti riusciti e alcuni anche abbastanza noiosi, un film che sembra quasi e molto improvvisato, dove non sempre il filone narrativo o meglio i dialoghi acquistano un senso ben preciso, rimandando spesso a incontri fugaci e apparizioni perlopiù divertenti dal momento che il film avendo un impianto corale mostra un cast di tutto rispetto.
Ancora una volta è l'autore che disegna la sua parabola ironica underground componendo la sua discontinua sinfonia, vagamente esistenzialista, dove tutti i personaggi ricreano o rivivono esperienze passate, fasti perduti, una celebrazione nostalgica della gioia di vivere e della vita stessa nel momento in cui se ne và (si passa da strane apparecchiature per i White Stripes, le innovazioni introdotte da Nikola Tesla, fino alla preparazione di un té all'inglese o l'appuntamento di un dentista). Coffee and Cigarettes riunisce alcuni corti girati dal regista in diversi anni (il più vecchio, protagonista Roberto Benigni, risale al 1986, l'epoca di DOWN BY LAW) scorrendo via leggero e piacevole, risultando a tratti divertente e ironico, a tratti estremamente sconclusionato, tutto tecnicamente fotografato in b/n con ambienti essenziali e camera fissa.



martedì 2 luglio 2019

Open Water


Titolo: Open Water
Regia: Chris Kentis
Anno: 2003
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Susan e Daniel stanno attraversando un periodo di stress e nervosismo a causa del lavoro che porta via loro troppo tempo e di una scarsa comunicazione. Per sopperire a queste lacune, i due decidono di partire per una vacanza da sogno ai Caraibi, luogo magico e adatto alla loro passione atavica preferita, la subacquea. Giunti in quello che alcuni definiscono il paradiso terrestre, Susan e Daniel si prenotano con una compagnia locale per l’immersione tanto agognata. Quando la barca parte per il mare aperto, i due non sospettano nemmeno il loro sfortunato destino. Quella che doveva essere una gita di riappacificazione tra pesciolini colorati e variegati si tramuta immediatamente in un incubo dal momento che il mezzo riparte per la terraferma senza accorgersi che la coppia non è rientrata. Quando riemergono in superficie si rendono conto della gravità della situazione, soli, dispersi in mezzo all’oceano e trascinati per di più dalla corrente. Non ci vorrà molto prima che la situazione peggiori, Susan e Daniel, difatti, prendono coscienza di ciò che accade sotto di loro: un branco di squali è pronto ad attaccare.

L'elemento di forza di Open Water non credo sia che è tratto da una storia vera (d'altronde la drammaticità della cronaca mondana ci porta a pensare che possano essere successe situazioni ben più terrificanti di questa) bensì l'atmosfera in cui Kentis relega letteralmente la coppia in questione.
L'abbandono fa paura più degli squali e la paura di non sapere cosa accadrà, dell'ossigeno che sta terminando, della mancanza di viveri per sopravvivere, sono elementi che a conti fatti creano il terrore quello vero e puro che in mezzo all'oceano diventa ancora più terribile.
L'intento fa da padrone a dispetto purtroppo di una regia tremolante, anch'essa figlia del Parkinson effect dei registi figli di Blair Witch Project e del mockumentary o found footage, con riprese così mosse che sembra davvero di essere lì soffrendo il mar di mare al posto dei due protagonisti




lunedì 3 giugno 2019

Willard il paranoico


Titolo: Willard il paranoico
Regia: Glen Morgan
Anno: 2003
Paese: Usa
Giudizio: 3/5

Willard, quarantenne introverso al limite della patologia, trascorre il proprio tempo curando la vecchia madre malata e lavorando come impiegato nell'azienda fondata dal padre defunto. Protagonista passivo di una vita di umiliazioni, a casa e sul posto di lavoro, troverà nel morboso rapporto con i topi che abitano la sua cantina una valvola di sfogo per le proprie frustrazioni, e, giunto all'esasperazione, un singolare strumento di vendetta.

Willard sembra una via di mezzo tra Norman Bates e Lionel Cosgrove. Un personaggio con cui non è facile empatizzare e distinguere se è un buono o un cattivo a tutti gli effetti. Fa parte di quella galleria di protagonisti psicolabili e basta.
Willard remake di WILLARD E I TOPI, riesce per tutta la durata effettiva del film, a sfruttare bene l'unica location, la casa, in un home invasion dove sono proprio i roditori ad essere i co protagonisti ed esercitare poteri e paranoie ai danni del suo protagonista.
E 'un film che si chiude molto dentro se stesso, puntando su pochi elementi e cercando di lavorare per la maggior parte del tempo sull'atmosfera, il dramma grottesco e le macabre atmosfere soffocanti che rimangono anche le parti migliori. Il risultato poteva essere molto più deludente è così per fortuna non è stato.
Morgan ha una buona mano e di fatto questo rimarrà il suo film migliore all'interno di una sfortunata e magra filmografia che annovera un brutto remake del bellissimo BLACK CHRISTMAS e alcuni episodi della serie X-Files-Season 10
Quando uscì venne accolto forse troppo bene dal momento che la pellicola vive di alti e bassi che non riescono a farla decollare in modo completo, se non altro nella ripetizione di alcuni momenti e dialoghi che Willard sembra fagocitare per se stesso e che altalenano un ritmo e un montaggio non sempre adeguato contando che il film dalla sua è un racconto sulla solitudine, l'incomunicabilità e il disagio mentale.




domenica 26 febbraio 2017

Fame Chimica

Titolo: Fame chimica
Regia: Antonio Bocola, Paolo Vari
Anno: 2003
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Due amici d'infanzia nella periferia milanese, due “zarri”: uno fa lo spacciatore, l’altro un lavoro normale, faticoso e mal pagato. I due si innamorano della stessa ragazza e la loro amicizia è ad un bivio. Sullo sfondo, la piazza dove vivono è teatro di forti scontri sociali.

Fame chimica è uno di quei film sballoni all'italiana che per fortuna esistono con tutti i loro limiti e il loro volersi prendere sul serio quando si parla di periferia, quartieri popolari, droga e redenzione. Il film della coppia di registi come molti progetti indipendenti a bassissimo budget nasce da una forma produttiva mai tentata in questa misura in Italia: tutti quelli che ci hanno lavorato hanno una compartecipazione negli utili e nelle eventuali perdite del film. Questo e altri fattori, come mettersi in gioco, interpretare se stessi, raccontare le proprie storie di vita, assumono contorni e valori preziosi che il film esamina contestualizzandoli seriamente ma al contempo ironizzando e creando molta empatia con i personaggi.
E'un film con un ritmo incredibile, le musiche sono del leader dei 99 posse il quale entra in scena cantando e commentando le azioni della tragedia (una sorta di coro post-moderno affidato ad un solo personaggio) e cerca di fare quello che può con un cast abbastanza improvvisato e in cui proprio i giovani "famosi", Foschi e la Solarino, danno il contributo minore.
Fame chimica sembra la serie GOMORRA girata coi cellulari a Barona.
E'un film che nella sua tenerezza, perchè in tanti momenti lascia il sorriso, inquadra i temi più importanti e capta la tensione sociale e psicologica dei giovani che stanno entrando nel mondo, il problema dell'immigrazione, il rapporto tra consumatore e spacciatore e tanto altro ancora in cui non manca la storia d'amore.

Un film semplice e leggero che merita non solo di essere visto e valorizzato ma che crede nell'importanza di valorizzare anche solo un piccolo microcosmo di quartiere.

martedì 8 novembre 2016

Paris, Dabar

Titolo: Paris Dabar
Regia: Paolo Angelini
Anno: 2003
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Nel 2000 un gruppo di amici organizzò una maratona alcolica coinvolgendo i quattro bar del quartiere Pratello, a Bologna. Per quattro ore i 44 partecipanti percorsero una via crucis di bar in bar seguendo un regolamento austero: chi beve di più vince, ma il premio, segreto, per alcuni potrebbe essere una punizione.

Il film di Angelini è un'opera amatoriale girata con gli attori del posto, interpreti stessi della storia o meglio della sfida alcolica che si apprestano a fare. Quasi un documentario, un road movie bar to bar che insegue tra dialoghi e passaggi sconclusionati le gesta e gli intenti che muovono chi per un motivo chi per un altro questo manipolo di alcolisti. Il film ha un limite in una messa in scena troppo amatoriale e soprattutto nella povertà di immagini che difatti diventa verso la metà del docu-film abbastanza monotono e noioso.
Il lavoro di Angelini segue in particolare la storia e le vicissitudini di 10 protagonisti, chi alcolizzato, chi violento nei confronti della fidanzata, chi depresso, cercando di inquadrare diverse sfaccettature di un malessere che degenererà con una velocità impressionante.
Non c'è molto altro da dire sul film. Quattro bar. Ogni tappa, un bicchiere. Ogni bicchiere, un tot di punti. Vincerà chi, in quattro ore, riuscirà a totalizzare più punti o, molto più realisticamente, a rimanere in piedi.

Il progetto, interamente realizzato in digitale nel 2000 trova un produttore che lo riversa su pellicola e ne organizza la distribuzione nel 2003 con tutti i problemi di merchandising che un film del genere può purtroppo comportare, e vince il premio venga pellicola miglior alla Triennale di Milano. 

domenica 19 aprile 2015

Twentynine Palms

Titolo: Twentynine Palms
Regia: Bruno Dumont
Anno: 2003
Paese: Francia
Giudizio: 3/5

Lui è un fotografo alla ricerca di nuovi luoghi per una rivista. Lei lo accompagna perché sono innamorati. Insieme scoprono il deserto che circonda la città di Twentynine Palms. Insieme si perdono nello splendore della natura, si amano e si odiano vicendevolmente, senza sospettare che il pericolo non è solo dentro di loro.

“Credo che il film sia molto semplice: sono in due e si amano. Io metto la macchina da presa e sondo il tutto. Punto e basta.” Bruno Dumont in conferenza stampa a Venezia 2003

A metà tra Seidl e Araki (la scena dell’aggressione sembra quella subita dal protagonista in DOOM GENERATION ma anche ancor prima da UN TRANQUILLO WEEKEND DI PAURA) il film di Dumont che lo definisce un horror sperimentale, è l’ennesima conferma del talento e dello stile assolutamente autoriale e personale del regista. Un film assolutamente non riuscito ma che in un qualche modo rimane impresso forse perché per due ore non ci viene detto nulla dei personaggi e sembra onirico nel riproporre sempre le stesse mosse, gli stessi scenari e la stessa canzone di sottofondo.
Citando prima alcuni registi, ho fatto un paragone solo perché amandoli tutti e due, ho notato quanto possano crearsi delle difficili e malcelate similitudini tra stili e messe in scena. Un film dove non è il sesso a fare da protagonista in alcune vicende, ma è messo in scena così bene e colpisce così a fondo, da dare a Dumont e i due attori un premio speciale solo per essersi prestati in modo molto disinvolto in una ricerca che non è mai gratuita o spettacolare, ma al contrario, un linguaggio tra i due protagonisti che emerge proprio con i corpi. Sembra sempre più impossibile vivere ai margini senza dover fare i conti con la brutalità della società e i legami di coppia, quando hanno e vivono di connotazioni artistiche. Una fotografia poi quella di Georges Lechaptois davvero in grado di esprimere dolcezza e amarezza, disagio e sconcerto, con un deserto di fondo che cattura una ricerca di senso e un amore per la libertà davvero suggestivo. 
Dumont comunque dopo HORS SATAN, visto qualche mese fa, deve avere di fatto un problema. 
Ha paura o forse pensa che gran parte dell’orrore provenga ora e sempre dalla natura, sempre poco rassicurante.
29 palms non è piaciuto a praticamente tutta la critica che lo ha distrutto forse perché non pensavano che il regista di film totalmente diversi, scegliesse una strada simile, definendolo più volte un allucinazione senza pathos.

Non si possono proporre quasi due ore di vita insulsa dei protagonisti senza fornire alcun addentellato narrativo è stata un’altra delle bastonate. 
Secondo me invece c’è. Dumont è difficile, ostico, punta a provocare proprio sottraendo parte della narrazione.

martedì 2 dicembre 2014

Young Adam

Titolo: Young Adam
Regia: David MacKenzie
Anno: 2003
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 2/5

Scozia anni '50. Lester ed Ella sono i proprietari di una chiatta che naviga lungo il Clyde a Glasgow. La loro vita cambia quando decidono di prendere con sé il lavorante Joe che, nel giro di poco tempo, tradisce la fiducia del suo datore di lavoro facendo sesso con la moglie. I coniugi si dividono ma per poco perché Joe finisce col tradire anche la fiducia di Ella, avendo rapporti sessuali con la cognata. Ella finirà col tornare alla solita noiosa vita con il marito. Il rinvenimento nel fiume del cadavere di una ragazza porta sullo schermo lo 'scomodo' segreto della vita di Joe: la sua fidanzata Cathy è caduta nelle acque gelide del Clyde davanti ai suoi occhi dopo un amplesso poco romantico e molto torrido. Il corpo della ragazza viene trovato proprio da Lester e Joe, ma nessuno risale a lui come ex fidanzato di Cathy, perciò è Lester ad andare in tribunale a testimoniare sulla scoperta del cadavere.

Forse il problema più grosso del giallo di MacKenzie, che col tempo affinerà il suo stile fino a condurlo verso pellicole decisamente più interessanti, è fondamentalmente che Young Adam non sembra mai decollare rimanendo impantanato in estenuanti storie d'amore e complicità e cercando di scomporre e analizzare, non riuscendo ad essere un giallo avvincente, le sue sotto-storie diventando ancora più macchinoso e perdendo di vista l'intento principale del film.
Nulla può il cast composto da alcuni attori davvero notevoli ma caratterizzati malissimi e che sembrano girare a vuoto. Se aggiungiamo che allora il protagonista è una macchietta e il regista cerca di aggrapparsi alle scene di sesso come collante per mantenere un minimo interesse, allora il peso ancora più difficile da sopportare e tutto è destinato a crollare miseramente.
Peccato per la Swinton e Mullan, davvero sacrificati.

lunedì 25 febbraio 2013

X-Men 2

Titolo: X-Men 2
Regia: Bryan Singer
Anno: 2003
Paese: Usa
Giudizio: 4/5

Magneto è relegato nella prigione di plastica, ma le minacce per la sicurezza degli X-Men non sono finite. Un mutante sembra macchiarsi di un crimine gravissimo; l'attentato alla vita del presidente degli Stati Uniti. Quell'uomo è Kurt Wagner, alias Nightcrawler. L'attentato scatena una campagna persecutoria nei confronti degli X-Men; il generale Striker viene incaricato di colpire il male alla radice e prepara in imboscata alla scuola speciale del dottor Xavier.

Di nuovo Brian Singer e di nuovo una conferma sul risultato di una delle saghe più interessanti tra i cinecomics degli ultimi anni. Il risultato è un film che riesce a potenziare il plot narrativo arricchendolo con nuovi personaggi e regalando una caratterizzazione maggiore di alcuni protagonisti.
Il secondo capitolo riesce a essere ancora più spettacolare del primo (fantastico l’attacco dei militari nella villa dei mutanti) rimanendo però in perfetta sintonia narrativa con il predecessore.
Ci sono moltissime e importanti storie all’interno del film. Alcune seguono cronologicamente alcune avventure del fumetto mentre altre variano apportando notevoli differenze. C’è l’interessantissima storia di Stryker (interpretato da un ispiratissimo Cox) e Logan e il passato burrascoso di quest’ultimo. C’è la scelta legata a quale movimento seguire (gli anarchici di Magneto e i democratici di Xavier). Il personaggio di Nightcrawler che già solo nella prima scena dell’attentato regala non poche emozioni e una spettacolarizzazione senza sosta grazie anche alle recenti scoperte in campo della c.g e di cui Singer sembra muoversi senza problemi è forse una delle modifiche più interessanti all’interno del film soprattutto scoprendo la sua filosofia di vita.
Quando un film d’azione diventa avventura allora si scopre subito l’irresistibile fascino che cattura lo spettatore per più di due ore davvero intense e travolgenti.

Ken il guerriero-Oav 3-Quando un uomo si fa carico della tristezza

Titolo: Ken il guerriero-Oav 3-Quando un uomo si fa carico della tristezza
Regia: Takashi Watabe
Anno: 2003
Paese: Giappone
Giudizio: 2/5

Tornato dalla terra dei Clifflander, Kenshiro trova ad accoglierlo due messaggeri che lo conducono nel luogo in cui giace Bista. Qui, Tobi lo informa di come Seiji si sia impossessato della fortezza creata dal padre, e di come siano cambiate le cose: adesso, infatti, il popolo si è schierato dalla parte dei fratelli, e li adora come se fossero due divinità. Tutto ciò ha notevolmente mutato l'animo del semplice informatore che, accecato dalla prospettiva di poter diventare il dominatore assoluto, imprigiona lo stesso Kenshiro, e organizza un attacco in massa contro la fortezza. Tuttavia, prima che ciò accada, Seiji s’infiltra tra le fila di quest'ultimo, e riporta Bista sul suo originario trono. La situazione sembrerebbe disperata, tuttavia, l'apparizione di un misterioso personaggio permetterà la liberazione del maestro di Hokuto, e, in seguito, dello stesso Seiji dal suo frainteso quanto triste passato.

Questo terzo e ultimo capitolo della saga diretta nello stesso anno da Watabe cerca di accelerare ancora di più diventando così da un lato, forse il più interessante della saga, mentre dall’altro si perde dietro una difficoltà a inquadrare il vero protagonista della storia e inutili peripezie per cercare di rendere ancora più complessa una storia che sin dal primo capitolo era piuttosto traballante.
Anche qui come per il secondo c’è un buon combattimento finale, Kenshiro invece manca all’appello per buona parte del film.
Curiosità: a un certo punto Ken viene rinchiuso da Tobi in una stanza sotterranea la cui unica uscita è sbarrata da una pesantissima inferiata di metallo che il nostro eroe non riesce a infrangere. Ci riuscirà con l'aiuto di Sara, mandando in pezzi la grata. La cosa strana è che la suddetta, pur essendo di metallo, non si comporta affatto come ci si aspetterebbe; invece di piegarsi, ed eventualmente spezzarsi, si frantuma e si sbriciola come se fosse di pietra. Davvero strano a vedersi.(Bloopers)
Insomma possiamo dire che facendo il confronto tra la serie animata e i precedenti tentativi di Oav firmati qualche anno fa, questa è la saga in assoluto venuta peggio anche se parlando di un personaggio tanto amato, troverà sicuramente dei fan e perché no, regala anche qualche buon momento, ma siamo lungi e ben distanti dal cartone in cui facevano capolino il fior fiore dei personaggi indimenticabili. Seiji invece si dimentica ancora prima di aver finito di vedere il film.

Ken il Guerriero-Oav 2-La tecnica proibita

Titolo: Ken il Guerriero-Oav 2-La tecnica proibita
Regia: Takashi Watabe
Anno: 2003
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5

Nonostante la morte di Sanga, l'ombra della pazzia sembra non essersi allontanata da Lastland e dai suoi ignari abitanti: adesso devono infatti accogliere il giovane figlio del dittatore, Seiji, come nuovo tiranno. Quest'ultimo, profondamente adirato per essere stato in passato abbandonato dal genitore, ha deciso di impossessarsi dei suoi demoni, cosa che gli riesce facile data la momentanea assenza di Kenshiro, allontanatosi per cercare un siero immunizzante contro il tetano che sta uccidendo Bista. Durante la sua corsa contro il tempo, Kenshiro incontra Clifflander, misteriosi bonzi ritiratisi dal mondo per custodire uno spaventoso segreto. Proprio da costoro viene a conoscenza dell'esisitenza di un Clifflander fuggito e in possesso di una spaventosa tecnica di Kenpo, ovvero l'ambizioso e freddo Seiji. Sarà dunque l'Hokuto a ergersi a giudice del traditore?

Il secondo Oav è certamente meglio del precedente dal momento che conosciamo finalmente un personaggio interessante anche se a livello estetico fa il paiolo a tutti gli altri già visti nella celebre serie animata. Infatti si assiste a buona parte del film in vista dello scontro finale tra Ken e Seiji. Rispetto al primo forse Watabe si è accorto che bisognava aggiungere qualche tocco che rendesse la visione più prelibata e infatti per la prima volta in una saga come quella di Ken assistiamo alla scena di nudo di Sara.In più gli elementi splatter rispetto al precedente capitolo sono maggiori come i massacri e via dicendo.
Per i disegni (privi di censura),per i colori e per la verosimiglianza della trama nell'ambiente spazio-temporale,l’andamento della storia diventa alla fine troppo precario e segmentato.

Ken il guerriero-Oav 1-La città stregata

Titolo: Ken il guerriero-Oav 1-La città stregata
Regia: Takashi Watabe
Anno: 2003
Paese: Giappone
Giudizio: 2/5

Dopo la catastrofe nucleare il mondo precipita nel caos. Sterminati deserti sono teatro di vite disperate fatte di sopraffazione e violenza. In questo drammatico scenario si muove Kenshiro, ultimo discendente della Divina Scuola di Hokuto. Scomparsi ormai i rivali appartenenti alle altre scuole di arti marziali, perduti gli amici più cari, Kenshiro giunge nel piccolo villaggio di Libertà, uno dei pochi luoghi che ancora resiste alla città-fortezza di Lastland e al suo dittatore Sanga. Costui esercita il suo dominio facendosi forte dell' Eccelso Doha, una sorta di Dio in grado di offrire il bene più prezioso: acqua pura. Ma Sanga è conscio che il suo regno si fonda sull'inganno ed è ben deciso a prendere il controllo di una divinità davvero in grado di fare miracoli: una dea di nome Sara..

L’ultima trilogia sulle gesta del beniamino di Hokuto non poteva essere meglio rappresentata a livello tecnico e di c.g. Finalmente uniamo alcuni tasselli della vita di Ken e scopriamo un entroterra fatto di storie tutte originali e con dei personaggi ottimamente caratterizzati. La trilogia si colloca infatti dopo la fine della serie originali ed è di per sé una buona storia Non manca la grossa componente violenta così come quella splatter (anche se di meno).Lo stile grafico è molto raffinato. Il problema del primo capitolo è forse quello di aver puntato troppo sull’estetica e sull’azione senza concentrarsi sulla storia. Certo i combattimenti non mancano ma mancano invece alcuni personaggi degni di nota mentre qui si fa scorpacciata di cazzoni trainati da un leader anch’esso cazzone e scialbo.
Bisogna aspettare i due capitoli successivi per ottenere un personaggio degno di nota e qualche colpo di scena decente.

martedì 12 febbraio 2013

C’era una volta in Messico

Titolo: C’era una volta in Messico
Regia: Robert Rodriguez
Anno: 2003
Paese: Usa/Messico
Giudizio: 3/5

Un agente della CIA corrotto contatta El Mariachi, ormai ritiratosi in una vita d’isolamento, per smascherare il piano di un trafficante di droga che vuole assassinare il presidente messicano. Capitolo conclusivo della trilogia d’iniziata con 'El Mariachi' e proseguita con Desperado.

Rodriguez è uno dei registi più prolifici e più in gamba della sua generazione. Il suo cinema è adrenalina pura, molto più cool del cinema cool di Ritchie. Once upon a time in Mexico dunque chiude una trilogia che ha saputo dare al regista la possibilità di continuare il suo cammino di ricerca.
Siamo ancora distanti dall’estetismo sconcertante di SIN CITY o PLANET TERROR ma con questo capitolo diciamo che si scorgono esattamente tutti i connotati che Robert ha preso in prestito e citato da tutto quel cinema che ama fino alla radice e di cui Leone rappresenta il vertice.
Cast sempre forte come in quasi tutti i suoi film (a parte quelli per bambini): Banderas,Hayek,Deep,Trejo,Rourke,Mendes e Dafoe. L’ultimo capitolo della saga è per forza di cose un compendio di adrenalina, personaggi quasi tutti corrotti, iperdinamico, esilarante, assolutamente irreale in tutte le volute scene d’azione(quella con le manette giù per i balconi è così tamarra da non poter esimere una risata di sottofondo) e così via.
La trovata ancora una volta iperbolica di Rodriguez è quella di concentrare tutto all’interno della sua “opera”dal taglio che sembra quasi volerlo far sembrare un b-movie sfruttando davvero tutti i mezzi a disposizione e mescolarli a dovere.
Ancora una volta El Mariachi, eroe d'altri tempi di un Messico onirico, rappresenta la summa della contaminazione di generi, tra pistoleri assassini, femmes fatales, duelli western all'ultimo sospiro e tanto, tanto sangue condito da un certo gusto per l'atroce e lo splatter e delle musiche su cui si dipana chingon malaguena salerosa che verrà poi meglio ripresa in KILL BILL e un Deep come sempre feticcio che però basta da solo nella sequenza finale accompagnata dal suo fedele Sancho ninjo.