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domenica 27 novembre 2022

Earwig


Titolo: Earwig
Regia: Lucile Hadžihalilović
Anno: 2021
Paese: Belgio
Giudizio: 5/5

Da qualche parte in Europa, metà del ventesimo secolo. Il cinquantenne Albert deve badare Mia che di anni ne ha dieci. Il compito più importante è occuparsi della dentiera di ghiaccio che deve essere cambiata più volte al giorno. Vivono da soli in un grande appartamento: le persiane sono sempre chiuse, Mia non esce mai e la giornata scorre secondo un rituale immutabile. Ogni settimana, il telefono suona e una voce maschile interroga Albert sulla salute della ragazza. Ogni settimana Albert risponde con le stesse risposte, finché un giorno quella voce comunica ad Albert che dovrà portare la ragazza a Parigi. Devastato, il mondo di Albert si sgretola lentamente.
 
Earwig non è altro che la constatazione di un talento indiscusso per una regista del cinema di genere tra le più importanti di sempre. Con tre film in due decenni, Lucile Hadžihalilović, dimostra a mio modo di riuscire ad essere molto più enigmatica e disturbante della cinematografia del marito, un Gaspar Noè ormai da anni eccessivamente quotato da critica e pubblico. Lucille ha una dote certa che la consacra come una sorta di strega post contemporanea. Da un lato il suo riuscire a creare un cinema ipnotico, poetico, suggestivo, enigmatico, viscerale, criptico, ammaliante, disturbante ma soprattutto esoterico e poi quello di avere una grazia e un'eleganza che sembrano riportare le sue opere a dei quadri del passato dove la stessa scansione del tempo avviene in maniera inquietante come se fosse parte di un gioco in cui solo lei conosce i segreti e gli ingranaggi divertendosi a giocare con il pubblico.
Lucile condivide una sua personale idea di politica d'autrice come altri outsider della sua generazione, ad esempio Ben Weathley, ovvero come spesso accade nelle loro interviste amare il non detto e il non spiegato i quali acquistano un valore e risaltano più che mai in particolar modo nei finali aperti che spesso e volentieri mandano a male quel pubblico che vuole avere sempre tutto sotto controllo.
In questo caso poi la scena che chiude, il climax finale del film, è una delle scene più disturbanti, crudeli e cannibali ma allo stesso tempo romantiche che si siano mai viste nella settima arte.
Da considerare ancora un ruolo come sempre fondamentale nel cinema dell'autrice ovvero il suono, una colonna sonora minimale che amplifica il disagio in scena tutto scandito da poche note di campane, qualche scricchiolio, ticchettii, dove nei primi due atti non ci sono praticamente dialoghi e dove solo nel terzo atto nell'apertura esterna tra Celeste e Lawrence, il film oserà rivelarci qualcosa. In ultimo alcune scene sono davvero ammalianti per come nella ricerca estetica riescano ad imprimersi con così tanta forza, una su tutte quella del quadro dove vede Albert nella stanza chiusa e buia cercare dettagli con un accendino che sbuffa qualche sprazzo di luce e dove dal suo sguardo e nei particolari sembra nascondersi una molteplicità di significati.