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domenica 11 ottobre 2020
Beverly Hills Cop 3
Titolo: Beverly Hills Cop 3
Regia: John Landis
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Axel Foley vuole vendicare l’uccisione dell’ispettore Todd a Detroit: va a “Wonderland”, parco-divertimenti di Beverly Hills, dove ottiene l’aiuto di Billy Rosewood, nel frattempo promosso.
Il terzo capitolo delle avventure di Axel Foley è da tutti ritenuto un insuccesso quando in realtà avendo un maestro come Landis alla regia riesce a regalare un'importante metafora politica e sociale. Ovvero quella di prendere un'ipotetica Disneyland come isola felice e connotarne i difetti e le spregevoli ambiguità e trame criminali che si nascondono nel sottosuolo. Da questo punto di vista il film nonostante non abbia i guizzi e l'originalità di Brest e l'estro e l'azione di Scott, rimane il più leggero pur avendo dalla sua alcune risorse importanti come quello di scoprire un mondo criminale che vive in perfetta armonia con i messaggi di armonia e amore presenti in un parco giochi nazionale senza che nessuno possa rendersene conto. Tra eccessi catastrofici e buffoneschi con il salvataggio dei bambini nella giostra, l'arma non convenzionale, Taggart in pensione per lasciare spazio a Jon Flint, Rosewood che ha fatto strada e come sempre aiuterà il collega di Detroit, si arriva ad una galleria di comparse, di star, di balletti e spunti da musical. Certo non siamo ai fasti dell'esordio, ma Landis ha il talento di saper ritrasformare qualsiasi cosa con cui entri in contatto e saper spaziare e approfondire qualsiasi genere dandogli quel suppelletto in più come in questo caso la critica sociale e politica.
sabato 8 agosto 2020
Leon
Titolo: Leon
Regia: Luc Besson
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
La vita del sicario di origine italiana
Léon viene irrimediabilmente sconvolta quando la giovane vicina di
casa di nome Mathilda, i cui genitori sono legati al traffico di
stupefacenti e alla corrotta polizia di New York, viene a suonare in
lacrime alla porta della sua umile stanza di motel.
La ragazza, scampata alla missione
punitiva guidata dall’agente Norman Stansfield, rientrando dopo
aver fatto compere, intravede attraverso la porta di casa il corpo
del fratello minore, da lei molto amato, e non avendo altro posto in
cui rifugiarsi, cerca asilo da Léon che, titubante decide di
aiutarla.
Leon dimostrava il talento di un Besson
ispiratissimo ai suoi fasti con pellicole d'azione tra le più
interessanti di quegli anni. Il film invecchia benissimo,
dimostrazione di un lavoro dove la tecnica e le maestranze hanno dato
vita ad un mezzo miracolo per una storia semplice e già vista ma
allo stesso tempo emotiva ed efficace con un ritmo incalzante e
alcune scene e dialoghi indimenticabili.
Con una galleria d'attori semplicemente
perfetta (Portman e Oldman su tutti) è un viaggio dell'eroe post
contemporaneo, un film di formazione attuale quanto drammatico, un
film che parla di fragilità, di personaggi e rapporti cinici,
divertenti quanto oltraggiosi (come si impone Mathilda nella vita di
Leon sconvolgendone la routine e stuzzicandolo per quanto concerne
una sessualità da sempre repressa) riuscendo nel difficile compito
di avere la consapevolezza di essere un racconto variopinto,
citazionista con omaggi a Leone a partire dal titolo, di regalare
sparatorie uniche e tecnicamente perfette e di riuscire con quei
primissimi piani, quel tono scanzonato, di inserire quei dictat
hollywoodiani di stampo italo-americano, la Little Italy, Danny
Aiello e il suo ristorante, un killer professionista arrivato dal
nulla e allevato come un figlio che viene assoldato dai mafiosi,
senza avere mai cadute di tono ma riuscendo ad essere sempre ispirato
e a tratti anche molto divertente.
Etichette:
1994,
Azione,
Cult,
Drammatico,
Leon,
Revenge-Movie,
Usa
sabato 1 agosto 2020
Eclissi letale
Titolo: Eclissi letale
Regia: Anthony Hickox
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Dopo aver visto ridotto in fin di vita
il collega Jim Sheldon nel corso di una azione per liberare degli
ostaggi, il poliziotto Max Dire se lo ritrova poco dopo al suo
fianco, agile e forte più che mai. Insospettito da quella guarigione
miracolosa, indaga un po' in giro, e grazie anche all'aiuto della
bella Casey Spencer, Max scopre l'esistenza di un dipartimento
segreto della polizia, guidato dal detective Garou, i cui componenti
fanno uso di una potente droga che di notte li trasforma in lupi
mannari. Quando si unisce al gruppo, di cui fa parte anche Casey, Max
si accorge che tutti i buoni sono lupi, ma che non tutti i lupi sono
buoni
Tra i b-movie che si tuffano nei generi
scanzonati, ignoranti al punto giusto ma mai banali e pieni d'azione
e di ritmo, uno dei cult rimarrà sempre Sbirri oltre la vita dove
macchinari che riportavano in vita uomini che diventavano mostri era
il top. Qui abbiamo poliziotti mannari, una bella idea col siero che
serve a renderli così forti e spietati e ricavato dal cervello del
suo capo che la fornisce ai suoi seguaci. Diciamo che l'azione è
sfrenata, ci si prende anche qui poco sul serio, ma il film ha
davvero un ritmo incredibile già dall'inizio, grazie anche ai suoi
toni ironici senza troppe pretese. Un manipolo di "super eroi"
sbirri mannari che di notte vanno a ripulire la feccia tenuti assieme
da un leader particolarmente stronzo già così ha un aura pregevole
per alcuni effetti speciali ottimi e quintalate di scene d'azione.
Certo in casi come questi la sospensione dell'incredulità è la
prassi così come uno script davvero ignorante nella sua pochezza e
approssimazione dove gli eventi accadono per caso senza reali legami
di causa-effetto e ciò che più sbalordisce è l'impassibilità di
chi vi assiste come nella scena del matrimonio di uno della banda. Il
film da noi in Italia venne vietato ai minori di 18 anni dopo lunghe
discussioni tra la Eagle Pictures (detentrice dei diritti di
distribuzione) e la commissione di censura, che vi ha ravvisato
pericolose "leggerezze sociali".
martedì 14 luglio 2020
Street Fighters-Animated movie
Titolo: Street Fighters-Animated movie
Regia: Gisaburo Sugii
Anno: 1994
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5
La trama, dunque, vede Ryu e Ken
Master, due ragazzi cresciuti insieme e allenati dallo stesso maestro
nelle arti marziali, essere presi di mira da M. Bison, l'antagonista
del film, nonché capo di un'organizzazione criminale che punta a
creare super soldati tramite il lavaggio del cervello.
A più di 25 anni dalla sua uscita il
film di animazione videoludico tratto dalla famosa saga di
videogiochi, rimane un precursore assoluto, un film con uno stile
d'animazione e un ritmo più che notevole.
Una schiera infinita di personaggi,
umorismo a zero, combattimenti oltre i livelli a cui eravamo
solitamente abituati e poi una fotografia, uno stile e un'atmosfera
davvero cupa che riesce a dare ancora più spessore e potenza per una
grande prova registica e una storia che riesce a non essere poi così
banale. Il film di Sugii a distanza di anni mantiene tutta la classe
e la potenza di un film che come pochi è riuscito a diventare una
sorta di cult nella vastissima filmografia d'animazione, intessendo
poche sotto trame ma funzionali, creando intrecci narrativi e
combattimenti dove di fatto ognuno cerca di scoprire se esiste
qualcuno più forte di lui.
M.Bison poi riesce a differenza di
altre trasposizioni ad essere crudele al punto giusto, un vero leader
dittatoriale che pur di trovare il combattente più forte al mondo
manda in secondo piano i suoi affari.
mercoledì 1 luglio 2020
Fatal Fury – The motion picture
Titolo: Fatal Fury – The motion
picture
Regia: Masami Obari
Anno: 1994
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5
L'ambizioso Laocom Gaudemaus, insieme
ai suoi tre seguaci Penny, Hauer e Jamin, mira a recuperare
l'armatura di Marte, capace di dotare d'immani poteri colui che la
indossa. Sulia, sorella di Laocom e preoccupata per le mire oscure
intraprese dal fratello, si rivolge a Terry Bogard, che in passato
aveva sconfitto avversari come Geese Howard e il suo fratellastro
Wolfgang Krauser, per porre fine alle ambizioni di dominio del
fratello. Terry non si lascia pregare e grazie all'aiuto di suo
fratello Andy e degli amici Joe e Mai, si recano nei luoghi in cui
sono dispersi i pezzi dell'armatura prima che se ne impadronisca il
gruppo di Laocom.
Fatal Fury è sempre stato un
picchiaduro di serie b, rispetto a saghe ben più epiche e
affascinanti.
Gli anni 90' per l'animazione
giapponese, quella che prende spunto dai videogiochi, sono stati i
più intensi e memorabili parlando ovviamente di film di genere e
mettendo questo film insieme a
STREET FIGHTERS come i due prodotti
d'intrattenimento tratti dai videogiochi migliori, in un decennio
dove c'erano degli artisti inarrivabili e pazzeschi come tutto il
cinema di Yoshiaki Kawajiri, Mamoru Oshii, Katsuhiro Ōtomo, Satoshi
Kon e Miyazaki.
La saga di Fatal Fury, di cui sono
stati prodotti tre film dalla sua ha un'anima avventuriera davvero
strategica giocando con l’archeologia, le leggende, gli artefatti o
le pergamene dotati di mistici poteri, e la storia dell’armatura
sacra, nonostante paghi un pesante pegno ai CAVALIERI DELLO ZODIACO,
è davvero molto affascinante. Vedere i personaggi spostarsi da un
capo all’altro del mondo per recuperarne i pezzi permette agli
spettatori di visitare diverse location di grande appeal e
splendidamente ritratte, spesso e volentieri anche dotate di un
fascino esotico che ben si confà all’avventura archeologica.
In forma semplificata e senza prendersi mai sul serio, il film non si fa mancare nulla, c’è avventura, mistero, umorismo, qualche corpo nudo, ci sono i combattimenti a base di arti marziali e c’è il sentimento, che non manca mai nelle produzioni dedicate a Fatal Fury e qui viene ben esemplificato dalle love stories tra Andy e Mai tra Terry e Sulia mentre lo stesso non si può dire nei villain
In forma semplificata e senza prendersi mai sul serio, il film non si fa mancare nulla, c’è avventura, mistero, umorismo, qualche corpo nudo, ci sono i combattimenti a base di arti marziali e c’è il sentimento, che non manca mai nelle produzioni dedicate a Fatal Fury e qui viene ben esemplificato dalle love stories tra Andy e Mai tra Terry e Sulia mentre lo stesso non si può dire nei villain
che sono dei personaggi unicamente
“stilosi” a livello estetico.
Curiosa la leggenda alla base del film.
2300 anni fa, un uomo di nome Godamas minacciò lo sconfinato impero
di Alessandro il Grande grazie ai poteri dell’Armatura di Marte. In
uno scontro che spazzò via Babilonia, Godamas venne sconfitto e
l’armatura venne smembrata in sei parti che furono disperse in
luoghi remoti.
domenica 8 marzo 2020
Cari fottutissimi amici
Titolo: Cari fottutissimi amici
Regia: Mario Monicelli
Anno: 1994
Paese: Italia
Giudizio: 4/5
Siamo nel 1943, in Toscana. Un gruppo di pugilatori
improvvisati va a far baldoria nelle sagre di paese.
Quanti elementi sono presenti nel capolavoro di Monicelli
(uno dei tantissimi che per fortuna il grande maestro ci ha lasciato). Un film
sulla guerra che si burla della guerra ma al contempo mostra gli orrori di ciò
che ha creato nelle terre e nelle campagne distruggendo ambizioni e intere
città. Una commedia che per toni e dialoghi e scenette sembra omaggiare le
slapstick ma i risultati alternano divertimento e risate a importanti
riflessioni. Un film sulla povertà e il bisogno di sopravvivere improvvisandosi
come si può.
E poi ci troviamo ancora una volta con un ottimo Paolo
Villaggio a fare da timoniere per un’altra Armata Brancaleone più o meno
fracassata e fracassona come quella vista in precedenza.
Ed è un film estremamente drammatico, in cui ogni faccia
che si mostra è segnata da una disgrazia o alla ricerca di vendetta e
redenzione in una zona rossa dove troviamo ancora i soldati americani con i
loro lussi e i loro vizi a fare da padroni in una terra che non sono stati loro
a salvare in primis.
Un’avventura on the road con un finale abbastanza tragico
e malinconico, una metafora su come l’Italia non è mai stata unita ma troverà
modi e stili diversi per riprendersi.
mercoledì 2 ottobre 2019
Seme della follia
Titolo: Seme della follia
Regia: John Carpenter
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 5/5
John Trent, investigatore privato, viene incaricato di un caso che lo conduce ai confini della realtà: ritrovare uno scrittore di best-seller dell'orrore misteriosamente scomparso. Il detective si ritrova coinvolto in una vicenda in cui la realtà si confonde pericolosamente con la fantasia.
E'doveroso ammettere che film così ispirati e con così tanti significati fanno fatica ad uscire di questi tempi. In the Mouth of Madness è uno dei migliori horror di sempre, una storia così semplice e al contempo indecifrabile che lascia ancora ampi margini di interpretazioni chiudendo la trilogia carpenteriana e portando alle estreme conseguenze le indagini del regista sulla rarefazione del reale e il suo irrimediabile scambio con l'immaginifico (prologo e finale). Con una resa visiva eccellente per quanto concerne tutti i generi citati e tutte le dimensioni che il film affronta, reale, paranormale, sovrannaturale, spostandosi di fatto da un contesto all'altro in un viaggio allucinato e disperato che sembra non avere mai fine con toni apocalittici, atmosfere gotiche e infine i mostri che tornano sulla terra da dimensioni ignote e con umani che subiscono orripilanti mutazioni fisiche.
Un film che non è tratto dai romanzi di King ma che diventa istantaneamente una delle sue ipotetiche trasposizioni migliori, citando e strizzando l'occhio verso quell'universo di follia che si impossessa del protagonista e dei lettori in un impianto visivo semplicemente spettacolare e magistrale per quanto curi nel particolare ogni singolo frame diventando inquietante, morboso, gore e disturbante (Sam Neil in stato di grazia, quell'urlo nel pullman ancora mi sveglia la notte). Un film dalla struttura tutt'altro che semplice, un gioco che serve a sbilanciare lo spettatore a farlo mettere continuamente in discussione su ciò che sta avvenendo e le scelte dei protagonisti. Carpenter ha parlato di libri maledetti come di film maledetti nel sontuoso episodio dei MHO-CIGARETTE BURNS.
Una delle opere horror più affascinanti sul tema della realtà e immaginazione, tra continui incubi e situazioni che confondono e trasfigurano protagonista/spettatore in un alternarsi senza fine, diventando sempre più deliranti giocando sulle ambiguità fino al climax finale decisamente curioso e inaspettato.
Regia: John Carpenter
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 5/5
John Trent, investigatore privato, viene incaricato di un caso che lo conduce ai confini della realtà: ritrovare uno scrittore di best-seller dell'orrore misteriosamente scomparso. Il detective si ritrova coinvolto in una vicenda in cui la realtà si confonde pericolosamente con la fantasia.
E'doveroso ammettere che film così ispirati e con così tanti significati fanno fatica ad uscire di questi tempi. In the Mouth of Madness è uno dei migliori horror di sempre, una storia così semplice e al contempo indecifrabile che lascia ancora ampi margini di interpretazioni chiudendo la trilogia carpenteriana e portando alle estreme conseguenze le indagini del regista sulla rarefazione del reale e il suo irrimediabile scambio con l'immaginifico (prologo e finale). Con una resa visiva eccellente per quanto concerne tutti i generi citati e tutte le dimensioni che il film affronta, reale, paranormale, sovrannaturale, spostandosi di fatto da un contesto all'altro in un viaggio allucinato e disperato che sembra non avere mai fine con toni apocalittici, atmosfere gotiche e infine i mostri che tornano sulla terra da dimensioni ignote e con umani che subiscono orripilanti mutazioni fisiche.
Un film che non è tratto dai romanzi di King ma che diventa istantaneamente una delle sue ipotetiche trasposizioni migliori, citando e strizzando l'occhio verso quell'universo di follia che si impossessa del protagonista e dei lettori in un impianto visivo semplicemente spettacolare e magistrale per quanto curi nel particolare ogni singolo frame diventando inquietante, morboso, gore e disturbante (Sam Neil in stato di grazia, quell'urlo nel pullman ancora mi sveglia la notte). Un film dalla struttura tutt'altro che semplice, un gioco che serve a sbilanciare lo spettatore a farlo mettere continuamente in discussione su ciò che sta avvenendo e le scelte dei protagonisti. Carpenter ha parlato di libri maledetti come di film maledetti nel sontuoso episodio dei MHO-CIGARETTE BURNS.
Una delle opere horror più affascinanti sul tema della realtà e immaginazione, tra continui incubi e situazioni che confondono e trasfigurano protagonista/spettatore in un alternarsi senza fine, diventando sempre più deliranti giocando sulle ambiguità fino al climax finale decisamente curioso e inaspettato.
domenica 29 settembre 2019
Brainscan
Titolo: Brainscan
Regia: John P.Flynn
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Michael, orfano di madre, è un tipo decisamente introverso. Si rifugia allora nell'elettronica e sperimenta "Brainscan", un CD-Rom così interattivo da coinvolgerlo apparentemente in una serie di delitti.
Brainscan è un filmetto da quattro soldi scritto male e diretto peggio ma che almeno aveva qualche idea da mettere in scena unendo realtà virtuale, musica metal, omicidi e tante altre cosucce come spiare la propria vicina e farci un sacco di pensieri.
Trickster grazie all'abilità di Steve Johnson agli effetti speciali è forse la cosa migliore assieme all'interpretazione senza freni di Furlong nei suoi anni di grazia prima di finire lobotomizzato dalle droghe e dall'alcool. Un film ingenuo che però cerca di fare quanto di meglio grazie proprio al gioco tra il mostro e il protagonista senza chiamare in causa attori secondari sprecati e omicidi che sembrano messi in scena da tecnici di serie tv americane mostruose per il piattume con cui vengono concepiti e messi in scena.
Sembra di vedere un film ancora più vintage di quanto non sembri assomigliando ad una pellicola degli anni '80, dove nel freezer vediamo i macaroni al formaggio e una tecnologia che seppur preistorica cercava di dare il suo meglio.
Il gioco "Brainscan" poi che cercava di omaggiare alcuni videogiochi di successo di quegli anni, consiste nel superare 4 livelli divisi in 4 CD, uccidendo tutti i testimoni sbarazzandosi delle prove prima dello scadere del tempo. Michael, dopo aver superato tutte le prove dei 4 CD (involontariamente, contro il volere di Trickster) infine si risveglia nella sua stanza ritornando alla realtà e si rende conto che tutte le persone uccise nel videogioco sono in realtà vive e che ha vissuto una bruttissima esperienza. Finale davvero trascurato che butta nell'immondizia quanto creato ma che rispecchia il solito happy ending americano di quegli anni.
Regia: John P.Flynn
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Michael, orfano di madre, è un tipo decisamente introverso. Si rifugia allora nell'elettronica e sperimenta "Brainscan", un CD-Rom così interattivo da coinvolgerlo apparentemente in una serie di delitti.
Brainscan è un filmetto da quattro soldi scritto male e diretto peggio ma che almeno aveva qualche idea da mettere in scena unendo realtà virtuale, musica metal, omicidi e tante altre cosucce come spiare la propria vicina e farci un sacco di pensieri.
Trickster grazie all'abilità di Steve Johnson agli effetti speciali è forse la cosa migliore assieme all'interpretazione senza freni di Furlong nei suoi anni di grazia prima di finire lobotomizzato dalle droghe e dall'alcool. Un film ingenuo che però cerca di fare quanto di meglio grazie proprio al gioco tra il mostro e il protagonista senza chiamare in causa attori secondari sprecati e omicidi che sembrano messi in scena da tecnici di serie tv americane mostruose per il piattume con cui vengono concepiti e messi in scena.
Sembra di vedere un film ancora più vintage di quanto non sembri assomigliando ad una pellicola degli anni '80, dove nel freezer vediamo i macaroni al formaggio e una tecnologia che seppur preistorica cercava di dare il suo meglio.
Il gioco "Brainscan" poi che cercava di omaggiare alcuni videogiochi di successo di quegli anni, consiste nel superare 4 livelli divisi in 4 CD, uccidendo tutti i testimoni sbarazzandosi delle prove prima dello scadere del tempo. Michael, dopo aver superato tutte le prove dei 4 CD (involontariamente, contro il volere di Trickster) infine si risveglia nella sua stanza ritornando alla realtà e si rende conto che tutte le persone uccise nel videogioco sono in realtà vive e che ha vissuto una bruttissima esperienza. Finale davvero trascurato che butta nell'immondizia quanto creato ma che rispecchia il solito happy ending americano di quegli anni.
sabato 8 giugno 2019
Corvo
Titolo: Corvo
Regia: Alex Proyas
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Alla vigilia di Halloween, il musicista
dark Eric Draven è brutalmente assassinato con la sua fidanzata da
una banda di drogati. Esattamente un anno dopo Eric risorge, pallido,
nero vestito e accompagnato da un misterioso corvo. Immortale, dà la
caccia agli assassini e al loro capo, Dollar, ma questi, grazie
all'amante, esperta di occultismo, lo mette in difficoltà.
Ci sono dei film che rimarranno
maledetti per sempre..
Il corvo diretto dal mestierante Alex
Proyas è certamente uno di questi. Brandon Lee ucciso sul set fu una
tragedia che non venne dimenticata facilmente, come d'altronde era il
destino ineluttabile e drammatico dei membri della famiglia Lee.
Un revenge movie dove il nostro eroe
decide di andare contro gli assassini della sua fidanzata facendo
pulizia e agendo come una sorta di eroe solitario e tenebroso.
Il fascino dell'attore, i dialoghi
tagliati con l'accetta ("non può piovere per sempre"), la
scenografia scura che anticipava le belle atmosfere di DARK CITY,
attori tutti in parte e alcuni combattimenti resi epici proprio dalla
disperazione che portava Eric a seguire la sua sete di vendetta,
hanno fatto sì che l'opera venne accolta dai fan del genere come una
piccola pietra miliare.
Quando uscì al cinema avevo 12 anni e
fu un evento che segnò diversi adolescenti della mia generazione.
Un film americano come in quegli anni
ne uscivano a bizzeffe, dotato dalla sua di un concentrato di rabbia,
tristezza e malinconia che sembrava il manifesto del disagio dei
giovani adolescenti di allora (impossibile non empatizzare con Eric).
Il corvo aveva tutti quei diktat della filosofia dark e politica di
un autore molto sfortunato che dopo aver diretto un paio di buoni
film, tra cui questo, è diventato un mestierante al soldo delle
major dirigendo per lo più immondizia.
Il trucco nero di Eric e il costume, i
suoi pianti , le sue lacrime, la pioggia insistente, la tortura e il
sangue, lo stupro collettivo, di certo Proyas ha cercato di mantenere
il più possibile le atmosfere del fumetto in tre puntate ideato e
realizzato da James O'Barr. Grazie poi ad una sound track da urlo, il
film anche nelle sue ripetizioni e in un finale telefonato, è
diventato un cult incredibile soprattutto per la morte tragica del
suo eroe.
Etichette:
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Drammatico,
Revenge-Movie,
Usa
lunedì 3 giugno 2019
Addiction
Titolo: Addiction
Regia: Abel Ferrara
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
New York. Kathleen studia filosofia
morale, materia che le offre spunto per porsi continuamente problemi
ai quali non trova risposte soddisfacenti. Una sera, tornando a casa,
viene aggredita da una donna-vampiro che la porta in un vicolo e le
succhia il sangue. Da quel momento Kathleen non è più la stessa, si
sente in preda a una sete inarrestabile e il virus del vampirismo sta
entrando nel suo corpo. Dopo aver assalito una serie di vittime, la
ragazza entra in contatto con Peina, un altro vampiro che le insegna
come vivere anche stando in astinenza. Con il passare del tempo,
Kathleen sembra essere tornata a una vita normale, ma in occasione
della sua festa di laurea il vampirismo riprende il sopravvento...
Abel Ferrara è un regista che non ha
bisogno di presentazioni così come Christopher Walken e Lili Taylor.
Il film dell'autore americano riesce a
districarsi dal solito genere vampiresco improntato sull'action, ma
prende una strada diversa, sempre ponendo al centro come location
l'incubo metropolitano, ma cercando di allargare la metafora (sulla
diversità) e studiarne i contenuti come un fatto sociale, un
esperimento quasi antropologico sulla società americana.
Il viaggio di Kathleen è il viaggio di
tutti noi verso qualcosa che affascina e al contempo spaventa.
Un bisogno di metamorfosi interna che
fa sì che Kathleen entri in contatto con un'altra realtà, forse
quella che in fondo ha sempre cercato e temuto allo stesso tempo. A
livello tecnico c'è da dire che la scelta della fotografia in b/n si
è rivelata funzionale per dare forma e ombre ai personaggi e alle
suggestioni caricandole ancor più di significato e lasciando
presagire paure e luoghi sconosciuti.
Il martirio e la dipendenza da sangue
diventano ad un certo punto, dal secondo atto in avanti, un viaggio
per la sopravvivenza e l'indagine interiore dove si cerca di andare
avanti tra nervi scoperti, sangue e sofferenza fisica e morale.
Forse è il film dell'autore che più
di tutti esplora l'essenza del dolore qui codificata ad hoc
scegliendo una materia come quella dei vampiri, affascinante proprio
perchè credendo di essere al di sopra dell'uomo, porta a riflessioni
importanti soprattutto nel finale circa il concetto di immortalità e
sopravvivenza.
Dellamorte dellamore
Titolo: Dellamorte dellamore
Regia: Michele Soavi
Anno: 1994
Paese: Francia
Giudizio: 4/5
Francesco Dellamorte lavora come
custode al cimitero di Buffalora, un piccolo paesino lombardo. Il
luogo però è infestato da una strana maledizione: la notte infatti
le persone decedute negli ultimi sette giorni ritornano in vita, e a
lui e al suo goffo aiutante Gnaghi tocca l'arduo compito di eliminare
i morti viventi. Il tutto naturalmente all'oscuro di chiunque, pena
il rischio di perdere il lavoro e passare per matto. Le cose però si
complicano inesorabilmente quando Francesco viene sedotto da una
giovane vedova. I due hanno un rapporto sessuale proprio sopra la
tomba del marito appena scomparso, che inferocito si risveglia dalla
tomba e uccide la ragazza. Da qui in poi per Francesco la vita
diventerà un vero inferno, e oltre ad occuparsi dei "ritornanti",
sempre più numerosi, dovrà fare i conti con la propria coscienza.
Fino ad oggi il miglior film su Dylan
Dog.
Qualsiasi altro tentativo non è mai
stato all'altezza nonostante gli sforzi interessanti di un indie come
Dylan
Dog-Vittima degli eventi
oppure tentativi beceri e terribili come sempre ad opera degli
americani girati in fretta e furia e senza rispecchiare nessuna
poetica dell'autore con Dylan
Dog-Dead of Night
Tratto da un romanzo di Tiziano Sclavi,
il film funziona prima di tutto per l'atmosfera che riesce a
confondere lo spettatore facendogli pensare di essere in una sorta di
limbo (siamo a Boffalora vicino Milano) dove in mezzo alla nebbia e
soprattutto tra la nebbia, tutto può succedere.
Sembra inoltre di uscire da un film di
Fellini ed entrare nell'orrore di Fulci.
Tutto funziona perfettamente anche la
presenza di una modella come Anna Falchi che rimane statuaria nella
sua bellezza e nella sua iconografia che soprattutto all'inizio è
ispirata alla Venere del Botticelli. E' un film che se a livello
tecnico funziona molto bene, è soprattutto il ritmo e il linguaggio
a farla da padrone dove il grottesco non manca, ma neppure il cinismo
beffardo e la malinconia romantica di fondo con continui rimandi al
cinema e alla letteratura e alcune scene indimenticabili. Oltre ad
essere il miglior film su Dylan Dog e un ottimo horror zombie-movie,
una interessante commedia nera e un dramma romantico girato con un
decimo del budget del coetaneo americano con cui in comune ha solo il
nome del protagonista.
mercoledì 2 luglio 2014
Little Odessa
Titolo: Little Odessa
Regia: James Gray
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Joshua Shapira, killer di professione, torna a Little Odessa, quartiere di immigrati russi a Brighton Beach, Long Island, dove è nato, per un "lavoretto pulito". Suo padre gli vieta di mettere piede in casa, dove sua madre è morente e suo fratello minore, Reuben, stravede per lui. Joshua vuole compiere il lavoro quella notte, ma suo padre lo "vende" al boss del quartiere. Pagheranno le sole persone che ama.
Per essere un'opera prima il primo film di Gray a 25 anni risulta in perfetta sintonia con gli intenti e la personalità del regista. Tuttavia non ci si può esimere dal trovare il Little Odessa una struttura che rimanda ad alcuni stereotipi belli forti, un thriller-drammatico con in mezzo la malavita, famiglie sfasciante, vita di strada e via discorrendo. Di suo c'è che il film si prende molto seriamente, il protagonista, un buon Roth, è gelido e spietato e costretto a confrontarsi con le proprie radici e i demoni del passato.
Senza dare lustro o diversa forma al genere, Gray ne incupisce i toni, cerca una sottile analisi di alcuni rapporti famigliari, e rende questa moderna tragedia in un linguaggio sobrio e intenso senza compiacimenti cinefili né concessioni al sensazionalismo a parte forse qualche nota dolente nel finale. Incuriosisce comunque la cura con cui il regista ha confezionato alcuni momenti molto tragici e drammatici come l'incontro tra Joshua e sua madre.
Regia: James Gray
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Joshua Shapira, killer di professione, torna a Little Odessa, quartiere di immigrati russi a Brighton Beach, Long Island, dove è nato, per un "lavoretto pulito". Suo padre gli vieta di mettere piede in casa, dove sua madre è morente e suo fratello minore, Reuben, stravede per lui. Joshua vuole compiere il lavoro quella notte, ma suo padre lo "vende" al boss del quartiere. Pagheranno le sole persone che ama.
Per essere un'opera prima il primo film di Gray a 25 anni risulta in perfetta sintonia con gli intenti e la personalità del regista. Tuttavia non ci si può esimere dal trovare il Little Odessa una struttura che rimanda ad alcuni stereotipi belli forti, un thriller-drammatico con in mezzo la malavita, famiglie sfasciante, vita di strada e via discorrendo. Di suo c'è che il film si prende molto seriamente, il protagonista, un buon Roth, è gelido e spietato e costretto a confrontarsi con le proprie radici e i demoni del passato.
Senza dare lustro o diversa forma al genere, Gray ne incupisce i toni, cerca una sottile analisi di alcuni rapporti famigliari, e rende questa moderna tragedia in un linguaggio sobrio e intenso senza compiacimenti cinefili né concessioni al sensazionalismo a parte forse qualche nota dolente nel finale. Incuriosisce comunque la cura con cui il regista ha confezionato alcuni momenti molto tragici e drammatici come l'incontro tra Joshua e sua madre.
lunedì 30 luglio 2012
Street Fighter
Titolo: Street Fighter
Regia: Steven E. De Souza
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
l tiranno di Shadaloo, un immaginario paese del sud-est
asiatico, ha preso in ostaggio sessantatré caschi blu e minaccia di sterminarli
se non avrà venti milioni di dollari. Entra in azione una task force delle
Nazioni Unite, capeggiata da eroico colonnello esperto in karate
Alcuni tentativi del passato che cercavano di portare su
grande schermo alcuni videogiochi hanno sempre fatto i conti con scarsi effetti
speciali e a volte budget molto limitati per l’impresa. Soprattutto se parliamo
degli inizi degli anni ’90 allora ne sono esempi, che poi con il tempo sono
diventati dei b-movie veri e propri, film come DOUBLE DRAGON oppure SUPER MARIO
BROS.
Il caso di Street Fighter è diverso per molti motivi. Il primo
è che il videogioco è spaventosamente famoso e conosciuto da quasi tutta la
crew dei giovani di quella generazione e poi anche dopo. Il franchising
costruito ad hoc dai nipponici sull’argomento è stato poi spaventosamente
gigante.
Il secondo è perché non avendo assolutamente una storia,
era un tentativo davvero difficile di cercare di restituire un minimo di
somiglianza anche solo con quello che si leggeva sui fumetti, e nel caso in
questione, la fantasia a fatto da padrona dall’inizio alla fine.
Il terzo motivo è quello secondo cui svariate fonti,
compreso me, non avevano assolutamente intenzione di vedere il film e poi dal
momento che qualche anno dopo sono arrivati alcuni lunghi d’animazione davvero
potenti e che hanno saputo riscattare il gioco dandone sicuramente un punto di
vista apprezzabile a differenza del film in questione.
Il quarto motivo è il più brutto è la forza reazionaria
del film camuffata sotto la guida di Guile (un super-tamarro Van Damme),
soldato dei marines, che non è mai stato protagonista di nulla all’interno dei
fumetti sulla saga.
Quindi partendo da quest’ultimo motivo diventa fine a se
stesso, definendolo una boiata eccezionale, una mistura di vari personaggi
reinterpretati alla cazzo di cane anche se in alcuni momenti si ride è di
gusto.
Soprattutto se a caratterizzare Bison c’è il Raul Julia, morto poco dopo la fine delle
riprese.
martedì 13 dicembre 2011
Once Were Warriors-Una volta erano guerrieri
Titolo: Once Were Warriors-Una volta erano guerrieri
Regia: Lee Tamahori
Anno: 1994
Paese: Nuova Zelanda
Giudizio: 3/5
Alla periferia di Auckland una madre maori di cinque figli lotta per tenere unita la famiglia contro il marito ubriacone e violento e due figli invischiati nella logica delle bande giovanili
Una volta erano guerrieri ora sono alcolizzati e schiavi del mito americano.
Questa poteva essere la log-line di lancio del film. Uno spaccato urbano a tratti commovente e sicuramente duro e scomodo come i dialoghi e il linguaggio usato nel film. Una critica feroce contro la rapina, usato come sinonimo di colonizzazione che vede protagonisti i Maori. Dentro la società dentro il ghetto, scopriamo come oramai il degrado e la corruzione siano le costanti del processo e della deriva urbana con evidenti responsabilità antropologiche di natura ovviamente occidentale.
Eppure i personaggi che vivono questa dura realtà non sembrano trovare colpevoli sfogando tra di loro la rabbia e l’evidente frustrazione.
Tamahori poi punta molto sui legami famigliari e quelli tra bande(unico elemento con il quale sembrano mantenere una certa stabilità anche se ad un prezzo molto alto).
Temuera Morrison ha avuto la possibilità di dar vita ad un personaggio molto discutibile ma sicuramente indimenticabile come quello di Jack la Furia. Peccato per il suo futuro che insieme a quello del regista sembra essersi disperso come le radici Maori, solo che mentre il primo è stato sfortunato il secondo
ha abbandonato la sua terra per dedicarsi ai film d’azione più beceri americani ma con la consapevolezza di aver realizzato il suo capolavoro alla sua opera prima.
La parte poi di formazione in cui l’insegnante cerca di instillare tradizioni e cultura ai giovani è forse la parte più commovente.
domenica 20 novembre 2011
Hellbound-All’inferno e ritorno
Titolo: Hellbound-All’inferno e ritorno
Regia: Aaron Norris
Anno: 1994
Paese: Usa
Giudizio: 1/5
Anno 1186 d.C.: il re Riccardo Cuor di Leone giunge in terra santa per salvare un neonato figlio di re dall'emissario di Satana, Prosatanos, un potente essere malvagio. Con l'ausilio dei suoi uomini entra in un castello, e combatte creature mostruose prima di poter imprigionare in un sepolcro il malvagio Prosatanos. Tuttavia quest'ultimo gli ricorda la profezia che dice che un giorno sarà liberato e porterà la morte di nuovo sulla Terra. Tenendo conto delle sue parole, il re Riccardo fa murare tutte le stanze che portano alla tomba, per fare in modo che nessuno si possa avvicinare per liberarlo. Inoltre divide in otto pezzi lo scettro di Prosatanos, fonte del suo potere.
Anno 1951 d.C.: due uomini spinti dall'avidità riescono a entrare nella tomba di Prosatanos, ma a causa della loro ignoranza liberano il malvagio essere come scritto nelle profezie, e vengono barbaramente uccisi da lui.
L’incipit iniziale è così assurdo da riuscire a rendere la visione possibile proprio grazie a questo stratagemma del tutto illogico che colloca Hellbound tra le cose più brutte (ma divertenti) che siano mai state girate.
Hellbound è il quinto film del fratello di Norris che evidentemente doveva celebrarne su pellicola l’autostima e le imprese mirabolanti dal momento che la loro collaborazione non finisce qui.
La trama è così assurda e ricorda così tanto i b-movie che non potevo astenermi da un’attenta visione. Naturalmente di una bruttezza rara e più trash di quanto non si dica, Hellbound gioca proprio sull’assurdo ovvero un sergente che sfida un demone (non il diavolo come altri hanno scritto) in una corsa contro il tempo assolutamente senza senso..
Dal soggetto si arriva poi alle location quasi tutto girate in Israele e di cui quei cazzo di sionisti hanno in pratica aiutato a produrre questa porcheria che come molti lavori con o di Norris non risparmiano una certa vena xenofoba che traspare sempre anche se in piccole battute o luoghi comuni facenti parte di lacune culturali piuttosto evidenti.
Spesso viene malamente associato con il secondo capitolo di Hellraiser con cui non c’entra assolutamente niente. In questo caso la fusione tra horror (di cui non c’è traccia a parte l’espressione truce di Neame nel ruolo del demone Pronanatos) e azione poteva regalare qualcosa in più ma tutto viene cestinato sulla plasticità della coppia di protagonisti su cui svetta uno dei pochi attori capace di autocelebrarsi credendoci sul serio e senza preoccuparsi dell’elemento assurdo che lo mette nell’olimpo degli sboroni.
La serie di calci rotanti di Chuck comunque non risparmierà neanche l’adepto delle tenebre costretto a prendersi calci in faccia per ben cinque minuti.
Capolavoro delle cazzate targate Norris.
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