Visualizzazione post con etichetta Cina. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Cina. Mostra tutti i post

martedì 20 dicembre 2022

Warriors of the future


Titolo: Warriors of the future
Regia: Yuen Fai Ng
Anno: 2022
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Anno 2055, un meteorite si schianta su una futura Hong Kong devastata, come tutto il pianeta, dall’inquinamento e dal riscaldamento globale. Il meteorite porta con se un organismo vegetale alieno capace di purificare l’atmosfera ma che, a contatto con l’acqua, cresce rapidamente distruggendo ogni cosa sul suo cammino. Armato della mappa genetica della pianta, un ristretto gruppo di eroi cercherà di salvare la città ad ogni costo
 
Prodotto in divenire dal 2005, l'esordio di Yen Fai Ng, veterano degli effetti speciali, è un insieme convulso e velocissimo di un'insieme generale di luoghi comuni e copia e incolla vari da lasciare sgomenti. Come blockbuster cinese funziona dal punto di vista dell'azione, del montaggio frenetico (anche se l'impressione sembra quella che ogni tanto si perde qualche pezzo per strada), combattimenti a profusione con mostri e robot e degli effetti speciali interessanti anche se a volte rischiano di esagerare impattando in un caos in cui non è ben chiaro nel dettaglio cosa stia succedendo. Ma il problema di fondo è tutto il resto dalla trama vergognosa dove addirittura sui nomi non si cerca nemmeno di provare a dire qualcosa è troviamo Skynet e Pandora. Al politico corrotto che vuole salvare i propri interessi, alla missione salvifica dell'eroe e del piano B che consentirebbe l'uccisione di massa per salvare il pianeta, alla bambina che non si sa come è sopravvissuta a degli insettoni giganti che hanno mangiato quel poco che rimaneva della cittadina sommersa dai tentacoli dell'organismo vegetale. Potrei continuare a fare un elenco impietoso. Dal punto di vista però dell'action frenetico funziona. E' un cazzatone cinese di quelli che una volta nemmeno esistevano ma che piano piano cominciano ad invadere la cinematografia.

giovedì 12 maggio 2022

Sadness


Titolo: Sadness
Regia: Rob Jabbaz
Anno: 2021
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Siamo a Tai Pei, capitale del Taiwan. Jim e Cat conducono una vita normale, senza troppi eccessi e con i problemi di tutti noi. Nel frattempo, un virologo annuncia l’arrivo di una mutazione del virus del raffreddore, supplicando un lockdown. Le elezioni incombono e nessuno chiaramente vuole chiudere la città.
Tuttavia, il virus prende piede e trasforma la città intera in un covo di persone infette prive di ogni inibizione e devote solo alla violenza. Per Jim sarà una corsa alla sopravvivenza così come per Kat, che dovrà fuggire dalla follia, con la speranza di ricongiungersi al fidanzato. Non sarà un cammino facile

Sadness poteva davvero regalare molto di più. Al Tohorror sembrava il film del momento e soprattutto essendo targato Cina lasciava perplessi su un soggetto così ambizioso e pervertito.
Invece nonostante una buona messa in scena e un finale che regala qualche colpo di scena, devo dire che la violenza che immaginavo non si è vista se non in qualche breve momento come quello della metropolitana o l'orgia in ospedale tra gli infetti e lo stupro oculare (che però intuiamo senza vedere). Non è un caso che il regista sia canadese e abbia scelto di girare in Cina. Probabilmente un regista cinese non avrebbe potuto fare un film di questo tipo e la critica che abbia voluto fortemente la Cina per dare il via alla pandemia è diventato poi un pettegolezzo.
Seppur senza inibizioni ci si conceda ogni eccesso possibile, il film per assurdo riesce meno in termini di disgusto e orrore rispetto a prodotti estremi del passato come NAKED BLOOD ad esempio giusto per rimanere in Oriente. Mi aspettavo davvero un'opera più depravata alla Crossed di Garth Ennis. In questo caso poi il via alle danze dato con la signora anziana all'inizio lascia intuire visto il finale con lo scienziato che le cause di questo virus siano legate forse a una maledizione più che un esperimento andato a male. Purtroppo la parte che funziona meno è proprio la storia d'amore che vede la giovane coppia divisa e in location diverse proteggersi e mettersi in salvo.

venerdì 4 febbraio 2022

Raging fire


Titolo: Raging fire
Regia: Benny Chan
Anno: 2021
Paese: Cina
Giudizio: 4/5

Un'operazione sotto copertura viene attaccata da un misterioso gruppo di criminali guidati da Ngo. L'uomo è un ex poliziotto che cerca vendetta nei confronti di Yen, una volta suo mentore impagabile.

Il testamento di Chan non poteva essere da meno. Una carriera costellata da pellicole di grande impatto, action e polizieschi in tutte le varianti e poi molto altro ancora.
Qui ancora una volta se la trama contiene tutti i clichè possibili con situazioni retoriche e prolisse a restituire gloria e onore al film è la messa in scena e la ferocia dei suoi protagonisti dove ormai Donnie Yen tolti con molta difficoltà i panni di IP MAN riesce a ridare lustro ad un poliziotto ligio al dovere che sfugge da ogni tentativo di corruzione.
Senza provare a cercare nulla di anticonvenzionale ma spingendo tutto sull'action frenetico, il cinema di Hong Kong dimostra ancora una volta di essere tutt'altro che morto nonostante i prodotti orientali che arrivano dalla Corea del Sud, rimettendosi in pole position per quanto concerne la messa in scena e una tecnica con pochi eguali al mondo.

domenica 21 novembre 2021

Limbo


Titolo: Limbo
Regia: Pou-Soi Cheang
Anno: 2021
Paese: Cina
Giudizio: 5/5

Un poliziotto alle prime armi Will Ren e il suo compagno, il poliziotto veterano Cham Lau, stanno perseguendo un assassino di donne ossessivo e particolarmente brutale.
 
Limbo è il noir in b/n all'ennesima potenza. Se da un lato ormai questo sotto genere ha regalato diverse storie memorabili, Limbo seppur non trovando molta originalità nella storia, la raggiunge invece nella tecnica, nello sviluppo, nella mdp, nell'atmosfera, nella fotografia e in particolar modo nella scenografia. Perchè diciamolo subito. Limbo è il film dove la spazzatura ha un suo peso specifico, diventa anch'essa parte della storia nel cercarci dentro indizi, pezzi di corpo, pistole, etc. Limbo il cui nome non poteva che essere tale, lascia sospesi, in una sorta di bolla di sapone dove è difficilissimo cercare il killer in questione e trovare qualche suo indizio o scoprire cosa si nasconda dentro la sua mente criminale. Se l'indagine è da manuale del noir di come l'investigatore ci metta corpo e anima lasciandosi andare e abusando del suo ruolo per scoprire la verità, dall'altra parte c'è il collega più giovane, misurato, timido e con il senso di giustizia sempre a portata di mano.
Tutto andrà in vacca e i ruoli si ribalteranno. E poi il personaggio di Wong To che attraversa letteralmente gli inferi urbani di hongkong diventando la vittima sacrificale e il capro espiatorio.
Su di lei si scatena una tale brutalità in termini di vendetta che lascia interdetti per quanto questo personaggio alla fine riesca sempre a farcela anche se imbrattata di sangue e cicatrici.
Limbo è sporco, grottesco, squallido, convulso. Rifugge in tutto e per tutto l'happy ending scegliendo il sacrificio finale, trovando solo degrado e immoralità in quel malessere urbano che diventa il disagio interiore della società e dei suoi protagonisti. Limbo è un capolavoro.



Journey To China: The Mystery of Iron Mask


Titolo: Journey To China: The Mystery of Iron Mask
Regia: Oleg Stepchenko
Anno: 2019
Paese: Cina
Giudizio: 2/5

All'inizio del 1700, il cartografo Jonathan Green torna per mappare l'estremo oriente russo. È costretto in Cina, dove affronta il Dragon Master mentre lo zar russo mascherato di ferro fugge dalla Torre di Londra su una nave russa.
 
Devo ammettere che ormai non sono dei casi isolati queste mega produzioni cinesi, russe e americane dove si cerca di raccontare alcuni episodi della mitologia cinese e non solo mischiando folklore, mito e tanto fantasy. Verrebbe quasi da pensare che tutti e tre i paesi debbano far sparire del denaro sporco e allora si buttano su questo baraccone multietnico.
Il folklore cinese ultimamente sta andando molto in voga. NEW GODS NEZHA REBORN, NE ZHA, DOUBLE WORLD, MONKEY KING: THE HERO IS BACK, BIGFISH E BEGONIA, JOURNEY TO THE WEST: DEMON STRIKE, LEAGUE OF GOD, DRAGON BLADE, TRUE LEGEND, DETECTIVE DEE,
The Mystery of Iron Mask è il sequel di VIY, il film del 2014 liberamente ispirato alla storia di Nikolai Gogol ma anche un continuum di JOURNEY TO THE WEST con cui la sigla del film sembra dare continuità. E' un film confuso come i paesi che ne prendono parte per la produzione, mischiando troppi personaggi, facendo spesso difficoltà a decidere quale sia il protagonista e anteponendo la c.g e dunque gli effetti speciali alla narrazione.
Combattimenti a iosa che spesso risultano così incredibilmente impossibili da renderli ironici ma ancor più ridicoli. Lo scontro tra Jackie Chan e Arnold Schwarzenegger davvero non si può vedere. Ma poi qui si è andati davvero troppo a bombardare il pubblico di esagerazioni, citazioni a profusione dove alcune come quella delle tre bufere non può essere perdonata.
Jonathan Green dovrebbe essere il protagonista ma troppe volte viene abbandonato, preferendo seguire le prigioni dove è detenuto Chan e dove si diverte a dargli fastidio il buon Arnold, per arrivare a navi capitanate da nani ubriaconi dove la maschera di ferro riprenderà il suo potere coadiuvato da una lord britannica che cerca il suo perduto marito. In più la stessa alleata di Green che vestita da maschio in realtà è una donna, nonchè la figlia di Chan, colei che nel finale a cavallo di un drago sconfiggerà la strega finale. Se tutto questo non è troppo assurdo allora addentratevi in questo mastodontico caos frenetico e costato una marea di milioni già soltanto per il cast che ne prende parte.


mercoledì 2 giugno 2021

Better days


Titolo: Better days
Regia: Derek Tsang
Anno: 2019
Paese: Cina
Giudizio: 5/5

Nel 2011, a Chongqing, la studentessa Chen Nian è a poche settimane dall'esame di ammissione all'università. L'intera scuola è in fermento per l'importanza del traguardo, per il quale i ragazzi sono soggetti a enorme pressione. Un'amica di Chen Nian, tormentata per mesi dai compagni di classe, si suicida nel cortile della scuola. Un trauma che, assieme ai debiti della madre, rende la protagonista il prossimo bersaglio di un bullismo estremo. Mentre la polizia indaga sul caso senza troppo successo, la ragazza conosce e in seguito si affida alla protezione di Xiao Bei, giovane delinquente della zona.
 
Better days è prima di tutto un film romantico. Era dai tempi di BAD GUY di Kim Ki-duk che non mi emozionavo così tanto e il film manco a farlo apposta ricorda per lo strano legame tra i due protagonisti il capolavoro del regista coreano. Qui la vicenda come sempre più spesso capita per i drammi orientali è un compendio di tematiche attuali come il bullismo, l'emarginazione, la solitudine, crescere senza genitori, la sofferenza, il mondo della delinquenza e in una parola il rito di passaggio tra l'adolescenza e l'età adulta.
Better days racconta così tante cose per arrivare infine ad un processo e un interrogatorio straziante per tutta una serie di rivelazioni che Tsang non mancherà di centellinare in una struttura drammaturgica sontuosa e originale.
Un film complesso e ambizioso che colpisce duramente allo stomaco come nelle scene di bullismo in cui vediamo le ragazze per bene fin dove possono spingersi ai danni di Chen, la vendetta che colpisce in maniera spietata, l'emozionante rapporto tra Chen e Xiao e infine un paese dove alla base viene anche inquadrato un altro passaggio fondamentale quello del Gaokao, il famigerato esame che deciderà il futuro degli studenti e la pressione e la competitività a cui gli adolescenti sono soggetti.
Better Days vincitore di numerosi premi è stato bloccato dalla censura del suo paese come se tematiche di questo genere non vogliano essere tirate in ballo ed esaminate come a dire che il problema di non saper gestire dinamiche complesse tra adolescenti è un problema su cui è meglio non parlare troppo e palesare la realtà (l'idea del film nasce infatti da un episodio di cronaca).
Il film riesce ad andare oltre tutto questo diventando un manifesto che andrebbe fatto vedere nelle scuole dal momento che tratta la verità emotiva come non succedeva da anni, con una costruzione esemplare della tensione e una tenuta narrativa impeccabile nonostante le oltre due ore di durata.

Eroe dei due mondi


Titolo: Eroe dei due mondi
Regia: Yang Lun
Anno: 2021
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Quando sua figlia scompare senza lasciare alcuna traccia, un uomo per trovarla accetta di aiutare una misteriosa donna a uccidere uno scrittore di racconti fantasy, ma finisce in un’incredibile avventura a cavallo tra due mondi, perché allo stesso tempo il protagonista del libro ha iniziato il suo piano di vendetta e le sue azioni sembrano riflettersi nel mondo reale.
 
E' difficile di questi tempi dare un insufficienza ad un film orientale in particolare ad una filmografia cinese più che mai attenta a non sbagliare un colpo in nessun genere cinematografico.
E qui gli intenti erano tanti, avventura, fantasy, azione, mostri, folklore, viaggio dell'eroe, insomma mi aspettavo qualcosa di meritevole e magari con qualche piccola dose di originalità invece il film di Lun che non parte nemmeno troppo male, diventa macchinoso e complesso con una trama a cavallo di due mondi (dove quella reale dello scrittore è pure prolissa e noiosa) piena di c.g pure abbastanza bruttarella e un'estetica troppo pompata di colori senza avere quel guizzo e quel ritmo, forse anche a causa di protagonisti non proprio al loro meglio e una storia incerta che zoppica prima degli immancabili momenti telefonati senza paradossalmente degli ostacoli ad hoc che rendano un'armonia nella narrazione.


martedì 11 maggio 2021

New Gods Nezha Reborn


Titolo: New Gods Nezha Reborn
Regia: Yang Tianxiang
Anno: 2021
Paese: Cina
Giudizio: 4/5

Tremila anni dopo che Nezha ha combattuto in mare, Li Yunxiang, un giovane fattorino della città di Donghai, scopre di essere la reincarnazione di Nezha. Mentre scopre – e cerca di padroneggiare – i poteri, i suoi vecchi nemici riappaiono, pronti a vendicarsi per l sconfitta con il Dragon Clan.
 
A distanza di pochi anni da Ne Zha campione d'incassi in Cina e miglior film d'animazione, arriva targato Netflix, un'altra versione o rappresentazione di questo mito cinese. Quest'ultimo è connotato da un'atmosfera post moderna a differenza dell'antichità del film di Yu Yang.
Li è un giovane inconsapevole dei suoi poteri facente parte di una sorta di resistenza per colpire i ricchi e ha un talento fuori discussione come pilota di moto. Sembra di vedere l'inizio di Ready player one. Questa trasposizione a differenza del precedente film di Yang non ha una tecnica e uno stile d'animazione così pulito e perfetto eppure riesce a colmare tutti i difettucci con una storia seppur canonica piena di colpi di scena e roboanti scene d'azione. Quando subentra lo scimmiotto come mentore, i draghi anch'essi presenti, tutta la galleria di mostri e personaggi caratterizzati molto bene, il film si apre ad una concatenazione di eventi causa effetto per regalare intrattenimento ma anche una desamina sui lati d'ombra di noi stessi, sui sentimenti, sulla lotta interiore e sulla scelta a volte difficile da prendere. Un film che ancora una volta riesce ad andare oltre il plot narrativo per dare forza ed enfasi ad una scheggia impazzita di quel folklore cinese che sta ritornando in auge.

martedì 27 aprile 2021

Ne Zha


Titolo: Ne Zha
Regia: Yu Yang
Anno: 2019
Paese: Cina
Giudizio: 4/5

Il giovane Nezha è nato da una perla celeste del Signore Primordiale dei Cieli. Con poteri unici e straordinari, si è ritrovato presto emarginato, odiato e temuto. Destinato da un'antica profezia a portare distruzione nel mondo, Nezha dovrà scegliere tra il bene e il male per spezzare le catene del destino e diventare un eroe.

Ne Zha è un altro validissimo esempio di messa in scena della mitologia cinese e il suo folklore dopo alcuni fasti assoluti come lo Scimmiotto, il celebre libro di Wú Chéng'ēn.
Divinità e uomini, demoni e altre creature nascoste nei cieli, nella terra e confinate sotto la terra.
Ne Zha non ha davvero niente da invidiare alle produzioni Disney e tutto il suo universo.
Un'opera intensa, un viaggio dell'eroe, un bambino/demone che incarna tanti aspetti di una personalità più che mai complessa e ambigua. Un film pieno d'azione, di effetti speciali mai esagerati, una miscela di colori e atmosfere sinuose e perfette, musiche sposate alla perfezione e uno stile d'animazione che rasenta la perfezione.
La storia è basata su un articolato testo di Xu Zonglin, vissuto durante la dinastia Ming, noto come "L'investitura degli dèi", di cui Jiaozi adatta molto liberamente gli episodi cruciali di Nezha, una figura mitologica molto amata in Cina e già arrivato al cinema, alla Tv, al fumetto e al videogame. Ne Zha spero segni l'inizio di un nuovo avvio per l'animazione cinese contando che i numeri che questo film ha mosso sono infatti quelli dei maggiori successi della storia; maggiore incasso in Cina per un film d'animazione, maggiore incasso della storia per un film d'animazione non anglofono (superando quindi tutta l'animazione giapponese), e secondo maggiore incasso della storia per un film non anglofono. Ne Zha segna anche un ulteriore passo avanti in termini di ritmo e montaggio, infatti qui l'apparato spettacolare è ancora più evoluto e al servizio di una regia spericolata e a tratti estremamente dinamica con scene divertenti altalenandole a scontri cruenti e momenti commoventi.

martedì 15 settembre 2020

Double World


Titolo: Double World
Regia: Teddy Chan
Anno: 2020
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Il giovane Dong Yilong vuole recare prestigio al suo clan e decide di diventare un guerriero dell'impero. Così, inizia un periglioso viaggio per partecipare a un torneo finalizzato alla selezione.

Di nuovo mitologia e folklore popolare, in questo caso tratto da un video gioco di successo.
Siamo ben distanti da Journey to the west – Demon strike oppure League of God ma gli ingredienti come l'epicità, il fantasy, il wuxia e gli intrecci politici e amorosi non mancano.
Chan conosce bene l'action avendo dimostrato in passato di sapersi confrontare con film complessi avendo buona dimestichezza dei tempi e di dove saper piazzare la mdp. In Double World muoiono in tanti, alcuni inaspettati, alzando così l'asticella dei colpi di scena e della posta in gioco.
C'è qualche mostro, scorpioni giganti, una non meglio precisata creatura a difendere l'antagonista (un cane orso troppo cresciuto) e poi un serpente drago. Ci sono molti clan, tutti del sud e tutti tenuti assieme dall'onore per difendere l'amor di patria, e poi questo trio di protagonisti a cui si appoggerà una quarta desaparecidos, a dover affrontare molteplici prove iniziatiche e di sopravvivenza andando il più delle volte contro la propria filosofia personale.
Double World al di là della trama scontata, cerca di fare il suo senza sbilanciarsi troppo dal momento che non avrebbe giovato, trovando nell'avventura, nel viaggio dell'eroe e quello iniziatico nonchè di formazione le formule per creare più pathos possibile con i protagonisti (tutti incredibilmente buoni e costretti chi più chi meno ad una vendetta personale o a cercare delle risposte sul proprio passato).
La pecca forse è l'esagerazione della c.g e dell'ipervelocità nei combattimenti, per il resto si lascia vedere molto bene nelle sue due ore senza mai abbassare ritmo e intensità.

sabato 8 agosto 2020

Triple Threat


Titolo: Triple Threat
Regia: Jesse V. Johnson
Anno: 2019
Paese: Cina
Giudizio: 2/5

La figlia di un milionario finisce per essere il bersaglio di una squadra di assassini professionisti, ma un piccolo team di mercenari proverà a difenderla a tutti i costi.

Triple Threat è quel tipico esempio di action parecchio confuso a partire dai produttori, dai paesi che si sono trovati coinvolti a muovere i fili di questo film muscolare e caotico, di una parata di "star" del cinema di arti marziali e una sceneggiatura molto pasticciata con alcuni colpi di scena prevedibili. Per fortuna almeno il ritmo scorre che è una bellezza e l'azione bilanciata è coinvolgente seppur con più sparatorie che combattimenti. Scott Adkins comincia davvero a far paura per quanto si prenda sul serio pur essendo un fisic du role che ha dato il suo meglio con il lottatore russo interpretando Yuri Boyka, idem il suo socio di serie b, quel Michael Jai White perso negli ultimi anni in film di serie c.
Tradimenti, vendetta, poveri derelitti costretti a subire le angherie di un plotone di contractors corrotti. Insomma l'idea di partire quasi come un war movie, per prendere subito un'altra strada e far luce sui reali intenti del plotone d'esecuzione è roba assai abusata, un futile pretesto per creare quel senso di disperazione nei tre poveri protagonisti che si metteranno assieme in trame confuse per sgominare il crudele terrorista Collins.
Bisogna però analizzare il film e l'operazione commerciale per quello che è ovvero puro intrattenimento di genere, in questa dimostrazione, certo cercando di puntare su un minimo di trama che possa funzionare in cui dal secondo atto, siglata l'alleanza del terzetto, sarà tutto un fuggi fuggi dai mercenari e la difesa della figlia del milionario cinese.
Rimane decisamente diverso e peggiore delle saghe con le maestranze inserite, pensiamo solo a Raid Redemption per fare un esempio in cui lì c'era una violenza senza eguali e i combattimenti colpivano duro mentre qui l'aria commerciale e dovendo mettere d'accordo tutti i target crea un'altro tentativo andato a male.

lunedì 20 aprile 2020

Ip Man 4


Titolo: Ip Man 4
Regia: Wilson Yip
Anno: 2019
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Il maestro di Kung Fu si reca negli Stati Uniti dove il suo studente ha sconvolto la comunità locale di arti marziali aprendo una scuola di Wing Chun.

Ip Man 4 poteva cadere nel ridicolo clamoroso, diventando una sorta di Karate Kid con Ip che insegna l’arte sacra del Wing Chun ad una ragazza figlia di un’importante maestro di Tai Chi.
Invece il film è una carrellata di momenti straordinari, combattimenti a non finire, scuole contro scuole contro altre scuole che cercano di essere messe sotto dal governo americano, dai marines capitanati da Scott, ad un certo punto vi ammazzo di botte tutti, Adkins.
C’è così tanta roba nel film, così tanta storia che a volte si inceppa e stroppia ma il risultato è forse uno dei migliori sequel dei sequel di sempre per un film di arti marziali se non contiamo l’esagerato quanto assolutamente spavaldo e meraviglioso John Wick 3.
Parte con Bruce Lee che poi ad un certo punto scompare per lasciare spazio ad un’altra storia ancora con maestranze a non finire, complotti, vendette e sacrifici e discriminazione razziale.
C’è Donnie Yen che invecchia bene pronto a immolarsi come paladino della giustizia passando da un cortile di una scuola a salvare una ragazzina fino a salire sull’arena per prendere a calci in culo il boss del karate.
I suoi apostoli che cercano di portare il Wing Chun tra i soldati finiscono per vedere al rogo il manichino di legno. Sembra non mancare proprio nulla a questo ultimo capitolo finale di una saga che a parte qualche sbadiglio è diventata una delle prove più importanti del cinema sulle arti marziali cinesi contemporaneo e post moderno.


giovedì 18 luglio 2019

Monkey King: The Hero is Back


Titolo: Monkey King: The Hero is Back
Regia: Xiao Peng Tian
Anno: 2015
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Nell'antichità il Re Scimmia sfidò gli dei e per questo venne imprigionato sotto la Montagna. 500 anni dopo, un orfanello in fuga da un villaggio devastato da mostri libera per caso Sun Wukong e crede si tratti del Re Scimmia, suo mito d'infanzia.

Anni fa lessi un testo fondamentale per la mitologia, il folklore e le leggende cinesi.
Lo Scimmiotto di Wu Ch'eng-en. Lì dentro erano riassunte tutte le idee poi prese dai vari Dragon Ball di Akira Toriyama con cui è diventato famoso e ricco in tutto il mondo.
Ora nel corso degli anni il cinema orientale ha cercato di portare su grande schermo le gesta dell'eroe simbolo di un paese con risultati altalenanti in cui vista la tematica trattata e gli scontri con creature di altri mondi, non era per ragioni di budget una scelta semplice.
L'animazione forse da questo punto di vista è sembrata una scelta logica e più facile per inserire una pluralità di elementi all'interno della stessa opera.
L'esordio di Peng Tian, non è certo quell'opera indimenticabile che tutti ci aspettavamo ma di certo ha un suo perchè, una sua peculiarità e uno sguardo funzionale su come sprigiona la vicenda.
Con una storia piuttosto scontata e infarcita di stereotipi, il film riesce ad avere un buon ritmo e delle convincenti scene d'azione seppur il budget per l'opera non sia poi così alto.
Il target si avvicina più ai film per bambini e adolescenti che non per un pubblico maturo che magari nelle scene d'azione si aspettava maggior enfasi, spesso limitata soprattutto dal personaggio dell'orfanello che rischia e spesso lo fa, di mettere in ombra il carattere esplosivo e la natura selvaggia del Re Scimmia.
Da questo punto di vista rimane encomiabile la voglia e lo sforzo di un autore e di un paese che come il cinema cinese odierno e non solo, sembra finalmente poter narrare quelle tradizioni che per lunghi decenni sono state considerate tabù. Sperando in questo coraggio possiamo aspettarci in futuro film di genere e horror basati sulle leggende e molto altro ancora di una delle culture più antiche del mondo.
Il film poi sembra essere una sorta di prequel di quel dittico firmato da una copia di registi che non merita presentazioni con due titoli davvero divertenti, suggestivi e ricchi d'azione JOURNEY TO THE WEST:CONQUERING THE DEMONS, JOURNEY TO THE WEST:DEMON CHAPTER e infine Journey to the west – Demon strike o ancora League of God







mercoledì 5 dicembre 2018

Bigfish e Begonia


Titolo: Bigfish e Begonia
Regia: Lian Xuan
Anno: 2016
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Al di sotto del mare esiste un universo i cui abitanti si occupano di proteggere le anime degli esseri umani e amministrare la natura del loro mondo attraverso poteri legati ai quattro elementi acqua, aria, terra e fuoco. Qui, insieme alla sua famiglia, vive Chun che, compiuti i sedici anni, secondo le leggi del suo popolo deve superare un rito di passaggio: trasformata in un delfino rosso, deve attraversare un portale che la condurrà nel mondo degli uomini. Nonostante sia vietato ogni contatto con gli esseri umani, conoscerà un ragazzo.

Lo Studio Ghibli da sempre ha avuto una sua radicale importanza nel cambiamento dei parametri e dell'importanza dell'animazione. Negli ultimi trent'anni sono stati loro a dare il contributo maggiore scavalcando diversi paesi e creando un loro mondo magico e suggestivo indimenticabile che ha fatto sognare adulti e bambini regalando tematiche mai banali ma attuali come il rispetto, l'amore, la diversità e l'importanza di salvaguardare madre natura.
Bigfish e Begonia mi è capitato tra le mani come qualcosa di cui non ero assolutamente al corrente.
L'idea fin da subito mi è sembrata curiosa soprattutto contando che si andava a parare nei miti e nelle millenarie leggende cinesi. Il che dal momento che non ha avuto poi così tanti esempi, soprattutto nell'animazione, poteva essere un elemento curioso oltre che di indubbio fascino.
Così è stato.
L'elemento che non è sfuggito alla coppia di registi cinesi è stato fin da subito lo sguardo su un tema come quello ambientale che di fatto ha sancito tutto l'impianto di scrittura creando un mondo a sè, tante metafore e l'incontro tra due diversità che riescono ad avere un'importante sodalizio come capita nelle fiabe più belle dove gli opposti sembrano incontrarsi per lasciare spazio alla magia.
Regalando sequenze visivamente incantevoli, sfrutta in maniera più corposa la c.g rispetto ai cugini nipponici, ma senza esagerare, condensandola invece nella maniera più funzionale.
Una favola acquatica che ha dovuto aspettare diversi anni per poter respirare.
Ispirato a un classico della letteratura cinese taoista, l’opera prima parla in particolare di metamorfosi e reincarnazione.
Un film che per fortuna ha avuto un successo insperato e che darà, spero, la possibilità di continuare a produrre film come questi in un paese ormai lanciatissimo nella settima arte.

lunedì 3 settembre 2018

Journey to the west – Demon strike


Titolo: Journey to the west – Demon strike
Regia: Tsui Hark
Anno: 2017
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Tang Monk porta tre discepoli in un viaggio verso l'Occidente. All'apparenza, tutto sembra armonioso, tuttavia la tensione è presente sotto la superficie, ed i loro cuori e le loro menti non sono d'accordo. Dopo una serie di eventi demoniaci, il monaco e i suoi discepoli guadagnano una fiducia reciproca. Infine, risolvono i loro conflitti interiori lavorando insieme per diventare un team in grado di esorcizzare i demoni.

Di fatto la saga di MONKEY KING o League of God o il primo episodio sempre di JOURNEY TO THE WEST, sono tutti esempi di come le grandi produzioni cinesi pur giocando quasi sempre sulla mitologia o il folklore popolare sfruttino appieno la c.g (esasperandola il più delle volte) per creare questi kolossal che a tutti gli effetti sembrano dei blockbuster americani.
Il risultato o meglio i risultati come in questo caso sono piuttosto spiazzanti, nel senso che lo spettatore passa due ore d'intrattenimento con dialoghi spesso ironici, gag abbastanza elementari, i valori e le virtù che sono spesso le tematiche principali e molti combattimenti che mischiano il wuxia esagerandolo e portandolo ad una sorta di scontro tra divinità molto pirotecnico ed epico.

Un'esaltante spettacolo, un film coloratissimo, un'altra opera visionaria che qui è tutta sulle spalle in cabina di regia del maestro Tsui Hark supportato nella produzione e nella sceneggiatura da Stephen Chow. Un film che in alcuni punti si prende anche delle soddisfazioni come nella scena in cui uno dei tre discepoli, maiale, nonostante finisca tra le grinfie della donna ragno cerca lo stesso di portarsela a letto nonostante l'aspetto ripugnante oppure le umiliazioni e le pene a cui la scimmia deve soccombere a causa del suo monaco.


sabato 1 settembre 2018

League of God


Titolo: League of Gods
Regia: AA,VV
Anno: 2016
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

Durante il regno di King Zhou un funzionario si introduce nella sua camera da letto e viene divorato dalle mostruose code di Daji che e la sua concubina. Nel frattempo fuori città un gruppo di guerrieri dentro un carro metallico stanno decidendo le loro strategie per liberare il popolo invisibile assieme al loro capo. Si scopre così che il re Zhou anni indietro si fece conquistare dal drago nero per compiere la sua ricerca di potere.

League of Gods, è un'epopea fantasy, un’avventura d’azione che, a partire da un’opera letteraria del XVI secolo di Xu Zhonglin, il “Fengshen Bang”, mescola elementi della storia cinese, della mitologia locale e di fantasia pura per raccontare la storia di dei, mostri, demoni e personaggi dai poteri sovrumani che si schierano da un lato e dall’altro in una guerra che contrappone lealisti e non in seguito alla deposizione con l’inganno di un re da parte di uno spirito maligno che si era finto una sua concubina.
Una risposta agli ultimi capitoli della Marvel con un budget faraonico e troppi colori sgargianti e un tripudio di c.g con la piccola differenza che almeno qui si attinge dal folklore e dalla mitologia mentre dall'altro lato dell'oceano solo dai fumetti.
Il film in questione, come tanti mega blockbuster a cui questo non fa una piega, sono un pieno concentrato di gag, di ironia, dove tra balletti e musical si assiste a combattimenti molto pirotecnici, a volte esagerati fino al midollo come la battaglia in fondo al mare. Tutti sembrano riprendere comunque glu spunti dei combattimenti dallo Scimmiotto, il romanzo capolavoro di Ch'eng-en Wu
Un film coloratissimo con un ritmo invidiabile, troppa carne al fuoco, personaggi che riescono a rimanere poco impressi e creature leggendarie e mitologiche che fino ad un decennio fa ci sognavamo di vedere su un grande schermo come purtroppo non accade da noi a causa della distribuzione e rimane così solo la carta dei festival.
D'altra parte forse gli elementi su cui uno dovrebbe andare a sindacare potrebbero essere quelli di trovarsi di fronte ad un film vuoto e inoffensivo votato al meraviglioso e continuo florilegio di scene madre ed evocazione dell’eccesso spettacolare diventando tutto ricco ma esageratamente patinato.
League of Gods intrattiene, il suo vero compito e perchè no svela qualche piccola curiosità mitologica poi ripresa da altri registi in progetti ambiziosi almeno quanto questo come l'ultimo Tsui Hark e Stephen Chow

giovedì 4 gennaio 2018

Firestorm

Titolo: Firestorm
Regia: Alan Yuen
Anno: 2013
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

L'ispettore Liu tenta ogni stratagemma per trovare prove che incastrino il bandito Cao e la sua gang, ma Cao anticipa sempre le sue mosse. Il duello tra i due finisce per trasformare Hong Kong in un campo di battaglia, mettendola letteralmente a ferro e fuoco.

E'da anni a questa parte che fatte piccolissime eccezioni il cinema orientale a livello tecnico ha ormai raggiunto traguardi molto importanti. Una peculiarità che solo però negli ultimi anni sta mostrando anche un limite in alcuni script facendo pensare a molti come in fondo Honk Kong stia diventando il fantasma di se stesso citando il suo stesso precedente cinema.
Sul genere gangster, crime-movie, poliziesco e thriller le opere spesso e volentieri superano il cinema americano ed europeo.
Firestorm è una perfetta via di mezzo pur essendo un film tecnicamente all'avanguardia ma che non è supportato da uno script così complesso e diramato come capita ad esempio per il cinema di John Woo, Johnnie To, Andy Lau, rimanendo meno ancorato alla realtà preferendo e richiedendo di più all'immaginazione e strizzando più l'occhio alla macchina hollywodiana dal momento che l'autore si diverte a mettere in scena una metropoli solo per distruggerla come un gigante.
Yuen punta tutto sulla messa in scena lasciando in alcuni momenti un limitato background dei personaggi ma puntando e investendo tutto sul show-down finale frenetico e a tratti esagerato e inverosimile come alcuni aspetti della trama.



martedì 25 aprile 2017

Taking of Tiger mountain

Titolo: Taking of Tiger mountain
Regia: Tsui Hark
Anno: 2015
Paese: Cina
Giudizio: 4/5

Manciuria, 1946. Il capitano 203 guida un manipolo di soldati dell'Esercito Popolare di Liberazione maoista, spossato dalla guerra civile, che arriva in un villaggio terrorizzato dall'egemonia dei banditi. Questi, guidati da Lord Hawk, hanno preso possesso di Tiger Mountain, un rifugio pieno di insidie, e di un arsenale appartenuto ai giapponesi. Inferiori numericamente e peggio armati, i soldati dovranno ricorrere a un'impresa eroica per sconfiggere i banditi e liberare il villaggio. Yang, inviato dal Quartier Generale del Partito, si offre volontario come infiltrato nella gang di Hawk per aiutare la missione.

Tsui Hark è uno dei registi più importanti della sua generazione. Credo sia uno dei pochissimi a non aver mai dato alla luce un brutto film e non ha quasi mai accettato marchette come il suo collega Zhang Yimou di cui peraltro ho grande stima.
Ci troviamo ancora una volta di fronte ad un'opera incredibile con una messa in scena che raggiunge livelli ancora una volta molto alti inserendo un lavoro di fotografia magnifico in grado di esaltare ogni singolo attimo di azione e di bellezza estetica presente nel film.
The Taking of Tiger mountain è un'opera di sorprendente naturalezza visiva che ci offre scenari e location incontaminate.
Tratto da un'opera patriottica e da un romanzo di Qu Bo pubblicato nel 1946, il racconto è diventato subito un grande successo di pubblico tra il popolo, in un periodo ricco di cambiamenti politici e sociali per la Cina. La pellicola, capace di incassare in patria una ragguardevole cifra (decimo incasso nazionale di tutti i tempi) equivalente ad oltre 150 milioni di dollari ha dato di nuovo il lasciapassare ad Hark, abituato a smarcarsi tra grandi produzioni e film a basso budget.
Il suo ultimo film è un'avventura in piena regola che a differenza di altre opere dell'autore cerca di essere meno politica puntando su un misuratissimo intrattenimento con alcuni colpi di scena e un climax spettacolare. L'epicità ancora una volta fa da protagonista diventando l'impianto narrativo e riuscendo a inserire una galleria di personaggi convincenti e memorabili oltre che essere caratterizzati molto bene. In più le solite sotto trame, alcune semplici altre meno e comunque sempre ricche di sfumature riescono a dare ancora più sostanza privilegiando l'entertainment più puro e incontaminato.

Un'altra prova per un artista che non ha bisogno di presentazioni sapendo destreggiarsi tranquillamente in ogni genere apportando sempre la sua firma e il suo stile ormai una garanzia di qualità, tecnica, complessità di scrittura e intenti.

domenica 11 dicembre 2016

Wind(2016)

Titolo: Wind(2016)
Regia: Saw Tiong Guan
Anno: 2016
Paese: Cina
Festival: TFF 34°
Sezione: Festa Mobile
Giudizio: 3/5

Christopher Doyle ha condotto un’esistenza a dir poco straordinaria: dopo aver lasciato i deserti australiani per l’oceano, ha viaggiato in tutto il mondo, lavorato come marinaio e scavatore di pozzi e vissuto in un kibbutz. Una vita avventurosa, che l’ha portato a Taiwan, dove, infine, a trentadue anni, ha imbracciato per la prima volta una macchina da presa, divenendo uno dei direttori della fotografia più noti e apprezzati del cinema contemporaneo, collaboratore di registi come Wong Kar-wai, Gus Van Sant, James Ivory e Neil Jordan. In questo film racconta la sua vita seduto di fronte all’obiettivo, fra ricordi, immagini e riflessioni.

Christopher Doyle è un artista poliedrico ed eccentrico.
Il premio vinto e consegnatoli al TFF 34° ha incorniciato un personaggio molto umile e divertente. La sua performance e le sue parole sono state caldamente apprezzate assieme al suo bisogno di parlare e dare valore alla settima arte. Il suo cinema e la sua professionalità come direttore della fotografia nasce da autodidatta da chi non ha tutto pronto ma si lascia immergere nelle scene trovando il punto giusto e la prospettiva dove inserirsi. Ha detto molto nella sua intervista Doyle, partendo dal potere della Cina che ci domina già tutti, delle nuove tecniche digitali, del suo amore per le droghe e l'alcool e per la sua straordinaria e assetata curiosità e voglia di scoprire.
A fare da sfondo una spiaggia, acqua, onde e scogli, il tutto frammentato come i ricordi del regista che si alternano in un b/n suggestivo e funzionale.


Port of Call

Titolo: Port of Call
Regia: Philip Yung
Anno: 2015
Paese: Cina
Festival: TFF 34°
Sezione: Festa Mobile
Giudizio: 3/5

Una prostituta adolescente viene uccisa in modo orribile: il suo corpo viene fatto a pezzi e gettato in un gabinetto, mentre la testa viene buttata nel Victoria Harbor. La polizia inizia a indagare...

“Se una persona arriva a sacrificare il proprio corpo, vendendolo in modo da poter fare una vita diversa, perché improvvisamente dovrebbe avere voglia di morire?”
Avete presente ANATOMIA DI UN RAPIMENTO di Kurosawa e L'ELEMENTO DEL CRIMINE di Trier. Ecco l'ultimo film dello sceneggiatore Yung mischia e sembra ricordare per alcuni aspetti e per come concepisce location e dettagli i due registi sopra citati, da una parte e dall'altra in un film lento, lungo e complesso con svariati archi temporali e una messa in scena digitale che grazie alla fotografia di Cristopher Doyle riesce a tirare fuori alcune idee e una regia ottima e suggestiva.
E'un film a metà Port of Call. Forse troppo lungo e con alcune linee narrative e sotto-storie difficili da seguire e da tenere a mente. Dalla sua porta a casa una realisticità inquietante, uno studio intimo dei personaggi e del dramma sociale e alcuni dialoghi strazianti sulla miseria umana e sul degrado.
E'un film in cui i protagonisti sono tutti molto soli e soffrono silenziosamente. Chi come il detective a causa dell'isolamento e per l'ossessione comportata dal suo lavoro che gli ha fatto perdere la famiglia. Soffre il killer, dilaniato dal senso di colpa e dalla difficoltà di non essere accettato. Soffre la vittima, dimenticata dalla sua famiglia e ormai una lucciola timorata che cerca ripari nei posti più pericolosi.
Un noire cupo e gelido che attinge a un vero fatto di cronaca: l’omicidio, avvenuto nel 2008, della sedicenne Wong Ka-mui, una ragazza che si era trasferita a Hong Kong dalla Cina continentale e aveva ben presto abbandonato la scuola. Wong è stata strangolata mentre forniva prestazioni sessuali e il suo corpo non è mai stato trovato, perché il killer ne aveva buttato alcune parti nel gabinetto, altri pezzi li aveva gettati al mercato e la testa era finita nelle acque del porto. Il caso aveva suscitato articoli sensazionalistici