Titolo: Carandiru
Regia: Hector Babenco
Anno: 2003
Paese: Brasile
Giudizio: 4/5
A Carandiru, la prigione piú grande
del Brasile, il potere è in mano ad assassini, stupratori e drogati.
Ma il giorno della rivolta 300 poliziotti fecero irruzione nel
carcere uccidendo 111 detenuti disarmati. La storia vera del massacro
di Carandiru nell'ottobre del 1992.
Carandiru è stato attaccato duramente
dalla critica. Uno dei due importantissimi film di Babenco assieme a
PIXOTE racconta le dinamiche del più grande carcere del Brasile
nonchè il più affollato, il più degenerato e il più violento.
Come un organismo, tutto al suo interno fatica a mantenere un ordine
prestabilito, un'umanità feroce e disperata, che lotta per la
sopravvivenza quotidiana, tra ordinaria sopraffazione e squarci di
solidarietà, violenza onnipresente e rara speranza, secondo regole
non scritte di convivenza. Il governo agisce tardivamente e male,
l'incidente finale che a reso tragica una delle pagine più
vergognose dei penitenziari ci mette molto tempo a decollare prima
del doloroso terzo atto.
Un film molto romanzato, dove Babenco
si prende tutto il tempo che gli occorre come uno storytelling per
ascoltare e vedere le storie dei protagonisti, raccontando senza
lesinare violenza e linguaggio con sofisticata leggerezza, matrimoni,
tradimenti, screzi e quant'altro, tutto attraverso noi/lui, il
protagonista, dottor Drauzio Varella chiamato a controllare i casi di
Hiv presenti nella struttura.
Con il teorema del flashback assistiamo
alle gesta a volte grottesche e spregiudicate di alcuni personaggi,
del loro modo di prendere ciò che vogliono dalla vita vivendo e
seguendo precisi codici d'onore.
“Attraverso quale sistema
d’esclusione, eliminando chi, creando quale divisione, attraverso
quale gioco di negazione e di rifiuto la società può cominciare a
funzionare?”. Questa è una della domande centrali che Michel
Foucault si pone nella sua trattazione di “A proposito della
prigione d’Attica” e che sembra essere a tutti gli effetti la
matrice alla base del film, la domanda che continuamente siamo
chiamati a porci.
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