Titolo: Zan
Regia: Shinya Tsukamoto
Anno: 2018
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5
A metà Ottocento, in un piccolo villaggio del Giappone,
la quotidianità viene messa a soqquadro dall'arrivo della guerra.
I ritorni quella con la R maiuscola. Tsukamoto per me
come Miike Takashi, Sion Sono, rappresentano i più prolifici outsider nipponici
mai visti negli ultimi anni. Capaci di rendere omaggio a tutto il cinema di
genere e di fatto facendo ciò che vogliono rimanendo fuori dalle regole.
Tsukamoto ha davvero una filmografia intensa,
sperimentale, precursore di un certo tipo di sci-fi cyber punk, dimostrando
anche come attore di avere enorme talento.
Per la prima volta si confronta con il genere samurai o
meglio dire ronin erranti. A differenza dei cinesi non gioca sul wuxia,
rimanendo come per Miike fedele ad una storia semplice quanto attenta ad
individuare nuovi intenti e obbiettivi da raggiungere sondando come un diapason
le pulsioni primordiali dell’animo umano e lasciando in secondo piano la
violenza raggiungendola solo in alcune scene catartiche come quella con la
banda dei ronin fuorilegge nella caverna e il finale che acquista un sapore
magico oltre ad essere una caccia inaspettata. Il jidai-geki messo in scena dall’autore è minimale, catartico nel cogliere una natura e
farla esplodere con tutti i suoi colori e lasciarla selvaggia in comunione con
coloro che la amano, la popolano e la rispettano.
La narrazione è scarna ed essenziale, tutto il vecchio
sapore di un montaggio allucinato, di azioni imprevedibili che scattano come
molle da parte di personaggi mai bilanciati come invece appaiono maestro e
discepolo nel film sembrano messi da parte. Un lento studio, un incontro con un
popolo contadino semplice e rispettoso, l’onore e la fedeltà, insomma tanti
preziosi fattori che non vengono mai lesinati o sciorinati solo per dare prova
di un esercizio estetico portato a livelli molto alti. Pochi dialoghi,
tantissimi sguardi, posture, costumi, semplicità, il nuovo Tsukamoto sembra
aver passato settimane sotto cascate di umiltà prima di arrivare a calpestare
un altro scenario che dimostra di saper giostrare con un’armonia assoluta.
In soli ’80 minuti il maestro riesce ancora una volta a
dare dimostrazione di un talento oltre confine, dove l'autorialità e l’indi
possono esprimersi soltanto per mezzo di un controllo artigianale e completo
della macchina filmica sapendola gestire, comprendere e dando infine il valore
aggiunto come attore.
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