Titolo: Daniel isn’t real
Regia: Adam Egypt Mortimer
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Luke, studente universitario dal passato difficile e
disturbato, subisce un violento trauma familiare che lo spinge a riportare ‘in
vita’ Daniel, il pericoloso amico immaginario che aveva da bambino e che da
tempo ormai aveva obliato. Carismatico e pieno d’energia, Daniel torna così
subdolamente nella sua quotidianità, deciso più che mai ad aiutare Luke nel
realizzare i suoi sogni, guidandolo però inesorabilmente ai limiti della sua
sanità mentale, in una disperata lotta per mantenere il controllo della sua
mente e della sua anima.
Daniel isn’t real ha un primo atto incredibile dove
dosando gli ingredienti Mortimer riesce ad intrappolare diversi temi e scene da
manuale come quella in cui rinchiude Daniel nella casa di bambole con quelle
luci e quell’atmosfera molto suggestiva e originale. Il tema del doppio è stato
affrontato in varie maniere nel cinema con risultati altalenanti ma diverse
pillole indimenticabili e alcuni cult indiscutibili.
Questo film non è nessuno dei due. E’un pregevolissimo
horror che fa perdonare al regista Some kind of hate il suo esordio che mi
aveva davvero convinto poco. Qui gli effetti fanno molto, la vivida
realizzazione visiva e sonora, le gelatine che sparano colori a profusione
quali il rosso e il viola ad annunciare l’arrivo di qualcosa di brutto, l’uso
della c.g in maniera quasi mai debordante, mostri e creature che sembrano
risvegliare l’abisso del male. Il film alterna thriller psicologico con body
horror, dove il sangue e le scene di violenza non mancano, la patologia come si
è appresa (la madre forse..)rimane la grande incognita soprattutto contando
come è stato giocato male il ruolo dello psicologo che dovrebbe aiutare il
protagonista e noi del pubblico ad avere qualche elemento in più. Trauma,
malattia mentale, realtà di un opposto che non potrà morire mai ma come un
alieno cambia di corpo in corpo scegliendo identità fragili da eludere e
controllare. E poi c’è l’entrata a straforo proprio nel corpo di Luke, il quale
coincide con il secondo atto (verso la fine) e pone altri dubbi e perplessità
spostando le interpretazioni verso viaggi della follia poco comuni anche se a
volte pasticciati.
Il ritmo vola senza fare guizzi particolari, solo verso
il finale, prima del climax comunque interessante, il film svela le sue carte
diventando a tutti gli effetti un horror viscerale dove secchiate di sangue e
colori tingono la scena infilando mostri e trasformazioni corporee a
profusione. Buona la prova di Patrick Schwarzenegger, meno quella di Miles
Robbins.
Speriamo comunque che la SpectreVision di Frodo continui
a regalarci buoni prodotti
Nessun commento:
Posta un commento