Titolo: Look of Silence
Regia: Joshua Oppenheimer
Anno: 2014
Paese:
Danimarca/Finlandia/Indonesia/Norvegia/Gran Bretagna
Giudizio: 4/5
The Look of Silence, seguito del
documentario drammatico The Act of Killing, analizza ancora il tema
del genocidio in Indonesia, le purghe anticomuniste del 1965,
affrontandolo da un'altra prospettiva. The Look of Silence offre una
visione della tragedia da parte delle vittime, in particolare segue
la storia di un uomo sopravvissuto, il cui fratello è stato
torturato fino alla morte durante la rivoluzione da un gruppo di
ribelli; storia già raccontata dal punto di vista degli assassini
nel documentario del regista The Act of Killing. In The Look of
Silence si osserva la famiglia dell'uomo ucciso, in particolare il
fratello minore, che decide di incontrare gli uomini che hanno
massacrato uno di loro.
Il regista texano ritorna nuovamente in
quei luoghi quasi sconosciuti da una grande fetta di popolazione
mondiale per continuare un discorso aperto, in Indonesia, che lo
aveva reso noto al pubblico e soprattutto ai festival e a qualche
leader militare che magari non se lo aspettava o non ne è rimasto
così contento. In questo caso la telecamera, l'intervista e la
settima arte, diventano sacro santi nella loro potenza divulgatrice.
THE ACT OF KILLING era sorprendente per
molti punti, originalità, orrore e incredulità per i fatti accaduti
e infine un nuovo modo di strutturare il documentario e di trovare
degli elementi da usare a proprio favore come le testimonianze
esaltate dei carnefici.
The Look of silence, titolo molto
significativo, non esamina più il rapporto tra senso di colpa
represso e rievocazione della memoria attraverso la finzione, ma
quello tra responsabilità e rimozione della memoria, tema anch'esso
importante per comprendere e dare un nome ai vissuti e ancora ad
oggi, gli effetti causati dal genocidio senza eguali e che ha portato
un milione di presunti comunisti ad essere trucidati e macellati da
feroci squadre della morte, appoggiate dall'esercito e dal nuovo
governo.
Vittima e Colpevole si guardano negli
occhi, la memoria putativa cerca di elaborare e di non dimenticare,
se non altro per il bisogno di ammettere affinchè quello che è
successo non possa più verificarsi.
Le interviste condotte dal giovane
oculista, e qui la metafora è perfetta in entrambi i sensi, danno
due diversi quadri su quello che è rimasto nella popolazione, dai
killer che confessano i propri crimini davanti alla videocamera senza
nessuna vergogna dicendo in parte di aver eseguito solo degli ordini,
a coloro che negano, o che si trincerano nel silenzio.
Alì è l'emblema di ciò che resta, di
ciò che è stato, e di ciò ce non si vuole più vedere forse si
inizia a voler conoscere.
Il documentario ha pure dei momenti di
commovente dolcezza come la madre di Alì che lava il corpo
scheletrico del padre, o i dialoghi di Alì con la figlia, oppure lo
stesso Alì che comprende di essere stato, come afferma la madre, un
sostituto del fratello, della morte stessa del fratello (una storia
che si fa fatica a credere) e infine il bisogno di riscatto con i
genitori e il muro di fronte al ricordo della tragedia.
Un viaggio ancora una volta doloroso ma
necessario per comprendere fino in fondo le ragioni e la crescita di
una popolazione legata ad una tragedia che rimarrà per sempre nei
loro ricordi.
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