mercoledì 6 febbraio 2019

Panico al villaggio


Titolo: Panico al villaggio
Regia: Stephane Aubier
Anno: 2009
Paese: Belgio
Giudizio: 3/5

C'era una volta, in un villaggio di nome Villaggio, un cavallo di nome Cavallo, che viveva con un cow-boy di nome Cow-boy e un indiano di nome Indiano. È il 21 giugno, il compleanno di Cavallo, e i suoi due compari pensano bene di ordinare 50 mattoni per costruirgli un barbecue. Peccato che, tra un gioco e una distrazione, l'ordine on line parta pieno di zeri e il Villaggio si ritrovi invaso da 50 milioni di mattoni, che fanno particolarmente gola a dei piccoli, imprendibili ladri notturni.

Panico al villaggio è una bella metafora della nostra società.
Folle e schizzato come i belgi spesso sanno essere, riesce pur sfruttando una tecnica d'animazione in stop-motion abbastanza desueta, ad avere un ritmo e una storia che assieme ai personaggi colpiscono per la loro linearità, caratterizzazione, scelte insolite, un ritmo sbalorditivo e una messa in scena che riesce a cogliere quei dettagli importanti per rafforzare la narrazione e l'impatto visivo che rimane un'esperienza visiva, prima di tutto, molto interessante.
Grazie anche ad un ottimo doppiaggio dove aiutano i cugini di SOUTHPARK, Panico al villaggio sembra partire in sordina per poi allargarsi al di là della porzione di spazio dove vivono ancorati i tre protagonisti.
Un'ambientazione per alcuni aspetti misteriosa dove i bambini non esistono, gli animali parlano, e gli esseri umani invece sembrano tornati alla fanciullezza a differenza degli animali più maturi e rigidi nelle scelte che si comportano quasi da genitori.
La casualità è il fattore di forza e che allo stesso tempo lascia inermi di fronte ad un ritmo dove tutto può succedere in qualsiasi momento e senza dover avere una causa o un nesso.
Un ritmo e una potenza inesauribile rischiano a volte di lasciare spiazzati, soprattutto per come dicevo in quanto non essendoci coordinate, al di là di qualche frase di Cavallo, il vero protagonista, a volte si fa fatica a comprendere gli intenti dei registi.
Altrimenti sembra regnare una sorta di anarchia democraticamente accettata.


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