Titolo: Panico al villaggio
Regia: Stephane Aubier
Anno: 2009
Paese: Belgio
Giudizio: 3/5
C'era una volta, in un villaggio di
nome Villaggio, un cavallo di nome Cavallo, che viveva con un cow-boy
di nome Cow-boy e un indiano di nome Indiano. È il 21 giugno, il
compleanno di Cavallo, e i suoi due compari pensano bene di ordinare
50 mattoni per costruirgli un barbecue. Peccato che, tra un gioco e
una distrazione, l'ordine on line parta pieno di zeri e il Villaggio
si ritrovi invaso da 50 milioni di mattoni, che fanno particolarmente
gola a dei piccoli, imprendibili ladri notturni.
Panico al villaggio è una bella
metafora della nostra società.
Folle e schizzato come i belgi spesso
sanno essere, riesce pur sfruttando una tecnica d'animazione in
stop-motion abbastanza desueta, ad avere un ritmo e una storia che
assieme ai personaggi colpiscono per la loro linearità,
caratterizzazione, scelte insolite, un ritmo sbalorditivo e una messa
in scena che riesce a cogliere quei dettagli importanti per
rafforzare la narrazione e l'impatto visivo che rimane un'esperienza
visiva, prima di tutto, molto interessante.
Grazie anche ad un ottimo doppiaggio
dove aiutano i cugini di SOUTHPARK, Panico al villaggio sembra
partire in sordina per poi allargarsi al di là della porzione di
spazio dove vivono ancorati i tre protagonisti.
Un'ambientazione per alcuni aspetti
misteriosa dove i bambini non esistono, gli animali parlano, e gli
esseri umani invece sembrano tornati alla fanciullezza a differenza
degli animali più maturi e rigidi nelle scelte che si comportano
quasi da genitori.
La casualità è il fattore di forza e
che allo stesso tempo lascia inermi di fronte ad un ritmo dove tutto
può succedere in qualsiasi momento e senza dover avere una causa o
un nesso.
Un ritmo e una potenza inesauribile
rischiano a volte di lasciare spiazzati, soprattutto per come dicevo
in quanto non essendoci coordinate, al di là di qualche frase di
Cavallo, il vero protagonista, a volte si fa fatica a comprendere gli
intenti dei registi.
Altrimenti sembra regnare una sorta di
anarchia democraticamente accettata.
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