Titolo: Sequence Break
Regia: Graham Skipper
Anno: 2017
Paese: Usa
Festival: 35°Torino film Festival
Giudizio: 2/5
Un arcade game abbandonato in una
vetusta sala giochi comincia piano piano a influenzare la mente di un
giovane tecnico appassionato di videogame vintage e della sua
ragazza.
Quest'anno il Tff ha omaggiato l'horror con alcune pellicole anni '80 come non si vedevano da un pezzo. Quest'anno più che mai si è arrivati al fenomeno del revival e del trend del revisionismo cinematografico più spinto che mai.
Vhs, sinth, macchine del fumo,
atmosfere cupe, gelatine coloratissime, tutto ma proprio tutto fa
tornare la mente ad una nutrita serie di film "omaggio"
dove questa seconda opera di Skipper più di altri sembra proprio
voler a tutti i costi confrontarsi con Cronemberg e Stuart Gordon.
Skipper è giovane, la sezione After
Hours non poteva sposarsi meglio e la presentazione del suo film è
stata semplice, sincera e divertente. D'altro canto per chi non lo
conoscesse fa parte di un nutrito gruppo di nerd che avevano dato
vita al coraggioso indie, anch'esso horror e anch'esso nostalgico
Beyond
the gates (purtroppo un
altro film davvero ben fatto con una sceneggiatura che sfugge dalle
mani degli sceneggiatori finendo ad avere alcune buone intuizioni).
Il problema grosso di Sequence Break è quando mischia sentimenti e
paura, riuscendo fino al secondo atto a muoversi tutto sulla pungente
atmosfera di Hughes e scomparendo dietro a una fotografia che riesce
bene a dare quel senso di macabro soprattutto nelle parti più legate
alle scene di body horror con cui il regista vuole più che mai
confrontarsi ma senza avere quell'esperienza e quel talento che non è
detto che non arrivi.
Ci sono tanti elementi che cercano di
funzionare in modo troppo macchinoso dall'arrivo della ragazza che
sembra telefonata per come si innamora subito del protagonista fino
al nerd che ha la possibilità di svoltare, il negozio che sta per
chiudere e l'arrivo di questo gioco destinato a destabilizzare tutto
e tutti.
Il problema grosso dell'opera di
Skipper è che non avanza mai, non si spinge più in là del dovuto
rimanendo un indie nerd che guarda più alla commedia nera che non
alle macchine del PASTO NUDO. Skipper ha cercato di tirare fuori
piccoli gioielli tecnologici cercando di rivangare la fusione
macchina-uomo ma senza riuscire a chiudere con delle immagini che
come alcuni cult ti rimarranno sempre impresse.
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