Titolo: Dumplings
Regia: Fruit Chan
Anno: 2004
Paese: Cina
Giudizio: 3/5
Ching è una stellina del mondo dello spettacolo, ormai quasi
del tutto dimenticata dal suo pubblico, che si appresta a muovere i primi passi
lungo il viale del tramonto ma, anziché arrendersi, decide di fermarsi e
tentare di compiere un ultimo tentativo per portare indietro le lancette
dell'orologio, anche e soprattutto per riaccendere il fuoco della passione
ormai spentosi nel marito, Lee, il quale invece approfitta del suo fascino da
uomo maturo per correre dietro a gonnelle assai più giovani....
Dumplings è un prodotto
che ha saputo allo stesso tempo riscuotere pareri positivi e suscitare
non poche polemiche ma soprattutto è stato un film poi condensato in un medio
nel film corale a tre episodi THREE EXTREMES del 2004 e che vedeva niente poco
di meno che tre outsider di tre diversi paesi orientali farsi la guerra per chi
riuscisse a partorire i soggetti più malati. Credo che la vittoria l’abbia
vinta il regista dal punto di vista della scelta narrativa ovvero l’idea di
raggiungere l’eterna giovinezza mangiando feti.
Un’idea cruda e particolarmente malata che ha saputo
conquistare un ampia fetta di pubblico tra chi come me, non può fare a meno di
queste storie per creare congetture e dare ancora più voce e spazio a
elucubrazioni malate.
Dumplings, ravioli, è una disturbante critica all' edonismo
di massa, una riflessione sull' incapacità di accettare il tempo e la caducità
del nostro aspetto esteriore, per cui ognuno a suo modo rincorre questo falso
mito prendendosi le più crude e spaventose responsabilità. L’unico problema per
cui a mio parere il medio era ancora più funzionale è perchè toglieva alcune
sotto-trame che a mio avviso penetrano di meno nella psiche dello spettatore e
della personalità delle due protagoniste, con il fascino plastico e kitch di
Bai Ling e la sensualità di Miriam Yeung che ogni volta che porta alla bocca un
raviolo e che sentiamo masticare crea un effetto malato e perverso che lo
spettatore non può completamente deviare dalla sua psiche.
Chan poi è un regista di Hong Kong su cui bisognerebbe
soffermarsi un attimo per alcuni film della sua ristretta ma importante
filmografia (fatta eccezione per la marchetta che gli è servita per farsi un po
di soldi ovvero l’americano DON’T LOOK UP) e che sembra non lesinare alcuni
disturbanti metafore e paradossi della società, in particolare quella cinese.
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