Titolo: Sangue di Cristo
Regia: Spike Lee
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Quando al dottor Hess Green viene
introdotto un misterioso artefatto maledetto da un curatore d'arte,
Lafayette Hightower, viene incontrollabilmente attirato da una nuova
sete per il sangue che travolge la sua anima. Tuttavia, non è un
vampiro. Lafayette soccombe rapidamente alla natura vorace di questa
sofferenza che trasforma Hess. Presto la moglie di Lafayette, Ganja
Hightower, va in cerca del marito e viene coinvolta in una pericolosa
storia d'amore con Hess che mette in discussione la natura stessa
dell'amore, della dipendenza, del sesso, e dello stato della nostra
società apparentemente sofisticata.
L'ultimo Spike Lee Joint è stranamente
un horror. Un thriller, un dramma con risvolti erotici.
Un'opera abbastanza fuori dagli schemi
per quanto concerne l'approccio che l'autore disegna e a cui fa
sfondo la vicenda. Un altro film molto bello è uscito negli ultimi
anni che parla di vampiri in salsa black, l'indie Transfiguration.
Un altro film black che tratta quindi
il vampirismo come metafora dell'integrazione razziale. Mentre
nell'altro film il protagonista era un ragazzino qui sono gli adulti.
GANJA & HESS è, infatti, un oscuro
film horror della Blacksploitation datato 1973 che il nostro ha
deciso di “rifare”, con il titolo Da Sweet Blood of Jesus (Il
sangue di Cristo).
Film a bassissimo budget girato in due
settimane e supportato dalla tecnica del crowdfunding.
Premetto che quando ho sentito parlare
del pugnale di Ashanti non ho resistito a quella monumentale scena
dove veniamo a conoscenza di questo coltello nel film Bambino
d’oro e dove Eddie
Murphy prendeva in giro la spiritualità tibetana.
Tantissima musica molto diversa e con
temi e atmosfere che cambiano di scena in scena senza di fatto
lasciare quasi mai il film senza qualche brano che lo caratterizzi.
Una scelta singolare dal momento che diverse scene giocano
sull'atmosfera e sulla suspence sospendendola così in alcuni casi o
dandole un intento diverso proprio a causa di questo cocktail di
generi musicali.
Elegante e raffinato, dai costumi alle
scenografie, Lee dimostra una scelta estetica di ampio gusto che
riesce ad essere funzionale in tutta quanta l'opera.
Un'opera che cerca di essere onirica,
con rimandi per alcuni versi alla cultura e alcune profezie vodoo,
l'ipnosi, cercando spesso di deviare sul surreale, riuscendoci, ma
non sempre soprattutto nell'ultimo atto, leggermente approssimativo e
chiudendosi come fa con il triangolo di personaggi in un circolo
vizioso da cui ne uscirà trascinandosi in una pozza di sangue tra
presunta disperazione e un’insistita vena erotica glamour che non
riesce così bene a gestire.
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