Titolo: Cafè Society
Regia: Woody Allen
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
New York anni trenta. Bobby Dorfman
lascia la bottega del padre e la East Coast per la California, dove
lo zio gestisce un'agenzia artistica e i capricci dei divi
hollywoodiani. Seccato dall'irruzione del nipote e convinto della sua
inettitudine, dopo averlo a lungo rinviato, lo riceve e lo assume
come fattorino. Bobby, perduto a Beverly Hills e con la testa a New
York, la ritrova davanti al sorriso di Vonnie, segretaria (e amante)
dello zio. Per lui è subito amore, per lei no ma il tempo e il
destino danno ragione al sentimento di Bobby che le propone di
sposarlo e di traslocare con lui a New York. Ma il vento fa (di
nuovo) il suo giro e Vonnie decide altrimenti. Rientrato nella sola
città in cui riesce a pensarsi, Bobby dirige con charme il "Café
Society", night club sofisticato che diventa il punto di
incontro del mondo che conta. Sposato, padre e uomo di successo, anni
dopo riceve a sorpresa la visita di Vonnie. Con lo champagne, Bobby
(ri)apre il cuore e si (ri)apre al dolce delirio dell'amore.
Perchè sono ancora importanti i film
di Woody Allen? Perchè insegnano ad amare la semplicità e il cinema
oggi come oggi dimostra di averne più che mai bisogno.
Cafè Society dietro abiti lussuosi,
feste eleganti, macchine d'epoca e tanto sfarzo sembra voler dire
davvero tante cose, dimostrando di saper sempre appagare lo
spettatore con un concentrato di idee e storie che hanno fatto la
storia del cinema, e infine riuscendo, come tutti i più grandi
autori contemporanei, a rimanere in ottima forma, con una storia solo
apparentemente semplice.
Gli ebrei non credono
nell'aldilà...questa battuta che riesce ad essere inserita in uno
dei pochi momenti delicati del film, è solo una delle basi da cui
Allen conferma il suo sarcasmo religioso,
l'intreccio che dal fato passa al
destino e mettendoci di fronte a quello che non possiamo evitare, e
col quale dobbiamo fare i conti per forza: il peso delle nostre
scelte.
Partendo da una bella inquadratura che
rivela il sorprendente lavoro del grande Sturaro con colori saturi e
una fotografia esuberante, Allen prende un nuovo manipolo di attori,
dove svetta Carrel su tutti, Eisenberg potrebbe essere la caricatura
del regista da giovane e dove infine non manca la femme fatale.
Il film di apertura al festival di
Cannes è un film apparentemente leggero, in cui l'assenza di
tensione è così palpabile che si ride anche dei morti come se fosse
un siparietto in versione slapstick o una parodia di alcuni suoi
vecchi film.
Però dal secondo atto avviene il colpo
di Allen. Il film diventa presto un affresco malinconico che alla sua
veneranda età sente di dover comunicare o lasciare come una sorta di
testamento per tutti gli errori e le scelte che avrebbe potuto non
fare. Insiste sulla disillusione nei confronti del genere umano e
della vita, di come tutto è vacuo in salotti dove conta solo la
facciata e dove si beve e si fuma per non pensare alla povertà e il
vuoto incolmabile che alberga dentro ognuno di noi.
Tutto questo il regista lo inquadra e
lo dispiega impiegando colori, musiche scoppiettanti e dialoghi che
non accennano mai a fermarsi, dimostrando il talento del dramma in
una commedia frizzante.
Senza parlare poi di un finale che
potrà lasciare l'amaro in bocca ma che in fondo è molto realistico,
come a ribadire che il vento fa il suo giro e magari continueremo a
rincorrere i nostri amori e avere rimpianti per il resto della nostra
vita, accettandoli come una sorta di male incurabile a cui spesso non
sappiamo dare un nome.
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