Titolo: High-Rise
Regia: Ben Whitley
Anno: 2015
Paese: Gran Bretagna
Festival: TFF 33°
Giudizio: 4/5
A metà Anni Settanta, a Londra, una
torre di appartamenti spicca in alto sul Tamigi, segnando l'inizio di
quello che diventerà un grande quartiere della finanza. Tutti
chiamano la torre "il condominio". Il più importante dei
residenti è Robert Laing, un ambizioso e giovane dottore che, grazie
all'incontro con l'eccentrico Wilder, viene introdotto nel luogo più
oscuro della torre. Ben presto, la situazione degenera nella follia e
nella violenza e Laing si ritrova tra gruppi di condomini assetati di
sangue.
La pellicola è l'adattamento cinematografico del romanzo Il condominio, scritto da James Graham Ballard e pubblicato nel 1976. Un film, a detta di molti, "infilmabile" soprattutto per la difficoltà a cogliere appieno tutti gli elementi del mosaico di cui è composto, e per quella infallibile critica al turbo capitalismo. Esiste però nella new-wave del cinema europeo, una scheggia impazzita di talento e ferocia che risponde al nome di Ben Weathley.
Un nome che cito spesso e che metto su
un altarino per i cult che ha saputo regalarci finora.
Alle prese con un budget e con un cast
così mastodontico e famoso, il rischio era quello che Ben dovesse in
un qualche modo adattarsi a dovere, trovandosi il fiato sul collo
della produzione.
Da un lato forse è stato così, ma la
bravura e il talento in questa trasposizione difficilissima certo,
non mancano complice nel bene e nel male la sceneggiatura scritta
dalla moglie del regista.
Al di là della scelta del cast,
funzionale a dovere, è proprio la parte tecnica a lasciare incantati
e a muoversi con una mano sicura tra imponenti grattacieli riuscendo
a cogliere anche le sfumature tra gli spazi interstiziali in mezzo
alle pareti.
Grazie anche ad una alienante musica di
Clint Mansell, il film decolla e plana velocemente, regalando momenti
di estasi e grande cinema a un'atmosfera in bilico che sembra
ancorarsi su un indecisione di fondo, come se il regista non sapesse
su quale ascensore salire in una scelta forse troppo variegata e
hi-tech.
È tutto basato su un equilibrio
precario che sembra allo stesso tempo così fragile da essere
volutamente disintegrato da parte dello stesso attore sociale che
dovendo esprimere la propria natura è costretto a liberarsi dalle
catene di un ordine che non gli appartiene.
E'molto suggestivo, ma in alcuni
momenti troppo lasciando velati alcuni intenti senza coglierne la
profondità (ma questo il regista aveva già dato modo di palesarlo
con altri film soprattutto Kill
List
il suo capolavoro). Riesce sempre a
fare un ottimo lavoro legato alla valorizzazione della violenza
grafica ma senza mai farla esplodere come forse in alcuni capitoli
uno poteva aspettarsi. Manca quella grottesca ironia di fondo che ha
sempre saputo contraddistinguere il regista se non in alcuni aspetti
del personaggio legato al fedifrago Wilder, giornalista dei piani
bassi che cerca di farsi strada. L'odio, gli istinti primordiali che
epplodono senza mezzi termini, i bambini come destabilizzatori di
un'apparente calma, l'esplosività sempre a portata di mano.
In High-rise la potenza metaforica è
davvero strabordante come non era mai capitato prima a Weathley,
eppure il regista grazie a delle interpretazioni mirabili riesce
comunque, forse diluendole un po troppo, a portare a termine il
compito che gli è stato affidato.
Un altro dei problemi che ho colto è
legato alla sua filmografia, di fatto erano tutti indie e lasciavano
una certa libertà e spazi in cui destreggiarsi. Qui è tutto chiuso,
ermetico, tanti attori e numerosi dialoghi. Un'azione e una svolta
negli intenti che dopo la prima parte diventa una vera e propria
anarchia post-apocalittica di guerra tra classi sociali.
Weathley alla fine lasciando da parte
una sua autorialità che compariva di più nelle opere precedenti,
riesce ad orchestrare una de genereazione, una de-evoluzione,
restituendoci ogni possibile sfumatura del sordido e del laido.
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